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Christmas Lunch with the poor: let's prepare a table table that reaches the whole world

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September 20 2016 08:30 | Cittadella, Sala San Giovanni

Intervento di Emmanuel



Emmanuel


Orthodox Metropolitan Bishop, Vice-President of KEK, Ecumenical Patriarchate

 Signore e Signori,

Cari amici,
 
In un libro di prossima pubblicazione sulla vita e l’operato di Sua Santità il Patriarca ecumenico Bartolomeo – di cui quest’anno celebriamo il venticinquesimo dell’elezione ad arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico – Papa Benedetto XVI ricorda il suo primo incontro, mentre era ancora soltanto il cardinale Joseph Ratzinger. Era un giorno come quello di oggi, nel 2002, in viaggio verso il terzo incontro di Assisi, alcuni mesi dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Tornando su questo primo incontro a bordo del treno che conduceva le personalità religiose che si ritrovavano ancora per pregare per la pace nel mondo, il cardinale Ratzinger insiste sul fatto che la ricerca della pace è prima di tutto un cammino, un viaggio, un soggiorno che non possono avvenire senza la presenza dell’altro nella pienezza della sua alterità.
Questo episodio potrebbe sembrare anodino, ma la dice lunga sulla natura e la missione di quello che diventerà un fenomeno che ha forgiato l’impegno religioso a favore della pace, e voglio appunto parlare dello “spirito di Assisi”.
La sua dimensione propriamente ambientale si è imposta nella misura in cui si estendeva la crisi ecologica. Non si limitava unicamente alla questione per teologi del rapporto tra umanità e creazione, ma diventava progressivamente un problema di giustizia sociale, prima di trasformarsi oggi in emergenza umanitaria.  Il passaggio dai saggi di cosmologia all’attivismo ecologico si è operato quasi “naturalmente”, man mano che una lettura olistica del mondo dava la priorità all’interdipendenza tra le azioni dell’umanità e gli effetti sulla fauna e la flora ed arrivava a definire il rapporto sempre più incerto tra la creazione e il suo creatore.
Ecco perché il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli non ha avuto tregua, almeno dalla fine degli anni ’80, nel sostenere la causa dell’ambiente in un rapporto spirituale con la natura e un rapporto pacificato con la scienza: poiché i dati scientifici sulla biodiversità, il riscaldamento climatico, l’aumento della povertà e delle ingiustizie ambientali, la sicurezza alimentare, ecc., completano la visione teologica, troppo spesso statica, di un mondo in costante cambiamento. Ma uscendo da questa semplice constatazione, fa parte della nostra missione offrire, a partire da questa base, un’ermeneutica della creazione che affermi l’interdipendenza di umanità e natura. L’intuizione essenziale della Chiesa ortodossa forgiata nel crogiolo della sua tradizione plurisecolare è stata quella di identificare con il peccato le azioni che sfigurano l’ambiente naturale. In altri termini, per citare Sua Santità il Patriarca ecumenico Bartolomeo: “Potremmo considerare che il ‘peccato di Adamo’ sia consistito nel rifiutare l’ambiente naturale come dono di comunione tra Dio e le sue creature e nel vedervi soltanto un oggetto di sfruttamento per la soddisfazione di desideri incontrollati”.
In tal modo, particolarmente per l’Ortodossia e in generale per le religioni, non può esserci risposta durevole senza prima un’articolazione del religioso con i dati scientifici che tendono a provare la distruzione progressiva della natura attraverso l’inquinamento e l’eccesso di consumi, che producono tra l’altro il cambiamento climatico.
Le religioni e la fede sono forze trasformatrici, agenti di cambiamento, energie al servizio della metamorfosi del mondo, che da sole sono in grado di far evolvere i nostri modi di consumare e la nostra visione del mondo. Nella tradizione della Chiesa ortodossa, questa forza trasformatrice si chiama metanoia, o conversione, un capovolgimento totale dell’essere. Esso incoraggia, nella tradizione patristica del Padri del deserto – uomini spirituali che hanno forgiato se stessi attraverso secoli di esperienza ascetica – uno sguardo trasparente sull’umanità. E’ proprio questa visione che prefigurava sant’Isacco il Siro, un mistico del 7° secolo, quando considerava scopo della vita spirituale l’acquisizione “di un cuore misericordioso che brucia d’amore per l’intera creazione… per tutte le creature di Dio”. 
Questa realtà spirituale è certamente coperta da altri luoghi teologici nelle vostre rispettive religioni. E a noi spetta di metterli in dialogo perché condividendo i nostri sforzi possiamo pesare sul dibattito pubblico, come abbiamo cercato di fare in Francia nella prospettiva della COP 21 che ha portato alla firma dell’accordo di Parigi sul clima nel dicembre 2015, attraverso un convegno interreligioso organizzato al Senato dalla Conferenza dei responsabili del culto in Francia, ma anche attraverso iniziative più impegnative per i credenti, come la preghiera e il digiuno per il clima. 
Questa metamorfosi ci invita tanto più a ripensare il nostro rapporto con l’ambiente. Possiamo dire che l’ecologia è formalmente legata (sia per l’etimologia sia per il suo significato) all’economia. Ora, la nostra economia globale supera molto semplicemente la capacità del nostro pianeta di sopportarla. Non è minacciata soltanto la nostra capacità di vivere in maniera agiata, ma la nostra stessa sopravvivenza. Le azioni devono essere allo stesso tempo individuali e collettive. Citerò alcune soluzioni presentate in un documento ecumenico di riferimento intitolato Abitare la creazione diversamente. Il testo propone in effetti: «Al di là degli ecogesti, tutte le iniziative condotte come cittadini e “consum-attori” avranno una portata ancora maggiore se saranno riprese dalle nostre istituzioni, amministrazioni e imprese. Si tratta anche di modificare la nostra organizzazione collettiva, le nostre infrastrutture, per renderci meno prigionieri di un modo di vivere insostenibile.”
 
