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Liturgia della domenica
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domenica 3 agosto

Omelia

Il Vangelo di questa diciottesima domenica del tempo ordinario narra la prima moltiplicazione dei pani in Matteo (14,13-21). L’episodio è riportato ben sei volte nei Vangeli (due in Matteo e Marco e una rispettivamente in Luca e Giovanni). Evidentemente aveva molto colpito la comunità dei primi discepoli, tanto da far parte di quelle poche pagine evangeliche comuni a tutti e quattro gli evangelisti. Di quelle, possiamo dire, che sintetizzano la missione stessa di Gesù. Già dall’inizio della narrazione restiamo toccati dalla tenerezza e dalla compassione del profeta di Nazareth.
Egli, dopo aver saputo della uccisione del Battista, si ritira nel deserto. La morte del Battista è un segnale pericoloso anche per lui. Ma la gente continua a seguirlo, lo bracca da vicino. Questa volta, dopo che lui ha preso la barca, si affrettano a correre verso l’altra riva, dov’egli approderà. In effetti, toccata la riva, Gesù vede davanti a sé tutta quella folla. È gente affannata, esausta per la fatica e soprattutto in cerca di un pastore, di qualcuno che si prenda cura di loro. Il cuore di Gesù, come tante altre volte è accaduto, non resiste alla commozione: guarisce i malati che gli presentano e poi, com’è sua abitudine, si ferma con loro e si mette a parlare e a insegnare. Fino a sera. Tutti stanno a sentirlo. È utile notare che quella folla non era anzitutto priva di pane; era in verità priva di parole vere sulla propria vita, sul proprio destino, priva di qualcuno che si chinasse su di loro e sui propri malati. Per questo si è fermata tutto il giorno accanto a Gesù per ascoltarlo. Davvero, in questa scena, possiamo scorgere l’icona di quanto dice Gesù: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Tuttavia, il Signore sa bene che l’uomo vive anche di pane. In altra parte del Vangelo aveva esortato: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, ... Cercate invece, anzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,25-34). È appunto quello che accade in questo brano della moltiplicazione dei pani. I discepoli, invece, che pensano di essere più premurosi di Gesù, verso il tardo pomeriggio, lo interrompono: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. È un comportamento normale, anzi quasi premuroso. Ma Gesù ribatte: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. C’è qui un invito alla responsabilità di ognuno, contro la ben radicata abitudine alla delega: “ognuno pensi a sé!” (è il pensiero dei discepoli in questo caso), oppure “ci pensino le autorità costituite!”. Il Signore chiede ai suoi discepoli un comportamento totalmente diverso. Quella folla non deve essere mandata via. Sono loro – i discepoli – che debbono aiutarla. Il Signore dice questo ben sapendo che nelle mani dei discepoli c’è poco: appena cinque pani e due pesci; nulla per cinquemila uomini. Eppure i discepoli debbono rispondere e non rimandare indietro nessuno. Il miracolo inizia proprio qui: dalla nostra debolezza messa con fiducia nelle mani del Signore. Essa viene moltiplicata. La povertà diventa abbondanza. I miracoli, infatti, sono spesse volte bloccati dalla avarizia dei singoli e delle nazioni. Tanta gente resta affamata e muore, non per la mancanza di cibo, ma perché i singoli e le nazioni lo sprecano e lo distruggono per la loro avarizia. In questo brano evangelico è chiaro che il miracolo è operato dal Signore, ma egli non lo compie senza l’aiuto dei discepoli. Ha bisogno delle nostre mani, anche se deboli; delle nostre risorse, anche se modeste. Se tutte sono riunite nelle mani del Signore diventano forza e ricchezza. È anche questo il senso delle dodici ceste piene del pane e dei pesci avanzati: ad ogni discepolo, ad ognuno dei Dodici, è consegnato uno di quei cesti perché senta la grave e dolce responsabilità di distribuire quel pane che la misericordia di Dio ha moltiplicato nelle sue mani.