PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Pasqua di Resurrezione
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Pasqua di Resurrezione

Pasqua di Resurrezione.
"Cristo è risorto! Veramente è risorto!"
Le Chiese ortodosse festeggiano la Pasqua. Memoria di Martin Luther King, ucciso il 4 aprile 1968 a Memphis. Con lui ricordiamo tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia.
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Pasqua di Resurrezione

Omelia

Siamo arrivati alla Pasqua dopo aver seguito Gesù nei suoi ultimi giorni di vita. Abbiamo agitato con gioia i rami di ulivo, domenica scorsa, per accoglierlo mentre entrava in Gerusalemme. Lo abbiamo quindi seguito negli ultimi tre giorni: ci ha accolti al cenacolo, con un desiderio struggente di amicizia, tanto da abbassarsi sino a lavare i piedi e donarsi come pane "spezzato" e sangue "versato". E poi ci ha voluti accanto a sé nell’orto degli Ulivi, quando la tristezza e l’angoscia gli opprimevano il cuore tanto da sudare sangue. Il bisogno di amicizia fattosi ancor più prepotente non fu capito; i tre più amici prima si addormentarono, e poi, assieme a tutti gli altri, lo abbandonarono. Il giorno dopo lo troviamo in croce, solo e nudo; le guardie lo avevano spogliato della tunica; in verità lui stesso si era già spogliato della vita. Davvero ha dato tutto se stesso per la nostra salvezza. Il sabato è stato triste; un giorno vuoto anche per noi. Gesù stava oltre quella pietra pesante. Eppure, anche senza vita, ha come continuato a donarla "scendendo agli inferi" , ossia nel punto più basso possibile: ha voluto portare sino al limite estremo la sua solidarietà con gli uomini.
Il Vangelo di Pasqua parte proprio da questo estremo limite, dalla notte buia. Scrive l’evangelista Giovanni che "era ancora buio" quando Maria di Màgdala si recò al sepolcro. Era buio fuori, ma soprattutto dentro il cuore di quella donna (come nel cuore di chiunque altro che amava quel profeta che "aveva fatto bene ogni cosa"); il buio per la perdita dell’unico che l’aveva capita: non solo le aveva detto quello che aveva nel cuore, ma soprattutto l’aveva liberata da ciò che l’opprimeva più di ogni altra cosa (scrive Luca che era stata liberata da sette demoni). Con il cuore triste Maria si recava al sepolcro. Forse ricordava i giorni precedenti la passione, quando gli asciugava i piedi dopo averglieli bagnati con unguento prezioso, e gli anni, pochi ma intensi, passati con quel profeta. Con Gesù l’amicizia è sempre affascinante; si potrebbe dire che quest’uomo non lo si può seguire da lontano, come ha fatto Pietro in questi giorni. Arriva il momento della resa dei conti e quindi della scelta di un rapporto definitivo. L’amicizia di Gesù è di quella specie che porta a considerare gli altri più di se stessi: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici" (Gv 15,13). Maria di Màgdala lo constata di persona quel mattino quand’è ancora buio. Il suo amico è morto perché ha voluto bene a lei e a tutti i discepoli, Giuda compreso.
Appena giunta al sepolcro ella vede che la pietra posta sull’ingresso, una lastra pesante come ogni morte e ogni distacco, è stata ribaltata. Neppure entra. Corre subito da Pietro e da Giovanni: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro!", grida trafelata. Neanche da morto, pensa, lo vogliono. E aggiunge con tristezza: "non sappiamo dove l’hanno posto!". La tristezza di Maria per la perdita del Signore, anche solo del suo corpo morto, è uno schiaffo alla nostra freddezza e alla nostra dimenticanza di Gesù anche da vivo. Oggi questa donna è un alto esempio per tutti i credenti. Solo avendo i suoi sentimenti nel cuore è possibile incontrare il Signore risorto.
È lei, con la sua disperazione, a muovere Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava. Essi "corrono" immediatamente verso il sepolcro vuoto; dopo aver iniziato assieme a seguire il Signore, sebbene da lontano, nella passione (Gv 18,15-16), ora si trovano a "correre insieme tutti e due" per non stargli lontano. È una corsa che esprime bene l’ansia di ogni discepolo, di ogni comunità, che cerca il Signore. Anche noi forse dobbiamo riprendere a correre. La nostra andatura è diventata troppo lenta, forse appesantita dall’amore per noi stessi, dalla paura di scivolare e perdere qualcosa di nostro, dal timore di dover abbandonare abitudini ormai sclerotiche. Bisogna riprovare a correre, lasciare quel cenacolo dalle porte chiuse e andare verso il Signore. La Pasqua è anche fretta. Giunse per primo alla tomba il discepolo dell’amore: l’amore fa correre più veloci. Ma anche il passo più lento di Pietro portò l’apostolo sulla soglia della tomba; e ambedue entrarono. Pietro per primo, e notò un ordine perfetto: le bende stavano al loro posto come svuotate del corpo di Gesù e il sudario "avvolto in un luogo a parte". Non c’era stata né manomissione né trafugamento: Gesù si era come liberato da solo; non fu necessario per lui sciogliere le bende come per Lazzaro. Anche l’altro discepolo entrò e "vide" la stessa scena: "vide e credette", nota l’evangelista. Si erano trovati davanti ai segni della resurrezione e si lasciarono toccare il cuore.
Fino ad allora infatti - prosegue l’evangelista - "non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti". Questa è spesso la nostra vita: una vita senza resurrezione e senza Pasqua, rassegnata di fronte ai grandi dolori e ai drammi degli uomini, rinchiusa nella tristezza delle proprie abitudini. La Pasqua è venuta, la pietra pesante è stata rovesciata e il sepolcro si è aperto. Il Signore ha vinto la morte e vive per sempre. Non possiamo più starcene chiusi come se il Vangelo della resurrezione non ci fosse stato comunicato. Il Vangelo è resurrezione, è rinascita a vita nuova. E va gridato sui tetti, va comunicato nei cuori perché si aprano al Signore. Questa Pasqua perciò non può passare invano; non può essere un rito che più o meno stancamente si ripete uguale ogni anno; essa deve cambiare il cuore e la vita di ogni discepolo, di ogni comunità cristiana. Si tratta di spalancare le porte al Risorto che viene in mezzo a noi, come leggeremo nei giorni prossimi durante le apparizioni ai discepoli. Egli deposita nei cuori il soffio della resurrezione, l’energia della pace, la potenza dello Spirito che rinnova. Scrive l’apostolo Paolo: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!" (Col 3,3). La nostra vita è come coinvolta in Gesù risorto e resa partecipe della sua vittoria sulla morte e sul male. Assieme al Risorto entrerà nei nostri cuori il mondo intero con le sue attese e i suoi dolori, com’egli manifesta ai discepoli le ferite presenti ancora nel suo corpo, perché possiamo cooperare con lui alla nascita di un cielo nuovo e una terra nuova, ove non ci sarà né lutto né lacrima, né morte né tristezza perché Dio sarà tutto in tutti.

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