PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Liturgia della domenica
Parola di Dio ogni giorno
Libretto DEL GIORNO
Liturgia della domenica

Omelia

“Rallegratevi! Esultate e gioite voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione!”. Così abbiamo recitato all’inizio di questa Santa Liturgia che proprio per questo è chiamata Laetare. Si può essere contenti in quaresima? A noi, che poniamo la gioia nell’avere tutto, sembra impossibile rallegrarci. Eppure la Liturgia insiste: “Rallegratevi!”. Il Signore infatti non chiede sacrifici, ma misericordia. “Rallegratevi!”, perché il Signore libera dai semi d’inimicizia che ci allontanano dagli altri e rendono triste la vita. È quel che accade a quel cieco di cui ci parla il Vangelo.
Tutti coloro che passavano per la via vedevano quell’uomo povero, che chiedeva l’elemosina. In pochi gli gettavano qualche spicciolo per poi proseguire sulla propria strada. Gesù invece lo vede e si ferma; non passa oltre. Anche i discepoli si fermano e lo guardano. Ma è uno sguardo diverso da quello di Gesù. Per i discepoli diviene un caso su cui intavolare una disputa, interessati come sono più alle teorie che a quel povero disgraziato. Si potrebbe dire che si tratta di una questione piuttosto importante: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Secondo il giudaismo corrente, la disgrazia era effetto del peccato: Dio castigava l’uomo in proporzione alla sua colpa. Questa concezione ha in verità attraversato i secoli ed è entrata a far parte anche della mentalità di molti cristiani sino ai nostri giorni. Non è raro sentir dire che Dio sta all’origine di questo o quel malanno. E quanta gente, in occasioni di disgrazie, esclama: “Ma che male ho fatto perché il Signore mi punisca in questo modo?”. È una concezione totalmente errata, triste e assolutamente offensiva del Signore; quasi che Egli stia spiando le nostre debolezze per colpirci ancor più.
In questa pagina Gesù si scaglia contro tale concezione: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori”. Non risponde alla questione teorica (e certamente drammatica) della presenza del dolore e della malattia in questo mondo. Spiega però chiaramente qual è l’atteggiamento di Dio di fronte al male: il Signore non solo non è uno che infligge il male ai suoi figli (su questo Gesù è categorico), ma neppure è indifferente ai drammi e alle malattie che si abbattono su di loro. Egli viene in nostro soccorso per salvarci, e per farci guarire dal male se siamo colpiti. È la vicenda di quel cieco. Mentre i discepoli discutono se quell’uomo sia colpevole o meno, Gesù lo ama, gli si avvicina e lo tocca con tenerezza. La vicinanza affettuosa di Gesù guarisce quell’uomo dalla sua malattia. In quella mano che tocca si compie il mistero dell’amore di Dio. Sì, il mistero non è una realtà incomprensibile. È piuttosto incomprensibile la durezza e la cattiveria degli uomini. Il mistero non è una realtà che non si tocca. È purtroppo vero che spesso gli uomini sono distanti a tal punto da non riuscire né a parlarsi né ad amarsi. Ma quando quella mano si stende e tocca quell’uomo, ecco che tocchiamo il mistero e possiamo comprendere quant’è grande l’amore di Dio per noi.
Gesù non risponde alla domanda astratta su chi è colpevole (“Né lui ha peccato, né i suoi genitori”) ma guarisce quell’uomo. Gesù apre gli occhi perché si manifesti l’opera di Dio, cioè una vita libera dal male. Il Signore non condanna; non si nasconde dietro la fredda giustizia come i farisei; non scarica ad altri ogni responsabilità. Gesù si fa carico della debolezza e guarisce: si ferma, parla, stende la sua mano ed invita quel cieco a lavarsi nella piscina di Siloe. Il cieco vi “andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Come ritroviamo la vista? Ascoltando il Vangelo, seguendo quello che lui ci chiede, prendendo sul serio la sua parola. La gente non credeva che quell’uomo fosse lo stesso mendicante conosciuto da tutti. Per il mondo è impossibile esser diversi. I farisei, addirittura, s’infastidiscono per quel cambiamento. Avrebbero dovuto gioire per un uomo che inizia a vedere, per qualcuno che ritrova speranza, sorriso, gioia.
Ma i farisei sono uomini lontani dalla vita e privi di passione per gli altri. A loro interessa l’apparenza. Così lo cacciano via, indifferenti per la sua gioia, che anzi sembra vogliano umiliare. Gli ricordano pesantemente come era nato tutto nel peccato! Per loro il castigo veniva da Dio ed era una condanna. Un cuore freddo, una giustizia senza amore, parole senza bontà davvero non cambiano nulla della vita. Occorre volere bene, tendere la mano a chi ha bisogno, fermarsi, parlare. Solo così, incontrando gli altri come Gesù, possiamo aiutare chi non vede a ritrovare la vista. Gesù incontra di nuovo quel cieco. Guarda il suo cuore e cerca in lui un amico, un discepolo. “Credo, Signore!”, disse quell’uomo che era stato cieco. È la professione di fede di un uomo che, amato, riconosce nell’amore il volto di Dio. È la luce di Gesù, luce che vince il male, luce che illumina la vita e la rende eterna.