PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Memoria della Chiesa
Parola di Dio ogni giorno
Libretto DEL GIORNO
Memoria della Chiesa
giovedì 29 novembre


Lettura della Parola di Dio

Alleluia, alleluia, alleluia !

Io sono il buon pastore,
le mie pecore ascoltano la mia voce
e diventeranno
un solo gregge e un solo ovile.

Alleluia, alleluia, alleluia !

Dal secondo libro delle Cronache 35,1-26

Giosia celebrò in Gerusalemme la pasqua per il Signore. Gli agnelli pasquali furono immolati il quattordici del primo mese. Il re ristabilì i sacerdoti nei loro uffici e li incoraggiò al servizio del tempio. Egli disse ai leviti che ammaestravano tutto Israele e che si erano consacrati al Signore: "Collocate l'arca santa nel tempio costruito da Salomone figlio di Davide, re di Israele; essa non costituirà più un peso per le vostre spalle. Ora servite il Signore vostro Dio e il suo popolo Israele. Disponetevi, secondo i vostri casati, secondo le vostre classi, in base alla prescrizione di Davide, re di Israele, e alla prescrizione di Salomone suo figlio. State nel santuario a disposizione dei casati dei vostri fratelli, dei figli del popolo; per i leviti ci sarà una parte nei singoli casati. Immolate gli agnelli pasquali, purificatevi e mettetevi a disposizione dei vostri fratelli, secondo la parola del Signore comunicata per mezzo di Mosè".

Giosia diede ai figli del popolo, a quanti erano lì presenti, del bestiame minuto, cioè tremila agnelli e capretti come vittime pasquali, e in più tremila buoi. Tutto questo bestiame era di proprietà del re. I suoi ufficiali fecero offerte spontanee per il popolo, per i sacerdoti e per i leviti. Chelkia, Zaccaria, Iechièl, preposti al tempio, diedero ai sacerdoti, per i sacrifici pasquali, duemilaseicento agnelli e capretti, oltre trecento buoi. Conania, Semaia e Netaneèl suoi fratelli, Casabia, Iechièl e Iozabàd capi dei leviti, diedero ai leviti, per i sacrifici pasquali, cinquemila agnelli e capretti, oltre cinquecento buoi. Così tutto fu pronto per il servizio; i sacerdoti si misero al loro posto, così anche i leviti secondo le loro classi, secondo il comando del re. Immolarono gli agnelli pasquali: i sacerdoti spargevano il sangue, mentre i leviti scuoiavano. Misero da parte l'olocausto da distribuire ai figli del popolo, secondo le divisioni dei vari casati, perché lo presentassero al Signore, come sta scritto nel libro di Mosè. Lo stesso fecero per i buoi. Secondo l'usanza arrostirono l'agnello pasquale sul fuoco; le parti consacrate le cossero in pentole, in caldaie e tegami e le distribuirono sollecitamente a tutto il popolo. Dopo, prepararono la pasqua per se stessi e per i sacerdoti, poiché i sacerdoti, figli di Aronne, furono occupati fino a notte nell'offrire gli olocausti e le parti grasse; per questo i leviti prepararono per se stessi e per i sacerdoti figli di Aronne. I cantori, figli di Asaf, occupavano il loro posto, secondo le prescrizioni di Davide, di Asaf, di Eman e di Idutun veggente del re; i portieri erano alle varie porte. Costoro non dovettero allontanarsi dal loro posto, perché i leviti loro fratelli prepararono tutto per loro.

Così in quel giorno fu disposto tutto il servizio del Signore per celebrare la pasqua e per offrire gli olocausti sull'altare del Signore, secondo l'ordine del re Giosia. Gli Israeliti presenti celebrarono allora la pasqua e la festa degli azzimi per sette giorni. Dal tempo del profeta Samuele non era stata celebrata una pasqua simile in Israele; nessuno dei re di Israele aveva celebrato una pasqua come questa celebrata da Giosia, insieme con i sacerdoti, i leviti, tutti quelli di Giuda, i convenuti da Israele e gli abitanti di Gerusalemme.

Questa pasqua fu celebrata nel decimottavo anno del regno di Giosia.

Dopo tutto ciò, dopo che Giosia aveva riorganizzato il tempio, Necao re d'Egitto andò a combattere in Carchemis sull'Eufrate. Giosia marciò contro di lui. Quegli mandò messaggeri a dirgli: "Che c'è fra me e te, o re di Giuda? Io non vengo contro di te, ma contro un'altra casa sono in guerra e Dio mi ha imposto di affrettarmi. Pertanto non opporti a Dio che è con me affinchè egli non ti distrugga". Ma Giosia non si ritirò. Deciso ad affrontarlo, non ascoltò le parole di Necao, che venivano dalla bocca di Dio, e attaccò battaglia nella valle di Meghiddo.

