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12 Settembre 2017 09:00 | Bischoefliches Priesterseminar Borromaeum, Kardinal-von-Galen-Saal

Intervento di Venance Konan



Venance Konan


Scrittore, "Fraternité Matin", Costa d'Avorio
Louis Michel, ex commissario europeo per lo Sviluppo e gli Aiuti umanitari, ha detto introducendo il vertice storico di Lisbona, che ha visto, nel dicembre 2007, la partecipazione di tutti i 28 paesi dell'Unione europea e di 53 paesi africani: "Questo vertice sarà portatore di una nuova ambizione per il partenariato UE-Africa. L’ Europa e l’Africa hanno un interesse comune nel forgiare una partnership innovativa, completa ed equilibrata, per sfruttare al meglio le opportunità del nuovo mondo e rispondere alle  sue sfide ".
 
Un decennio dopo l’annuncio che doveva essere ottimista sulle relazioni tra i due continenti, è chiaro che, al di là delle dichiarazioni, si  è ancora lontani da quanto si auspicava.
Mentre il modello che ci si presenta mette ben in evidenza la necessità di viaggiare insieme, perché le sfide globali che si presentano senza distinzione ai due continenti (la lotta al terrorismo, il riscaldamento globale, l’inquinamento, ecc.), sono esse stesse le ragioni per capire che i confini geografici non dovrebbero essere una fortezza eretta contro lo spazio umano, con ciò che essa implica come valori da difendere insieme. Ma nel Sud e del Nord, gli sguardi non sempre convergono nella stessa direzione o verso un destino comune. Eppure la storia delle relazioni tra l'Europa e l'Africa è una tela densa e multiforme di incontri politici, culturali, umani ed economici tessuta da contraddizioni, mutazioni, aberrazioni, ma anche e soprattutto da  incontri fruttuosi.
Comprendiamo quindi che si discuterà il tema che ci è posto innanzi in termini di ciò che ci unisce e che ci dovrebbe incoraggiare ad ampliare le strade che percorriamo, per renderle delle vie maestre di un'integrazione euro-africana, dei larghi percorsi di una partnership dove ognuno trovi il proprio beneficio.
Come si può arrivare a questo punto? Come rompere le barriere fisiche, razziali e psicologiche, se vogliamo costruire un destino comune per un intesa intelligente tra l'Europa e l'Africa?
 
Nel sud del Mediterraneo, il dinamismo dell'Unione europea ha fatto sognare, tanto che l'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) è stata trasformata in Unione Africana, con l'obiettivo di raggiungere lo stesso progetto di consolidamento le relazioni tra gli Stati dello stesso spazio geografico. Poi, rivalità, litigi, crisi economiche e, più recentemente, il ritiro del Regno Unito, hanno come offuscato la visione di un'Europa forte e unita.
 
Nel Nord, i ripetuti assalti dei terroristi, il massiccio movimento di popolazioni che si spostano dal Sud al Nord, sono divenuti il motivo di una sorta di paura collettiva europea verso l'Africa che minaccerebbe non solo il pane quotidiano degli europei, ma la loro stessa civiltà. Ma da entrambi i lati, le ragioni per costruire un mondo migliore sono più numerose che le reticenze che ci spingono l’uno contro l’altro.
 
La destabilizzazione degli equilibri esistenti da secoli tra l'uomo e il pianeta sta prendendo velocità, e questo ha per conseguenza le emissioni globali di gas ad effetto serra che ci stanno asfissiando, la scomparsa di specie rare e la drastica riduzione di alcune risorse vitali come l'acqua e il suolo, il degrado delle foreste, dei fiumi con la prospettiva di un calo dei rendimenti agricoli per l'esaurimento del suolo, ecc.. Come invertire questa tendenza se ogni continente si rannicchia su se stesso, nella speranza di preservare unicamente il suo spazio? Ad esempio, è risaputo che l'Africa è il più piccolo inquinatore del mondo, mentre gli effetti dell'inquinamento e del riscaldamento globale hanno un impatto su questo continente, nella stessa misura delle inondazioni, delle carestie, delle migrazioni connesse alla carenza di acqua e di terra coltivabile e ciò è sempre più preoccupante.
 
Un altro esempio della necessità di costruire insieme uno spazio umano di speranza è il dramma ricorrente sulle coste europee, di questi giovani immigrati africani annegati in acque che rifiutano, anche loro, di essere la strada delle disperazioni di giovani che immaginano il bicchiere mezzo pieno solamente dall’altra riva del mare. Abbiamo a che fare con i movimenti di una area di  civiltà verso un'altra. Di africani che si stabiliscono in Europa occidentale e sono provenienti per lo più da Paesi che presentano instabilità o la mancanza di stato di diritto, anche se non sono privi di risorse naturali. Queste parti dell'Africa hanno un ricco patrimonio di civiltà da cui i loro cittadini non sono pronti a separarsi, anche se si sono trasferiti sul Vecchio Continente. Al pari, i cittadini europei non sono disposti a rinunciare a un'identità che ha fatto la grandezza del loro paese. Queste reticenze reciproche, del resto legittime, non favoriscono  un dialogo delle culture essenziale per dare un senso alla speranza.
L'Africa è il primo continente con il quale l'Unione europea ha istituito un programma congiunto di cooperazione e l'iniziativa fondante della cooperazione tra l'Africa e l'Europa è stata la "Dichiarazione di Lisbona" adottata al Vertice svoltosi l'8 e il 9 dicembre 2007, nella città omonima. I firmatari della dichiarazione erano ben  convinti di essere:
" ... decisi a costruire un nuovo partenariato politico strategico per il futuro, superando le tradizionali relazioni stabilite sulla modalità donatori / beneficiari e basandosi su valori e obiettivi comuni nella nostra ricerca della pace e della stabilità , della democrazia e dello stato di diritto, del progresso e dello sviluppo".
 
