PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Liturgia della domenica
Parola di Dio ogni giorno

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X del tempo ordinario.
Memoria di san Bonifacio, vescovo e martire. Annunciò il Vangelo in Germania e fu ucciso mentre celebrava l'Eucarestia (+754).
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domenica 5 giugno

Omelia

Il Vangelo ci presenta Gesù che cammina per le strade e le piazze della sua terra, seguito dai discepoli e da molta folla. È una scena notata spesso dagli evangelisti. Questi viaggi di Gesù non sono spostamenti compiuti per propria soddisfazione, oppure per scoprire cose nuove o comunque per soddisfare propri interessi. Gli evangelisti notano, fin dall'inizio della vita pubblica di Gesù, che il motivo di questo suo camminare per le strade degli uomini nasce dalla "compassione" per le folle "stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore" (Mt 9,36). Per questo, nota Matteo, Egli: "Percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e infermità" (Mt 9,35).
Il brano del Vangelo di Luca ci narra di Gesù che si avvicina alla cittadina di Nain. Giunto alle sue porte incrocia un altro corteo: è una folla di gente che accompagna al cimitero una povera vedova che ha perduto l'unico suo figlio. Gesù non passa oltre, non prosegue per la "sua" strada come magari facciamo noi, oppure, come accade talora, ci fermiamo in attesa che il corteo passi e poi continuiamo per la nostra meta. Gesù, guarda quel corteo e vede quella vedova che piange disperatamente per la perdita dell'unico figlio. E si ferma. È preso da una forte "compassione". Il termine "compassione" oggi lo abbiamo come depotenziato; è divenuto un sentimento legato al disprezzo, o comunque considerato negativamente. Eppure la compassione è il cuore dell'intera vicenda biblica. Tutto nella Scrittura, dalla prima all'ultima pagina, parla della compassione di Dio che ha lasciato il cielo per venire sulla terra incontro agli uomini e salvarli dal potere del male e della morte. Il termine "compassione" nella Scrittura è inteso in maniera forte: è un amore che fa uscire da se stessi per accorgersi degli altri, che porta ad amare gli altri prima di se stessi, che spinge a dare la propria vita per gli altri. Questa è la compassione che muove il Signore e che nell'inviare il Figlio raggiunge il suo culmine.
La vicenda della guarigione del figlio della vedova di Zarepta - narrata dal primo libro dei Re - è un segno di quel che sarebbe accaduto nella pienezza dei tempi quando la "compassione" si sarebbe fatta persona in Gesù di Nazareth. Sì, Gesù è il compassionevole, colui che dà la sua stessa vita per gli altri. Fin dal libro dell'Esodo vediamo Dio che ha compassione per il suo popolo schiavo in Egitto e decide di "scendere" per liberarlo. Chiama, infatti, Mosè e lo invia dal faraone perché liberi il popolo di Israele. E così continua a fare lungo la storia di Israele inviando di tempo in tempo i profeti. La vicenda di Elia si inscrive in questa storia della compassione di Dio per gli uomini. Con Gesù, che è il compassionevole, la commozione di Dio raggiunge il suo culmine. È una compassione forte e potente. Non si tratta di un sentimento svilito. È facile oggi ascoltare come un'accusa l'essere "buonista".
La compassione è un sentimento forte, robusto, che cambia la vicenda umana, che muove la storia verso il bene, che forza il male e lo sconfigge. È quel che accadde in quel giorno alle porte della città di Nain. Gesù fece fermare il corteo funebre e si rivolse direttamente a quel giovane steso sul suo lettuccio di morte: "Giovinetto, dico a te, alzati!" Quel giovane, all'udire la voce di Gesù, si levò, si mise a sedere sul lettuccio dove era disteso e iniziò a parlare. La parola di Gesù ricrea la vita, fa rialzare dalla disperazione e da una vita come di morte. Perché? Perché quelle parole grondano misericordia, coinvolgimento, compagnia, amore viscerale. È impossibile resistervi. Quel giovane le ascoltò e, seppure era morto, si rialzò. Anche il centurione di Cafarnao disse a Gesù: "dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito" (Mt 8,8). E così avvenne. La parola di Gesù è forte perché piena di amore e di compassione. L'evangelista non riporta cosa disse questo giovane a Gesù, alla madre, alla folla, e tutto sommato non ci interessa più di tanto. Quel che conta sono le parole di Gesù. Sono queste parole che i cristiani debbono continuare a ripetere con lo stesso amore con cui le ha pronunciate Gesù. Vengono in mente i tanti giovani di oggi abbandonati a se stessi e schiavi dei tanti miti di questo mondo. La loro vita è in balia di miti che li stringono sempre più violentemente nelle loro spire voraci stritolandoli sino alla morte. E quel che impensierisce ancor più è la solitudine nella quale sono lasciati. Chi dice loro le parole del Vangelo? Chi si ferma e li ama con l'amore di Gesù? Chi spende la propria vita per stare accanto a loro con amore compassionevole?
Purtroppo la cultura dominante - quella di cui tutti siamo figli - ci spinge a pensare ciascuno ai propri affari. E spesso, anche all'interno delle famiglie, ciascuno è attento solo a se stesso. C'è bisogno di riscoprire la compassione di Gesù che spinge a coinvolgerci con la vita di tutti e particolarmente dei più deboli, dei giovani, dei nostri ragazzi. Hanno bisogno di persone che si commuovano su di loro subito e non solo quando è ormai troppo tardi. Capita anche oggi che in tanti ci raccogliamo attorno alle bare di giovani stroncati violentemente dalla morte. Dobbiamo chiederci se non sia troppo tardi. È urgente parlare ai giovani come faceva Gesù, con l'autorevolezza dell'amore, con l'autorevolezza di chi spende la vita per loro. Queste parole toccano il cuore e fanno rialzare da una vita che altrimenti è come se fosse già morta. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci spinge a metterci ancora una volta alla sequela di Gesù per accogliere in noi il suo amore e poter operare quel che lui stesso ha operato. Lui stesso disse un giorno ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi" (Gv 14,12).