PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Memoria della Chiesa
Parola di Dio ogni giorno
Libretto DEL GIORNO
Memoria della Chiesa
giovedì 23 novembre


Lettura della Parola di Dio

Alleluia, alleluia, alleluia !

Io sono il buon pastore,
le mie pecore ascoltano la mia voce
e diventeranno
un solo gregge e un solo ovile.

Alleluia, alleluia, alleluia !

Dal libro degli Atti 26,1-32

Agrippa disse a Paolo: "Ti è concesso di parlare a tua difesa". Allora Paolo, fatto cenno con la mano, si difese così: "Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai Giudei, davanti a te, che conosci a perfezione tutte le usanze e le questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione. E ora sto qui sotto processo a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A motivo di questa speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! Perché fra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti?
Eppure anche io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere.
In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l'autorizzazione dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: "Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo". E io dissi: "Chi sei, o Signore?". E il Signore rispose: "Io sono Gesù, che tu perséguiti. Ma ora àlzati e sta' in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando per aprire i loro occhi,perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l'eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me".
Perciò, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste, ma, prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di convertirsi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. Per queste cose i Giudei, mentre ero nel tempio, mi presero e tentavano di uccidermi. Ma, con l'aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null'altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti".
Mentre egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: "Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!". E Paolo: "Non sono pazzo - disse - eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso infatti che niente di questo gli sia sconosciuto, perché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa, ai profeti? Io so che tu credi". E Agrippa rispose a Paolo: "Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!". E Paolo replicò: "Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che, non soltanto tu, ma tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventino come sono anche io, eccetto queste catene!".
Allora il re si alzò e con lui il governatore, Berenice e quelli che avevano preso parte alla seduta. Andandosene, conversavano tra loro e dicevano: "Quest'uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene". E Agrippa disse a Festo: "Quest'uomo poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare".


 

Alleluia, alleluia, alleluia !

Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate l'un l'altro.

Alleluia, alleluia, alleluia !

Paolo si trova ancora a Cesarea davanti al re Agrippa e qui per l'ultima volta pronuncia un lungo discorso in sua difesa. Dopo l'abituale captatio benevolentiae descrive la sua vita di ebreo osservante sino al punto di perseguitare i cristiani per la loro fede in Gesù risorto. E fu proprio mentre andava a incarcerare i cristiani di Damasco che Paolo dovette ricredersi: dopo la caduta gli appare Gesù. Paolo dice che a quel punto non solo non perseguitò più i cristiani ma divenne promulgatore di quel Vangelo che prima combatteva. E per il Vangelo ora è stato condotto in tribunale con ripetute minacce di morte. Paolo sta continuando il suo discorso quando il buon Festo – procuratore romano – si spazientisce e lo interrompe: «Sei pazzo, Paolo». Ritorna l'accusa di pazzia, di esaltazione o comunque di esagerazione rivolta agli apostoli il giorno di Pentecoste: «Questi sono ubriachi». Anche Gesù fu tacciato di follia. Il Vangelo sembra una pazzia, è vero. Ma non è maggiore pazzia la normalità di questo mondo che provoca guerre, violenze, distruzioni, ingiustizie? Per la mentalità comune, il Vangelo della pace, della misericordia, del perdono, dell'amore è una follia. Paolo risponde garbatamente e fa notare che si tratta di questioni decisive per la vita e si rivolge al re Agrippa che, in quanto ebreo, può comprenderle. Il re si accorge che, qualora acconsentisse, praticamente riconoscerebbe il cristianesimo come il compimento delle Scritture, e non può farlo. Se la cava facendo una battuta: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano». Il dibattito a questo punto si conclude, tanto più che Paolo deve essere giudicato a Roma. Ed è convinzione dell'uditorio che un sognatore come Paolo non avrebbe potuto mai far nulla che meritasse la morte o le catene. È innocente, ma resta in catene.