Di sicuro, la volontà politica è essenziale e il coinvolgimento dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea e dell'Unione africana è fondamentale per rimuovere gli ostacoli legati alla promozione della cooperazione tra i due continenti.
Tuttavia, è importante uscire da vecchi schemi che portavano a vedere l'Africa solo come una terra dove si potevano attingere le materie prime essenziali per le industrie europee e, una volta, una forza lavoro in grado di esercitare i mestieri che gli europei non volevano fare. La visione deve cambiare e cambia. Cito il Vice Ministro degli Affari Esteri italiano, Mario Giro che ha detto in un'intervista rilasciata al Fraternité Matin, il giornale che dirigo: "In Europa, si parla molto di Africa in un modo nuovo. Certo, l'impulso è dato dalla questione migratoria e, infine, i pensieri volgono oramai all'idea di progettare lo sviluppo congiunto. Perché noi non ne usciamo se non abbiamo capito come i due continenti si intrecciano e, soprattutto, quanto è forte l'interesse comune per crescere insieme. Se guardo la situazione europea e africana a livello globale, vedo che i grandi pericoli sono altrove ... L'approccio è quello di evitare di credere che l'Africa è semplicemente un giacimento a cielo aperto, ma capire che l'Africa è il futuro dell'agricoltura in tutto il mondo, che ha ancora terreno da sfruttare, che è giovane, mentre l'Europa è vecchia. L'Africa è il Sud dell’Europa e l’ Europa il Nord Africa, in un certo senso. Non possiamo affrontare le sfide, come la sfida della migrazione, solo con gli aiuti allo sviluppo. "
 
La sfida è lì. Cambiare lo sguardo sulle relazioni Europa-Africa. Un cambiamento di paradigma. Se in Europa dobbiamo cessare di vedere l'Africa solo come un serbatoio di materie prime o come un bidone dove si verrebbe a scaricare i rifiuti tossici e le attrezzature e le auto usate, in Africa, dobbiamo smettere di vedere l'Europa come un Eldorado in cui basta arrivare per trovare la felicità. Quando il signor Mario Giro parla di sviluppo congiunto, significa semplicemente che dobbiamo crescere insieme. Come? Nell'intervista sopra citata, il signor Mario Giro ha parlato di migrazione circolare. Ciò significa che l'Europa può contribuire a formare gli africani che tornerebbero a casa per mettere questa conoscenza al servizio della loro comunità. L'Europa può anche investire in modo più coerente in Africa per creare posti di lavoro che manterrebbero le persone sul posto. E da parte sua, un'Africa che non è più vista come una minaccia, potrebbe portare nella vecchia Europa la sua giovinezza, la vitalità e la creatività che stupisce sempre di più, quanto più la si va scoprendo.
Non è più possibile avere da entrambe le sponde del Mediterraneo, a nord un continente ricco e chiuso in se stesso, e al sud, un altro, molto povero, i cui abitanti non hanno accesso al primo. Questo non è possibile, e fino ad oggi, tutti i mezzi ideati per evitare che gli Africani potessero accedere in Europa hanno fallito. Un paese come l'Italia è ormai senza fiato. Ogni giorno sono centinaia i migranti approdati sulle sue rive. Quanto tempo gli italiani potranno sopportare questo? L’Europa e l'Africa non hanno altra scelta che immaginare un altro modo per costruire un destino comune.
Tuttavia, avere un destino comune impone a ognuno dei doveri. Per quanto riguarda l'Africa, ha il dovere di sapersi ben governare, e soprattutto di rispettare i diritti fondamentali dei suoi cittadini. Cerchiamo di non nascondere la verità; le ragioni che più spesso  spingono i giovani africani a correre il rischio di morire nel deserto o nel mare, piuttosto che rimanere nei loro paesi, è che questi sono mal gestiti, e / o loro non hanno alcun diritto fra i più elementari, come ad esempio la semplice libertà di pensare o parlare. Da parte sua, l'Europa deve smettere di imporre agli africani dei satrapi, a volte sanguinari, a volte stravaganti, spesso totalmente incompetenti, che servono solo a difendere i propri interessi a scapito di quelli dei loro popoli. Sì, l'Europa deve finalmente capire che il suo interesse è ora quello di aiutare l'Africa a crescere, anche, e non andare ad attingere le risorse per il proprio sviluppo. Nell’Africa francofona, abbiamo parlato a lungo su quello che viene chiamato “Françafrique”, che è una sorta di collusione tra politici e imprese francesi, e le classi politiche africane corrotte la cui unica funzione è quella di difendere gli interessi della Francia in cambio della propria permanenza al potere.
 
Nella nostra qualità di cittadini del mondo, abbiamo un destino comune, sia rispetto a un passato che condividiamo spesso poco conosciuto, in particolare quella di un futuro più luminoso da costruire, con la consapevolezza che il mondo è diventato un  'villaggio globale' a causa della comunicazione attraverso le nuove tecnologie. La chiusura degli spazi umani viene così resa inutile e abbiamo bisogno di accettare questo e lavorare per un'Europa migliore, una Africa migliore, per un mondo migliore.
Grazie.

 

#peaceispossible #stradedipace
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