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Il 35° Anniversario della Comunità di Sant'Egidio - Omelia del Card. Giovan Battista Re


 
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Omelia di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Battista Re nella basilica di San Paolo fuori le mura per la festa della Comunità di Sant'Egidio
Roma, 7 febbraio 2003 

Ebrei 13, 1-8; 
Marco 6, 7-13.


Eminenze e cari confratelli nell'episcopato, 
rappresentanti del Santo Sinodo del Patriarcato di Serbia
Autorità e Signori Ambasciatori, 
carissimi amici della Comunità di sant'Egidio,
questa sera ci siamo radunati per far festa assieme alla Comunità di Sant'Egidio che ricorda i suoi trentacinque anni di vita. Siamo in tanti attorno alla tomba dell'apostolo per ringraziare il Signore: gente di tutte le provenienze, legata all'azione, alla spiritualità, all'amicizia, alle persone della Comunità di Sant'Egidio. Perché il nome di Sant'Egidio vuol dire molte cose: impegno nella carità, spiritualità, dialogo, pace, amicizia. Ma Sant'Egidio è una Comunità che ha rappresentato, in questi anni, un riferimento per tutti voi che questa sera siete qui convenuti. Portiamo tutti un augurio e un segno di vicinanza affettuosa.
Trentacinque anni! E' un cammino ormai non più breve: il piccolo seme è diventato albero frondoso! Se percorriamo anche solo velocemente questi ultimi decenni di storia, così carichi di cambiamenti, ci accorgiamo che si tratta di un periodo intenso e complesso. Si va dagli anni dell'immediato post Concilio, quando la Comunità muoveva i suoi primi passi, agli ultimi dieci anni del Novecento, così carichi di cambiamenti, sino ai nostri giorni quando il mondo si incammina nel terzo millennio in un clima troppo segnato da incertezze e da paure. In questi anni, dentro una storia complessa, la Comunità di Sant'Egidio ha vissuto il suo impegno nella Chiesa e nel mondo cercando di restare fedelmente ancorata al Vangelo. 
Il brano del Vangelo di Marco, che è stato ora proclamato mi pare che illumini bene questi anni di cammino, ma anche quelli del futuro della Comunità di Sant'Egidio.. L'evangelista descrive l'inizio della missione della Chiesa, quando Gesù inviò i Dodici, mandandoli due a due, per le strade e le piazze della Galilea, con il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni malattia e infermità. Nel testo si legge che Gesù ordinò loro di non prendere nulla con sé, oltre il bastone: "né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche" -nota l'evangelista. Insomma, dovevano partire solo con i sandali e il bastone. E' una condizione di povertà, e comunque di debolezza se non di poca previdenza: solo il bastone e un paio di sandali, e neppure una tunica di ricambio. Qualcuno potrebbe dire: cosa è possibile fare oggi con questo minimo di mezzi in un mondo come il nostro così grande e così complesso? 
L'esperienza descritta dal Vangelo non è solo quella degli apostoli, è anche quella della Chiesa nel corso di duemila anni di storia e, possiamo dire, è anche l'esperienza della Comunità di Sant'Egidio in questi trentacinque anni. Oggi il Vangelo può essere vissuto anche se si hanno pochi mezzi e piccole strutture. Certo sempre appariamo deboli davanti alle difficoltà o di fronte alle potenze di questo mondo o di fronte al male e alla complessità di questo nostro tempo. Eppure dal Vangelo sappiamo che è la debolezza della fede che sposta le montagne, che sconfigge l'inimicizia, che libera gli uomini dalle catene pesanti del male. Per questo, noi credenti non cediamo di fronte alle difficoltà che incontriamo o ai nostri stessi limiti personali.
Gli amici di Sant'Egidio hanno vissuto, confrontandosi con tanti aspetti duri della vita del mondo: con la povertà, con la guerra, con il distacco, con l'indifferenza. Hanno ricordato i trent'anni del servizio agli anziani, che ha coinvolto migliaia e migliaia di anziani in una rete di solidarietà che fa vivere, con uno slogan significativo: "i vecchi senza amore muoiono". Hanno fatto memoria dei venti anni del servizio alle persone senza fissa dimora, che ha costituito qui a Roma una famiglia dei senza casa per le strade della città. Nell'anno trascorso hanno celebrato dieci anni dalla firma della pace in Mozambico, un accordo raggiunto grazie alla Comunità e che ancora regge in pace la vita di quel paese. Non sono che alcuni aspetti di un impegno d'amore costruttivo, appassionato.
Questa sera siamo qui per celebrare gioiosamente e in tanti l'anniversario della Comunità di Sant'Egidio. E' il ricordo di un inizio, quando un piccolo gruppo di studenti romani, immediatamente dopo il Concilio Vaticano II, si sentì chiamato a servire il Signore ascoltando la sua Parola e mettendosi al servizio dei fratelli a partire dai poveri, dalle periferie di questa nostra città. 
