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12 Settembre 2017 09:00 | Franz-Hitze-Haus, Saal 1

Intervento di Ulrich Heide



Ulrich Heide


Fondazione tedesca AIDS, Germania
Il titolo del nostro panel è davvero impegnativo. Riguarda la questione se, e in caso affermativo come, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 debba essere ampliata nel nostro secolo ad ulteriori diritti.  Si tratta di una dichiarazione che, nonostante la sua pretesa universale, in molte regioni e Stati del mondo si attua solo in misura limitata.
 
Come dovrebbe essere interpretato il nuovo diritto, che cosa significa salute? Friedrich Nietzsche ha attribuito al termine la seguente definizione: "La salute è la misura della malattia che mi permette ancora di svolgere le mie attività principali". La salute è quindi una malattia tollerabile che non disturba le rispettive occupazioni.
 
D'altro canto, l'Organizzazione Mondiale della Sanità dice: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo l'assenza di malattie o di infermità". Si tratta del benessere, non solo fisico, ma anche mentale e sociale. Nel dibattito degli ultimi 30 anni questa definizione è stata ampiamente accettata, non ultimo da sociologi, demografi ed epidemiologi. Questa definizione ha svolto un ruolo importante nello sviluppo e nella definizione di piani strutturali di prevenzione. Piani in cui vengono prese in considerazione sia le condizioni di vita individuali che quelle comuni, insieme alle relazioni sociali. Tuttavia, ciò non dà alcuna indicazione al fine di una completa attuazione di questo obiettivo e delle relative competenze.
 
A proposito di quanto la realtà sia lontana da questo obiettivo, vorrei riferirmi a un tema centrale per la sanità: la speranza di vita media. Come regioni da comparare, ho scelto gli Stati membri dell'Unione europea e i Paesi dell'Africa sub-sahariana.
 
L'aspettativa di vita media nell'Unione europea è di oltre 80 anni. D'altra parte, le persone nei Paesi dell'Africa subsahariana non raggiungono in media 60 anni, ma 58 anni. Una persona nata nell'Africa sub-sahariana vivrà in media 20 anni meno di una nata nell'Unione europea. A questo proposito, il diritto alla vita appartiene già ai diritti umani riconosciuti e inalienabili, ai sensi dell'articolo 3 che recita: "Ognuno ha il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona".
 
La regione in cui si nasce è determinante non solo riguardo all'istruzione, all'occupazione e al reddito, ma anche alla durata della vita.
 
Da trent'anni sono Direttore Generale della Deutsche AIDS Stiftung nel campo dell'HIV e dell'AIDS. Un tema in cui possiamo imparare molto a proposito delle opportunità  e le sfide di questo panel  "Salute, un diritto umano nel 21 ° secolo".
 
Forse perché i sistemi sanitari di tutte le regioni e Stati erano similmente impreparati di fronte alla "nuova malattia" HIV e AIDS, questi sono stati causa di terribili sofferenze e morte per le persone infette da HIV e AIDS in tutto il mondo. Ma le reazioni delle singole persone e di intere società e nazioni sono state molto diverse fin da subito. Dopo lo sviluppo delle terapie retrovirali e la loro immediata diffusione in molti paesi ricchi, le opportunità e gli stili di vita delle persone affette da HIV e AIDS sono state determinate dalla regione in cui vivevano. Su questo argomento molti individui, molte istituzioni e stati, si sono uniti – secondo la mia opinione, in misura molto maggiore che nel caso di altre malattie -  per rendere possibili supporti e cure.
 
Quando nei primi anni '80 si diffondevano i primi rapporti su una nuova malattia, questi hanno generato una grande paura, direi panico. Il mondo occidentale e industrializzato si confrontava di nuovo dopo tanto tempo con una malattia infettiva incurabile, per la quale non sembravano prevedibili alcun trattamento e tanto meno possibilità di guarigione. Allo stesso tempo, vennero  associate altre paure e fantasie ai gruppi di pazienti più colpiti nei paesi industrializzati, tra cui omosessuali e tossicodipendenti. Molti erano profondamente disorientati.
 