Signore e signori,
La trasformazione strutturale dei nostri stili di vita è dunque essenziale ma questa sarà possibile soltanto nella misura in cui l’insieme degli attori vi si impegni con onestà. Vogliamo dire con questo che la responsabilità non pesa unicamente sui cittadini o i dirigenti politici, bisogna che si mobilitino allo stesso tempo le ONG, l’insieme della società civile, le imprese, le comunità di ogni natura e le religioni… Si tratta poi di riconoscere il posto appropriato di ciascuno e di ciascuna all’interno di una dinamica trasformativa a tutti i livelli: locale, regionale e internazionale. L’urgenza evidente ci obbliga a inventare nuove soluzioni, a immaginare risposte alternative e nuove forme di impegno, facendo in modo che le forze del nostro mondo collaborino finalmente, senza cinismo, alla protezione del pianeta. 
L’intera creazione è animata da un soffio vitale, quello che noi cristiani assimiliamo allo Spirito Santo e che viene a portare una densità agli esseri, un senso alla loro esistenza. Così la natura ha bisogno di essere trasfigurata dal nostro desiderio di vivere, dalla nostra sete di accogliere una parola di grazia. Dobbiamo essere i portatori di una pulsione di vita che superi anche la forza razionale che noi tentiamo di mettere nella protezione dell’ambiente opponendoci al cambiamento climatico. Le parole non possono bastare. La trasfigurazione del cuore chiede atti concreti che ci invitano alla fine ad accettare di vivere nella creazione e non soltanto di discuterne. Affrontiamo dunque la creazione, la natura, l’ambiente, alla luce della vita, alla luce del divino di cui è dichiarato essere “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Immergiamoci il nostro sguardo e leggiamo, seguendo l’invito del padre del monachesimo. Sant’Antonio il Grande scrive infatti: “Il mio libro è la creazione naturale nel quale leggo le opere di Dio”. 
Questo è il senso dello sforzo che ci si aspetta oggi da noi: uscire dall’egoismo in cui l’inerzia delle nostre abitudini ci ha fatto cadere, e scoprire la sobria libertà che ci porta la conversione del cuore, la pratica del digiuno e della preghiera. Nel cristianesimo, la creazione è inseparabile dall’identità e dal destino dell’umanità. Interrogando le stesse condizioni della vocazione umana, pregare per la creazione mette in prospettiva le condizioni della nostra salvezza. Perché il tempo si orienta invariabilmente verso l’avvento del Regno, la creazione è un dono che ci è stato fatto gratuitamente e di cui saremo portati a rendere conto, non soltanto alle generazioni future, ma anche al Dio Creatore che ce l’ha messa tra le mani. 
Il futuro dell’umanità resterà incerto finché collettivamente non saremo in grado di fare la scelta del bene comune. Le molteplici crisi che colpiscono oggi il mondo agiscono come il prisma deformante della nostra irresponsabilità. Ai più scettici dobbiamo dire che la protezione dell’ambiente è un tutto che supera la salvaguardia della fauna e della flora. Si tratta anche di una questione di giustizia, di solidarietà, di fraternità, cioè degli elementi costitutivi di un umanesimo da riscoprire. Come ha scritto il profeta Michea: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio.”
 
Signore e signori, cari amici, 
La natura è una finestra sul divino. Nel 1970, nel suo Discorso di Stoccolma, Solženicyn lanciava un grido di stupore: “Così questa antica trinità composta da verità, bontà e bellezza non è forse semplicemente una formula vuota e appassita, come pensavamo nei giorni della nostra giovinezza presuntuosa e materialista. Se le cime di questi tre alberi convergono, come sostengono gli umanisti, ma se i due tronchi troppo ostensibili e troppo dritti della verità e della bontà sono schiacciati, tagliati, soffocati, allora forse sorgerà il fantastico, l’imprevedibile, l’inatteso, e i rami dell’albero della bellezza spunteranno e cresceranno esattamente nello stesso posto e compiranno così la missione di tutti e tre allo stesso tempo.” Se noi continuiamo a distruggere l’ambiente naturale, chiudiamo per sempre e in modo irreversibile questa finestra sul divino. 
La salvaguardia del creato è uno spazio di incontro e di collaborazioni interreligiose, perché la natura è la nostra “casa comune” secondo un’espressione cara a Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’. In particolare in questo passaggio: “Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità” (par.14). Lo «spirito di Assisi» è di conseguenza uno spirito ecologico.
Permettetemi infine di terminare questo modesto contributo citando di nuovo il patriarca ecumenico Bartolomeo: “L’ambiente naturale – l’aria, l’acqua, la terra – è il bene non soltanto della generazione presente, ma anche delle generazioni future. …
Noi e ancor più i nostri bambini, i nostri adolescenti, abbiamo diritto ad un mondo migliore, più clemente e più lungimirante. Un mondo libero dalla corruzione, dalla violenza e dal sangue, un mondo generoso e benevolo. Per quanto riguarda il nostro futuro, è soltanto l’amore gratuito, disinteressato e sacrificale che ci mostra la via”. 
 
Vi ringrazio per l’attenzione.
 

#peaceispossible #thirstforpeace
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