XIX del tempo ordinario Leggi di più
Omelia
Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù disse ai suoi discepoli di salire sulla barca e di precederlo all’altra riva, mentre lui avrebbe continuato a parlare con la folla. Potremmo definirla l’icona della misericordia: Gesù solo con la folla che lo attornia. Ma segue subito un’altra icona, o meglio l’altra faccia della stessa icona: Gesù, sul monte, solo davanti al Padre. Direi che è impossibile separare queste due immagini: esse fanno parte della stessa icona; l’una rende ragione dell’altra. Nell’immagine di Gesù solo davanti a Dio è come fissato quel singolarissimo, unico rapporto che lega Gesù al Padre. Dal rapporto con il Padre sgorga tutto quel che segue.
I discepoli sono in mezzo alle acque, anche loro soli, senza Gesù e senza la folla: sono soli con loro stessi. Quanto sono diverse queste due solitudini; quella di Gesù, sul monte alla presenza di Dio e quella dei discepoli, sulle acque agitate. L’evangelista sembra quasi suggerire che è logico, quando si è soli con se stessi, che sorgano tempeste. I discepoli, del resto, avevano già sperimentato una situazione analoga (Mt 8,23-27) in mezzo al lago mentre Gesù dormiva; figuriamoci ora che è assente. Quando si è soli con se stessi non è possibile sottrarsi alla tempesta della vita. I discepoli passano così quella notte: nella paura e nella lotta contro le onde agitate e il vento contrario. Quasi all’alba, Gesù, camminando sulle acque, si avvicina verso quella barca che lotta tra gravi difficoltà. I discepoli, al vederlo, hanno paura: pensano sia un fantasma. Alla paura delle onde si aggiunge quella del fantasma. Non hanno ancora compreso chi è Gesù. Egli stesso deve intervenire per rassicurarli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. È una voce rassicurante, sentita tante volte. Eppure la loro paura è più forte; e il dubbio persiste. Pietro, a nome di tutti, chiede una prova: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Essi sanno bene cosa significa questo segno. Non è, appunto, un semplice atto miracoloso, ma un “segno” che rinvia direttamente a Dio, come era scritto nel Salmo 77. Si apre la seconda scena. Gesù dice a Pietro: “Vieni!”. Pietro obbedisce a Gesù e inizia a camminare sulle onde. Ma il dubbio e la paura, ancora ben radicati nel suo cuore, prendono il sopravvento e Pietro sta per essere inghiottito dalle onde. A questo punto, davvero disperato, Pietro grida: “Signore, salvami!”. Due sole parole, gridate forse in modo scomposto, ma piene di speranza. E “Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (v. 31). È una scena che delinea bene la situazione del discepolo. Nella storia della Chiesa questo episodio ha sempre costituito l’immagine tipica del dubbio; esso, in effetti, non è per nulla insolito nella vita dei discepoli. Anzi, come il Vangelo stesso ci ricorda, ne scandisce spesso la vita. Come pure scandisce l’esperienza di ogni credente. Tutti possiamo sentirci vicini a Pietro, riconoscerci nei suoi dubbi, nelle sue incertezze e nelle sue paure. Ma c’è da comprendere bene in che senso si deve parlare di certezza nella fede. La certezza non la si deve cercare dalla parte dell’uomo; noi tutti infatti siamo deboli, fragili, dubbiosi ed anche traditori. La certezza va cercata dalla parte di Dio: egli non ci abbandonerà al nostro destino triste, non ci lascerà travolgere dal mare impetuoso del male, non permetterà che le onde impetuose della cattiveria ci inghiottano. Quel che conta - e in questo dobbiamo imitare Pietro - è gridare come lui: “Signore, salvami!”. In questa semplice preghiera è nascosto il mistero semplice e profondo della fede: Gesù è l’unico che può salvarci.