Il filosofo francese Jean Paul Aron scrisse nel 1987: "Attraverso l'AIDS, la connessione tra malattia e infamia ha acquisito una dimensione nuova e terribile. L’AIDS reintroduce il concetto di condanna ". Le persone sieropositive e affette da AIDS dovevano e devono  combattere non solo contro la paura della malattia e della morte, ma anche contro l'esclusione sociale e lo stigma. In quanto argomento legato alla droga, all'omosessualità, alla sessualità e alla morte, l'AIDS ha una dimensione sociale e quindi politica oltre a quella sanitaria. Siamo coscienti che il fenomeno del legame tra la malattia e la vergogna, tuttavia, è stato rilevato e continua ad essere presente anche nelle regioni e negli Stati, in cui il percorso di propagazione principale del virus è il rapporto sessuale non protetto tra eterosessuali. La discriminazione e la stigmatizzazione delle persone con HIV e AIDS, nonché quelle colpite e / o minacciate dalla paura, sono un problema in tutto il mondo. Allo stesso tempo, le paure, le accuse e il pregiudizio nei confronti di coloro che sono colpiti e la loro esclusione impediscono un controllo efficace dell'AIDS.
 
Le controversie su questo tema hanno diviso la società e il mondo politico anche in Germania. Dapprima solo un gruppo molto piccolo perorava la causa dell’ informazione e della prevenzione, per mantenere l'infezione sotto controllo. La grande maggioranza riteneva invece che le persone infette dovessero essere separate ed escluse. Il Ministro tedesco della salute, la professoressa Rita Süssmuth, ha descritto il fenomeno come segue: "Abbiamo avuto bisogno di consigli da parte di ricercatori, medici, persone di cultura, professionisti così come di operatori sociali e preti - tutti coloro che avevano un contatto diretto con persone affette da AIDS. E altrettanto delle esperienze dei diretti interessati, con la loro conoscenza delle condizioni socioculturali e delle misure di protezione adeguate. E abbiamo maturato questa premessa:  combattiamo la malattia e non i malati ".
 
Il Ministro della Salute Süssmuth ha riconosciuto il fatto che non si trattava esclusivamente di un problema medico, e non solo perché in quel tempo la medicina non aveva soluzioni proponibili. Ha indicato come possibili risorse accanto a scienziati, medici e operatori sociali, anche artisti, sacerdoti e, soprattutto, le persone interessate, proprio per la loro specifica competenza. Tale elenco di figure evidenzia anche quanto anche singole persone che si impegnano a questo scopo siano determinanti per cambiare il corso degli eventi.
 
Fortunatamente e, devo aggiungere, piuttosto sorprendentemente, in Germania, dopo intense discussioni, ha prevalso una strategia, che si è concentrata sull'informazione e non sull'esclusione. Il successo delle politiche contro l'AIDS in Germania non sarebbe stato possibile senza decisioni governative a livello federale e nazionale. Tuttavia, ciò ha anche richiesto una buona cooperazione tra le istituzioni statali, le organizzazioni di auto-aiuto (come gli AIDS-Hilfen) e la società civile, ad esempio la Fondazione AIDS tedesca.
 
La collaborazione allo stesso livello tra Stato, tali organizzazioni  e società civile, è riuscita in questo caso sorprendentemente bene. 
Sono stati formulati i seguenti obiettivi della campagna:
- essere informati
- proteggere te stesso e altri
- essere solidali.
Nella seconda metà degli anni '80, ad esempio, si poteva parlare normalmente di vie di contagio dell’infezione da HIV, così come di prevenzione e di protezione con i preservativi. Da questo conseguivano  le richieste di azione e gli appelli a non lasciare soli coloro che erano infetti e malati. Questa campagna aperta ha portato rapidamente a un calo sensibile di nuove infezioni e quindi ad un tasso di infezione totale molto inferiore rispetto a quello che avevamo temuto per il nostro paese alla metà degli anni '80.
 
la Deutsche AIDS-Stiftung è stata fondata nel 1987, nel mezzo del dibattito politico, come iniziativa privata. Oggi è il più grande organismo monotematico contro l’HIV / AIDS in Germania. 
la Deutsche AIDS-Stiftung:
- fornisce un sostegno finanziario diretto alle persone affette da HIV e AIDS in necessità,
- sostiene progetti di e per le persone affette da HIV e AIDS,
- contesta la discriminazione e lo stigma
- sostiene da 15 anni progetti pilota in alcuni paesi dell'Africa meridionale: attualmente in Mozambico, Kenya e Repubblica Sudafricana.
La Germania ha uno dei tassi di prevalenza più bassi in Europa, pari allo 0,1 per cento. Quasi tutti gli individui HIV-positivi hanno accesso a terapie antiretrovirali – con l’importante eccezione tuttavia  di coloro che non hanno un titolo di soggiorno regolare nel nostro Paese. Casi di discriminazione e stigmatismo sono rari, e soprattutto  non sono provocati dallo Stato. Ma anche in Germania, l'AIDS non è sconfitto. Molti malati hanno bisogno di un aiuto che va oltre ciò che possono offrire i servizi statali, ad esempio perché oltre all'HIV stanno lottando contro altri problemi di salute e sociali. Anche in Germania c’è gente che muore ancora di Aids.
 
