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Liturgia della domenica
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XIII del tempo ordinario
Memoria dei primi martiri della Chiesa di Roma durante la persecuzione di Nerone.
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Liturgia della domenica
domenica 30 giugno

Omelia

Il brano evangelico ci presenta Gesù in un momento di svolta della sua vita. Si legge, infatti, nel versetto d’inizio che si stavano ormai avvicinando i giorni in cui egli sarebbe stato “tolto” dal mondo. Di fronte a questa imminenza, Gesù “si diresse decisamente verso Gerusalemme” (letteralmente: “indurì il suo volto verso Gerusalemme”). Si tratta di una decisione ferma e irremovibile. Gesù sapeva quello che avrebbe significato per lui salire a Gerusalemme: ossia la morte come conclusione dello scontro decisivo con i capi religiosi. In altre parti del Vangelo si parla dell’opposizione dei discepoli alla decisione del maestro, avendo anch’essi intuito il pericolo che Gesù correva. Ma la predicazione del Vangelo a Gerusalemme era decisiva per Gesù. Poco più avanti dirà: “È necessario che io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori da Gerusalemme” (Lc 13,33). Da questo momento in poi l’evangelista fa iniziare a Gesù un lungo pellegrinaggio verso Gerusalemme. Non è un semplice artificio letterario. Per l’evangelista il viaggio a Gerusalemme è emblematico dell’intera vita dei discepoli: essere pellegrini verso Gerusalemme, la città della pace. Il Vangelo parla della Gerusalemme terrena (quanto sarebbe importante che i responsabili della politica si incamminassero “decisamente” verso questo traguardo!). Ogni città ha diritto alla pace, ma Gerusalemme ce l’ha scritto nel nome stesso. In verità il traguardo è verso la Gerusalemme del cielo, verso la pienezza del regno di Dio.
In questo viaggio di Gesù noi saremo guidati dal Vangelo per essere accanto a lui. Possiamo paragonare il Vangelo che ci verrà annunciato di domenica in domenica al mantello che il profeta Elia gettò sulle spalle di Eliseo, come ascoltiamo dalla prima lettura della liturgia (1 Re 19,16.19-21). Elia incontra Eliseo mentre sta arando con dodici paia di buoi. Passandogli accanto, il profeta gli getta sulle spalle il suo mantello. Eliseo, nota la scrittura, “lasciò i buoi e corse dietro a Elia”. Eliseo non voleva perdere il legame con il profeta. Ma in seguito Elia scomparve e a Eliseo rimase il mantello del maestro. Ogni domenica il Vangelo sarà per noi questo mantello, gettato sulle nostre spalle, perché possiamo correre dietro a Gesù. E non sarà un giogo pesante che schiaccia. Al contrario, ci è dato per la nostra libertà. L’apostolo Paolo, nella seconda lettura (Gal 5,1.13-18), lo dice chiaramente: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi, infatti, siete stati chiamati a libertà” (vv. 1.13). E la libertà è, appunto, poter seguire Gesù in questo viaggio.
I due episodi ricordati nel Vangelo di questa domenica lo esplicitano bene. Il primo è ambientato in un villaggio di samaritani, una comunità ostile agli ebrei. Quando due discepoli vanno a chiedere agli abitanti di quel villaggio di ospitare Gesù, si trovano davanti a un netto rifiuto. La reazione dei discepoli è altrettanto netta e implacabile: ““Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Ma Gesù si voltò e li rimproverò” (vv. 54-55). Anche noi avremmo reagito come quei discepoli. Gesù però non è d’accordo. Il Vangelo è estraneo al modo di reagire del mondo e sempre lo sarà, per fortuna! Guai se dovessimo applicare la nota legge: “Occhio per occhio e dente per dente”. Saremmo tutti ciechi e sdentati. Seguire il Vangelo vuol dire accogliere Gesù e il suo spirito nella nostra vita, metterci dietro di lui senza riserve. “Seguimi” è il termine che fa da raccordo tra i vari quadretti evangelici. Analogamente dovrebbe legare i nostri giorni al Signore.
Seguire Gesù, legarsi a lui, comporta non pochi scioglimenti, tagli e distacchi. Ci viene spiegato attraverso i paradossi del funerale del padre e del saluto alla famiglia, vietati al discepolo. Gesù non vuole impedire atti di pietà e di umanità. Vuole affermare con chiarezza inequivocabile il primato assoluto del Vangelo sulla nostra vita. E non è una pretesa del più forte. Egli sa bene che non c’è libertà al di fuori di lui: o liberi con lui o schiavi dei tanti padroni di questo mondo. Non c’è alternativa. Ma Gesù ci vuole liberi. Per questo grande dono della libertà è disposto a rinunciare persino alla sua stessa vita. Ecco la ragione ultima della grave affermazione finale: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno dei cieli” (v. 62).