E proprio qui, accanto alla Basilica di San Paolo, nelle baracche di Ponte Marconi, i primi giovani di Sant'Egidio iniziarono, da quel 7 febbraio del 1968, il loro servizio ai più deboli e ai poveri. I bambini delle baracche poste sul greto del fiume, qui accanto, vedevano arrivare questi giovani studenti i quali, pur essendo lontani da loro per storia e per condizione sociale, si facevano loro vicini per aiutarli, e soprattutto per stringere amicizia. Fu il primo gruppo di poveri che la Comunità cominciò a seguire a Roma. 
La storia di questa Comunità, frutto delle speranze suscitate dal Concilio, è un aspetto costante del rinnovarsi della missione della Chiesa. Essa è stata animata da quell'amore cristiano che non si rassegna al fatto che il Vangelo sia dimenticato o non ascoltato da una parte della gente. La Comunità, infatti, è stata mossa da quell'amore cristiano che non si rassegna al male, alla povertà, al dominio degli spiriti malvagi, di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo. L'autore della Lettera agli Ebrei esorta con queste parole: "La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. Così possiamo dire con fiducia: Il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che mi potrà fare l'uomo?" (Eb 13, 5-6).
In questi anni noi tutti abbiamo imparato ad apprezzare e accompagnare il lavoro della Comunità, espressione di una speranza cristiana vissuta prima con la passione dei giovani e progressivamente con la maturità e la responsabilità dei cristiani adulti. L'impegno della Comunità da Roma si è esteso al mondo intero, portando consolazione e conforto. Come non ricordare l'impegno per la lotta all'AIDS in Mozambico che ha dato risultati a tal punto sorprendenti da richiamare l'attenzione dello stesso mondo scientifico internazionale? O come non ricordare la sensibilità della Comunità all'Africa? Non si possono tacere in tale contesto le diverse iniziative per la pace e per il dialogo che la Comunità continua a proporre nel lavoro ecumenico della Comunità congiuntamente all'altro campo rappresentato dal dialogo interreligioso: due frontiere che lo stesso Giovanni Paolo II continua a percorrere e a proporre a tutti i credenti. Colgo l'occasione di porgere i miei più rispettosi saluti ai rappresentanti delle Chiese cristiane, che onorano questa celebrazione con la loro presenza. In particolare vorrei salutare la delegazione della Chiesa ortodossa serba, a Roma per un'importante visita, la quale oggi è presente tra noi in forza di antichi legami con la Comunità: a Lei rivolgo un particolare e speciale saluto.
Ma la sorgente prima di questo multiforme impegno che caratterizza la Comunità è la fedeltà alla preghiera e alla Liturgia. Molte cose si potrebbero dire a tale riguardo, ma è sufficiente entrare una sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per vedere quante persone si raccolgono ogni giorno per pregare. E' lì che si scopre il segreto semplice di Sant'Egidio: è in quella sorgente di fede e di amore rappresentata dalla preghiera. Questa stessa esperienza si ripete in tanti altri luoghi di Roma, dell'Italia e del mondo, ovunque vive una Comunità di Sant'Egidio, anche piccola. La preghiera libera energie di amore, illumina i passi di ogni giorno, apre i cuori a nuove e più ampie visioni. 
Ebbe a dire, lo scorso anno, il Santo Padre, ricevendo un gruppo di Sant'Egidio a proposito della storia della Comunità: "Sono stati anni di ascolto del Vangelo e di amicizia con tutti. Si potrebbe dire che l'amicizia caratterizza ogni dimensione della vita della Comunità di Sant'Egidio. L'amicizia vissuta con sensibilità evangelica è un modo efficace di essere cristiani nel mondo: permette di varcare frontiere e di colmare distanze, anche quando sembrano insuperabili. Si tratta di una vera e propria arte dell'incontro, di un'attenzione premurosa per il dialogo, di una passione amorevole per la comunicazione del Vangelo. Questa amicizia -concludeva Giovanni Paolo II- diviene forza di riconciliazione; una forza davvero necessaria in questo tempo drammaticamente segnato da conflitti e scontri violenti".
Queste parole del Santo Padre colgono bene la realtà di Sant'Egidio, la sua importanza, ma anche il suo carattere originale fondato sull'amicizia come clima spirituale di ogni impegno. Ed è per questo che, per i trentacinque anni della Comunità, ci stringiamo attorno ad essa con simpatia e amicizia, chiedendo al Signore di proteggere questi nostri amici e di renderli ancora di più strumento di bene in questo nostro mondo contemporaneo.

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