PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Liturgia della domenica
Parola di Dio ogni giorno
Libretto DEL GIORNO
Liturgia della domenica
domenica 26 marzo

Omelia

Questa domenica è chiamata laetare (domenica della letizia) dalla prima parola del canto d'ingresso della liturgia. È l'invito a interrompere per un momento la severità del tempo quaresimale. Il colore viola, segno proprio di un tempo di penitenza, cede il passo al rosa, come a volerci far gustare già da ora la gioia della Pasqua di risurrezione. La letizia che viene suggerita non promana certo dalla condizione in cui versa il mondo in questo tempo. Anzi, guardando quel che continua ad accadere è semmai davvero difficile trovare i motivi per rallegrarsi: quanti conflitti insanguinano ancora la terra! E quanti poveri e deboli continuano ad essere abbandonati ed esclusi! Eppure la liturgia insiste: «Rallegratevi!» Il motivo della gioia, care sorelle e cari fratelli, non viene dal mondo e neppure da noi; viene dall'avvicinarsi della Pasqua del Signore che trasforma la morte in vittoria, la tristezza in letizia.
La vicenda del cieco nato che abbiamo ascoltato ci mostra degli occhi che tornano a vedere la ragione della gioia. Quel cieco da anni ormai stava seduto sul bordo di una strada a chiedere l'elemosina. La sua vita era ormai segnata. Né lui né gli altri pensavano che potesse cambiare. Era rassegnato a lasciarsi accompagnare alla sua postazione quotidiana con la speranza che qualche passante per pietà gli gettasse qualche elemosina. Quante persone aveva sentito passare accanto a lui che poi continuavano ad andare oltre per la loro strada! Ma ecco che un giorno qualcuno si ferma. È Gesù che sta passando. Appena vede quel cieco Gesù non passa oltre. Si ferma. L'evangelista fa intervenire subito i discepoli: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» Quel cieco per i discepoli è un caso su cui intavolare una disputa. Certo la questione non è di poco conto. Secondo il giudaismo corrente, la disgrazia era sempre un effetto del peccato commesso: Dio castiga l'uomo in proporzione della sua colpa. Il problema sta nel modo dei discepoli di guardare quell'uomo. Non sono interessati a lui, al suo dramma quotidiano, alla sua triste rassegnazione. A loro interessano le teorie, si potrebbe dire, i principi, non quell'uomo. Ben diverso è lo sguardo di Gesù. Risponde seccamente chiarendo che «né lui ha peccato né i suoi genitori». Il Padre di cui Gesù mostra il volto non è un padrone che spia le debolezze degli uomini per colpirli al momento della caduta. È vero il contrario.
Gesù vuole mostrare a quel cieco, anzitutto, e poi ai discepoli e a tutti, qual è l'atteggiamento di Dio di fronte al male o meglio di fronte a coloro che ne sono colpiti. Mentre tanti sono passati accanto a quell'uomo magari continuando distrattamente la loro strada, mentre i discepoli si fermano solo per discutere – mostrando così sia gli uni che gli altri una radicale cecità del cuore –, Gesù vedendolo si commuove, gli si avvicina e lo tocca con tenerezza e attenzione: prende della polvere e la inumidisce con la saliva e gliela spalma sugli occhi. È un gesto pensato. Quella mano che tocca gli occhi malati di quel cieco è la mano stessa di Dio. Non fece così il Signore nella creazione dell'uomo? È con il tocco fisico della mano di Gesù che inizia il miracolo della guarigione. Sì, il mistero dell'amore di Dio che guarisce non è una dimensione astratta, è concreta e fatta di gesti che giungono a toccare con tenerezza e affetto. In quella mano che toccava con attenzione gli occhi del cieco si rendeva presente la forza dell'amore che guarisce. Quel cieco quando si sentì toccare con la mano, non riebbe la vista, ma sentì che da quella mano usciva una forza di amore. E quando Gesù gli disse di andare a lavarsi alla piscina di Siloe, che significa "inviato", senza porre indugio obbedì e si recò alla piscina per lavarsi. L'evangelista, con rapidissima sintesi, scrive: vi «andò, si lavò e tornò che ci vedeva». Il miracolo si era compiuto attraverso quel gesto di tenerezza della mano di Gesù assieme all'obbedienza di quel cieco alla parola di quell'uomo che lo aveva toccato.
Questo processo di guarigione è un'indicazione anche per noi. Anche noi siamo spesso ciechi, ciechi perché abituati a guardare solo noi stessi, ciechi perché fissi a contemplare il nostro io e a dare spazio solo alle nostre convinzioni e alle nostre rassegnate tradizioni. Ma il Signore Gesù è stato inviato per «aprire gli occhi ai ciechi». Per sette volte in questo brano l'evangelista ripete la frase «aprire gli occhi». È una ripetizione per ogni giorno della settimana. È facile ricadere in una cecità di ritorno, vista la tentazione di restare fissi con gli occhi puntati solo su noi stessi. Così non vediamo più né il Signore né gli altri.
Abbiamo bisogno che Gesù si fermi ancora una volta accanto a noi e ci tocchi gli occhi del cuore. E se come quel cieco ci recheremo alla piscina di Siloe che per noi altro non è che la comunità, la preghiera, la santa liturgia, anche noi inizieremo a vedere non solo noi stessi, ma anche gli altri. Ma non basta ancora. Il brano evangelico suggerisce la guarigione come un cammino che richiede costanza e superamento delle difficoltà. Accadde così anche a quel cieco, una volta guarito. L'evangelista nota che la gente, al vederlo, non pensava fosse lui, ma una persona diversa. Per il mondo è impossibile cambiare, impossibile diventare diversi da come si è. I farisei, addirittura, s'infastidiscono per quel cambiamento. Avrebbero dovuto gioire per quell'uomo, ma erano talmente ciechi di fronte a quel che era accaduto, che provarono rabbia. Ma Gesù lo incontra nuovamente. È ancora Gesù che lo «trova», nota l'evangelista, come a sottolineare un amore che non abbandona. Abbiamo tutti bisogno di incontrare nuovamente Gesù. Non basta esser toccati una sola volta. Non basta ascoltare e obbedire una sola volta. Il Signore quando ci incontra – come fece con quel cieco – ci pone domande nuove. Non sono domande di approfondimento teorico. No, sono richieste di amore, richieste di crescita nella sequela. È questo il senso della parole: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?» Gesù, parlando in questo modo, cerca un amico, un discepolo da amare, un compagno con cui cambiare il mondo. Quel cieco rispose: «E chi è Signore, perché io creda in lui?» È la domanda che ci è stata posta sulle labbra in questa Quaresima: conoscere di più Gesù, il suo volto, il suo amore. E dalla liturgia, dalla Parola di Dio che continua a risuonare nelle nostre assemblee, ci sentiamo dire: «È colui che parla con te». Care sorelle e cari fratelli, assieme a quel cieco anche noi questa sera diciamo: «Credo, Signore!» È la nostra professione di fede di uomini e donne amati e guariti, che nuovamente si pongono alla sequela del Signore.

PAROLA DI DIO OGNI GIORNO: IL CALENDARIO