Da circa due anni la Comunità ha dato inizio a un programma di adozioni a distanza in Georgia.
Un piccolo territorio, meno di cinque milioni di abitanti, la Georgia era una delle Repubbliche più “facoltose” dell’universo sovietico. Patria di Stalin, aveva per questo ottenuto e mantenuto negli anni uno “status” privilegiato: le sue città sul Mar Nero erano famose in tutta l’Unione, luoghi di vacanza e di relax per molta parte della “nomenklatura”.
Oggi la Georgia, a poco più di un anno dalla “rivoluzione” che ha bruscamente interrotto il governo filo russo di Shevarnadze per sostituirlo con quello filo occidentale di Sachaschvili, offre di sé una immagine contraddittoria e in forte transizione.
Se si esce da Tbilisi, la capitale “ricca” almeno di luce, si sprofonda nel buio. Buio nelle strade, buio nelle case, buio anche negli ospedali: nell’ultimo mese almeno due persone sono morte perché è venuta improvvisamente a mancare la luce nelle sale operatorie.
La Comunità, dopo Batumi, inizierà il suo programma di adozioni a distanza a Kutaisi, la seconda città del paese. Qui, intorno a un centro che conserva ancora qualche traccia di un’antica bellezza, si stendono i grandi quartieri della periferia costruiti in epoca sovietica. Intorno a una grande fabbrica sorgevano le abitazioni degli operai. Dopo la fine della Unione Sovietica le fabbriche sono state chiuse, gli operai sono rimasti senza lavoro. Oggi nelle costruzioni sempre più fatiscenti, vivono famiglie senza alcun tipo di sostentamento stabile. Molti i bambini, molte le donne rimaste senza marito. Alle famiglie degli ex operai sovietici si sono aggiunte nel tempo le famiglie dei profughi costretti a fuggire all’inizio degli anni ’90 dalla Abchazia o dalla Ossetia del Sud, teatro allora di una violenta guerra indipendentista, ora sopita, ma non risolta. Le abitazioni sono ovunque: nei palazzi mai terminati dopo la fine dell’URSS e anche in quelle che erano le prigioni del passato regime. Non c’è luce, spesso non c’è acqua, non c’è gas e le abitazioni non sono riscaldate. Le strade non sono asfaltate, nei cortili dei palazzi si notano galline, maiali, mucche: sono l’unico “patrimonio” degli abitanti. Le scuole ci sono, ma molti bambini non riescono a frequentarle: mancano di vestiti e di scarpe, oltre che di libri e quaderni.
Il sistema sanitario “funziona” gratuitamente solo per le urgenze, tutto il resto è a pagamento: impossibile accedervi per la popolazione povera.
Le speranza accese dalla “rivoluzione” non si sono del tutto spente: ma ci vorrà tempo per vederle realizzate e senza un aiuto, per molti, questo tempo potrebbe essere troppo lungo. |