PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Liturgia della domenica
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Omelia

"La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste" : queste parole del libro del Siracide (35,21), che aprono la liturgia di questa domenica, ci pongono in continuità con quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa. La preghiera resta l’orizzonte nel quale la Parola di Dio ci immette. Ma non è più l’insistenza nel rivolgersi a Dio, come nell’episodio della povera vedova, bensì l’atteggiamento che l’uomo deve avere nella preghiera. L’evangelista Luca inizia la narrazione della notissima parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio con una premessa che ne mostra la ragione: Gesù "disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri".
Si tratta in verità di una situazione nella quale tutti possiamo ritrovarci. Ognuno di noi, in fondo, ha una buona considerazione di sé, accompagnata, invece, da un senso piuttosto critico verso gli altri. E credo sia opportuno sottolinearlo nei nostri tempi, perché è diventato fin troppo facile puntare il dito contro gli altri, senza guardare se stessi. Storture e deviazioni avvengono anche perché l’ambiente spesso le permette o le tollera. Non c’è dubbio che la caduta della tensione morale ci vede tutti corresponsabili, seppure in diverso grado, per cui è difficile tirarsene totalmente fuori.
La parabola di questa domenica è, perciò, davvero attuale: sono davvero molti coloro che si sentono più giusti degli altri; potremmo dire che il "tempio" di questo mondo è stracolmo di gente che "presume di essere giusta e disprezza gli altri". Il fariseo, che sta ritto in piedi davanti all’altare e ringrazia Dio per la vita buona che conduce, non è solo, è circondato dalla maggioranza. Il fariseo ha da vantare cose che la maggioranza difficilmente può presentare. In effetti ha qualcosa di esemplare: che vada al tempio è cosa buona; è anche bello che non si nasconda da una parte e non si metta in fondo vicino alla porta, come accadeva e accade ancora in molte nostre chiese. Inoltre, quel che il fariseo dice è vero: non è un ladro, non è un imbroglione, non tradisce la moglie ed è diverso da quel pubblicano che si è fermato in fondo. Poi digiuna veramente due volte la settimana e paga le offerte. Non sono cose da poco; non tutti le fanno. È quindi anche giusto che ringrazi Dio. Insomma sembra davvero a posto in tutto.
Quanto al pubblicano, c’è da dire la stessa cosa, sebbene in tutt’altro senso. Che si fermi in fondo al tempio non è poi così esemplare; e se non ha il coraggio di alzare gli occhi al cielo è certo per buoni motivi. Se si batte il petto, lo fa a ragione. Si definisce peccatore e lo è veramente. Insomma, non è una persona che possiamo definire "per bene". Ma lo sa ed è pentito. Ed è proprio qui il motivo che fa rovesciare il giudizio della parabola. Gesù dice chiaramente che davanti a Dio non contano le opere che uno può accampare, bensì l’atteggiamento del cuore.
Questa parabola è certo una lezione sulla preghiera, ma ancor più lo è circa l’atteggiamento da avere davanti a Dio. Il peccato del fariseo non è sul piano delle pratiche religiose (le osserva tutte e con scrupolo), ma su quello della presunzione, dell’autosufficienza, della grettezza e della cattiveria, che lo spinge a giudicare con disprezzo il pubblicano peccatore. Lo si vede, che è un peccatore, da come giudica il pubblicano: senza pietà. Il fariseo sale al tempio non per chiedere aiuto o per invocare il perdono; anzi, si sente in grado di fare lui le sue offerte a Dio. Ha un cuore pieno di sé.
Il pubblicano, pur avendo raggiunto un notevole benessere nella vita - magari è anche temuto - al contrario si sente bisognoso. Egli sale al tempio non a mani colme ma vuote, non per offrire ma per chiedere. Il suo atteggiamento davanti a Dio è quello di un mendicante che tende la mano (profittiamo per ricordare che i mendicanti davanti alle chiese sono il segno della nostra condizione davanti a Dio, come scrive sant’Agostino). Per l’evangelista, il pubblicano è il prototipo del vero credente: questi non confida in sé e nelle proprie opere, anche buone, ma solo in Dio. È ancora una volta il paradosso evangelico: "chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato" (v. 14). Sta anche scritto: "Chi è povero cerca il Signore",
non chi si sente giusto. È una grande verità e una grande saggezza che il Vangelo oggi propone alla nostra riflessione.

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