Gli arcieri tirarono sul re Giosia. Il re diede l'ordine ai suoi ufficiali: "Portatemi via, perché sono ferito gravemente". I suoi ufficiali lo tolsero dal suo carro, lo misero in un altro carro e lo riportarono in Gerusalemme, ove morì. Fu sepolto nei sepolcri dei suoi padri. Tutti quelli di Giuda e di Gerusalemme fecero lutto per Giosia. Geremia compose un lamento su Giosia; tutti i cantori e le cantanti lo ripetono ancora nei lamenti su Giosia; è diventata una tradizione in Israele. Esso è inserito fra i lamenti.

Le altre gesta di Giosia, le sue opere di pietà secondo le prescrizioni della legge del Signore,

 

Alleluia, alleluia, alleluia !

Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate l'un l'altro.

Alleluia, alleluia, alleluia !

Il racconto sottolinea la centralità che la celebrazione della Pasqua ha assunto nella vita di Israele, come voluta da Giosia. Il testo si sofferma sui preparativi rituali per il sacrificio pasquale. Prima vengono esortati i sacerdoti a compiere con zelo e attenzione i loro compiti. Poi il re si rivolge ai leviti incaricandoli della costruzione, del mantenimento e del servizio decoroso del tempio. Il loro compito particolare, oltre l’istruzione del popolo, è però riporre l’arca santa nel tempio: “Egli disse ai leviti che ammaestravano tutto Israele e che si erano consacrati al Signore: Collocate l’arca santa nel tempio costruito da Salomone, figlio di Davide, re di Israele; essa non costituirà più un peso per le vostre spalle. Ora servite il Signore vostro Dio, e il suo popolo Israele” (v. 3). Il re sottolinea la “leggerezza” dell’arca: vuole intendere quella della Legge. È l’osservanza della Parola di Dio, infatti, che libera Israele dal giogo davvero pesante della schiavitù. Gesù lo dirà ai suoi discepoli: “Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,30). La radicalità della sequela libera dalle tante schiavitù sia dell’io che dei tanti idoli che di tempo in tempo vengono proposti. I leviti devono dedicarsi all’insegnamento e alla predicazione, a rendere comprensibile e attuale la Parola di Dio, appunto perché aiuti a scegliere la vera libertà. La Parola di Dio, infatti, non è una lettera morta in uno scritto. Essa è viva e accompagna i credenti come una luce sempre nuova che rischiara i passi nel cammino verso il regno. Ai leviti spetta inoltre un ufficio importante nella celebrazione della Pasqua perché tutto si svolga nell’ordine e nel rispetto della santità di Dio e del suo tempio. La descrizione mostra una festa sontuosa e solenne che cerca di armonizzare differenti tradizioni circa gli animali da offrire. Ma quel che sembra interessare maggiormente il Cronista è la peculiarità di questa celebrazione pasquale indetta da Giosia. Il re ha fatto della Pasqua la più completa espressione del culto di Israele. È una festa che riunisce in una forte comunione re, sacerdoti, leviti e tutto il popolo. Si potrebbe dire che è l’immagine più alta dell’alleanza tra Dio e Israele. In tal modo Giosia porta al culmine la promessa fatta da Davide a Salomone quando gli disse: “Sii forte e coraggioso; mettiti al lavoro, non temere e non abbatterti, perché il Signore Dio, il mio Dio, è con te. Non ti lascerà e non ti abbandonerà finché tu non abbia terminato tutto il lavoro per il tempio del Signore” (l Cr 28,20). Ed in effetti, l’idolatria era stata sradicata, il tempio ricostruito, il libro della Legge presentato alla comunità, il re e il popolo si erano uniti in alleanza con il Signore e il servizio liturgico completo al Signore era stato organizzato. Ma ecco di nuovo affacciarsi la prova. Il Cronista scrive: “Necao, re d’Egitto, salì a combattere a Càrchemis sull'Eufrate”. Giosia, diversamente da Ezechia, che quando venne attaccato invocò l’aiuto del Signore, non solo non chiese l’aiuto di Dio ma attaccò Necao, il quale peraltro non aveva alcuna intenzione di invadere la Giudea. Gli mandò infatti a dire: “Che c'è tra me e te, o re di Giuda? Io non vengo oggi contro di te, ma sono in guerra contro un'altra casa”. Il faraone non si espresse in modo superbo e blasfemo come Sennàcherib. Volle solo mettere in guardia Giosia dicendo di avere per lui una parola profetica da parte del Signore stesso: “Dio mi ha imposto di affrettarmi. Pertanto non opporti a Dio che è con me, affinché egli non ti distrugga”. Giosia non tenne conto dell’avvertimento del Signore fattogli per bocca del faraone, e lo attaccò. Il re fu sconfitto e ucciso, ma più che dal faraone, dal suo orgoglio.