| 9 Novembre 2007 |
Roma, preghiera in memoria di Giovanna Reggiani |
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ROMA. Fianco a fianco. Pregando, insieme, avendo nel cuore Giovanna. Ogni panca piena e tantissima gente in piedi: quasi ottocento persone si sono incontrare ieri sera nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, alla «Preghiera in memoria di Giovanna Reggiani», organizzata dalla comunità di Sant’Egidio e guidata da monsignor Marco Gnavi per la Comunità stessa, dal Metropolita ortodosso di Parigi e Francia, Europa occidentale e meridionale Iosif e dal pastore della Chiesa valdese Antonio Adamo. Fra i presenti (tra loro anche il prefetto di Roma Carlo Mosca e il sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi): tantissimi romeni e diversi rom, molti italiani e altrettanti immigrati di diverse nazionalità, arrivati nella Basilica per «un momento di solidarietà e un esempio di convivenza pacifica fra persone di nazionalità, religioni e culture diverse», come lo ha definito Gabriel Rusu, rappresentante del 'Movimento per le genti di pace' promosso dalla Comunità di Sant’Egidio . «Qui, al di là del frastuono delle parole urlate e del senso di insicurezza che agita questi giorni – ha detto monsignor Gnavi – siamo venuti assieme per ritrovare la parola equilibrata e forte del Vangelo, tanto luminosa da svelare il profilo dei volti di ciascuno, dissipando le tenebre che ne deformano i tratti e rendono tutti nemici». Violenza c’è stata, e fra le più brutali, inspiegabili: tuttavia «non vi si reagisce con altra violenza», ha sottolineato il Metropolita romeno ortodosso. E se la violenza diventa «una tentazione per tutti», questa stessa «non è invincibile» e «siamo chiamati a uno sforzo spirituale continuo per dominare questa tentazione».
Anzi, «noi cristiani possiamo assumerci il peso della violenza dell’altro e, con il dono dello Spirito Santo, possiamo dominare al violenza che è in noi». In fondo dobbiamo 'solo' scegliere fra la vita e la morte, perché – ha detto ancora monsignor Gnavi – «se vogliamo, il fuoco della violenza che rende la vita un inferno si accende in una progressione dal fastidio al pregiudizio, alla paura, fino alla distanza fra e me e l’altro tanto profonda da costituire un terreno fecondo per il germe di morte». (P.Cio.)
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