Tuttavia in Germania i problemi causati  da HIV e AIDS sono molto inferiori a quelli in molte altre parti del mondo. Ecco perché abbiamo sentito e sentiamo l'obbligo di condividere le nostre esperienze e di aiutare gli altri – pur con i nostri limiti -. La Deutsche AIDS-Stiftung spenderà quest'anno circa 900.000 euro per sostenere i progetti in Africa. Questo è poco quando si pensa alle organizzazioni multilaterali come il Fondo Globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria. Ma è quasi il 20 per cento della somma che la Repubblica popolare di Cina conferirà quest’anno  al  Global Fund e un terzo della somma spesa dal Qatar per questo scopo. Il lavoro della Fondazione è finanziato quasi esclusivamente da privati mediante donazioni, tramite eventi di beneficenza e grazie a un'ampia gamma di impegno di volontari. Le sovvenzioni pubbliche ammontano all'1 per cento delle entrate annue. Anche questo conta: le persone impegnate fanno la differenza.
 
Il fatto che la Fondazione tedesca per l'AIDS spende quasi la metà degli aiuti diretti nell'Africa sub-sahariana porta nuovamente al tema di questo panel "Salute e diritti umani nel ventunesimo secolo". Abbiamo visto già a partire dagli anni '90 del secolo scorso, che nel nostro ambito di attività principale, cioè aiuti materiali a favore di singole persone con HIV e AIDS in stato di bisogno, dovevamo aspettarci sulla base di dati epidemiologici che, sempre più, le richieste di aiuto venissero da persone con una storia di migrazione. Una chiara indicazione: in un mondo globalizzato le malattie infettive non rispettano le frontiere.
 
Dopo lo sviluppo di terapie combinate e il loro rapido impiego, è diventato dolorosamente chiaro che nei paesi ricchi le possibilità e gli stili di vita per le persone con HIV e AIDS stavano migliorando mentre in quelli poveri non succedeva altrettanto. E questo lo notavano anche molte persone con HIV e AIDS, che avevano già capito di far parte di un gruppo destinato  a una morte precoce. I diretti interessati e le organizzazioni che li sostenevano si sono anche impegnati oltre la loro regione. Può questa esperienza contribuire a raggiungere una maggiore solidarietà internazionale in altre questioni sanitarie quali la mortalità materna o la grande questione della speranza di vita?
 
Ma torniamo alla nostra attività promozionale. Con quasi due terzi dei 900.000 euro che la Fondazione Tedesca AIDS spende in Africa, sosteniamo il programma DREAM in Mozambico e in Kenya. Ci sono soprattutto due motivazioni che, dal nostro punto di vista, parlano a favore di DREAM.
Una, e cioè l'alta qualità medica del Programma, può essere momentaneamente messa da parte. A questo proposito ha già parlato (o parlerà) il dottor Palombi  molto più competentemente di quanto potrei fare io. Perciò parlerò delle mie impressioni.
 
Il primo centro DREAM che ho visitato si trova in Tanzania. La mia prima impressione era il contrasto tra la costruzione semplice, quasi una capanna, e le ottime attrezzature mediche per la diagnostica, il trattamento e la documentazione. La mia seconda impressione era la consapevolezza, la cordialità e la pazienza del personale nell'affrontare i pazienti.
 
Oltre a eccellenti medici, farmacisti e infermieri, i cosiddetti “attivisti” svolgono un ruolo centrale nella cura dei pazienti. Sono principalmente donne infette da HIV, che hanno generato i bambini nel Programma DREAM e continuano ad essere curate all’interno di questo. Come ambasciatori affidabili per la prevenzione e la terapia, procurano un elevato livello di aderenza alla terapia attraverso costanti consulenze e visite domiciliari ai pazienti. Così, la formazione di resistenze è fortemente ritardata nel tempo. E gli attivisti aiutano le pazienti ad affrontare l'esclusione e lo stigma nella famiglia e nel quartiere.
 
Nell'attivista vedo anche un'ottima fonte di qualificazione per formare nuovi aiutanti impegnati e ben informati ad ulteriori compiti. Potrebbero contribuire a risolvere il problema principale di molti sistemi sanitari africani, come la mancanza di lavoratori qualificati e la considerazione inadeguata delle donne. In questo contesto, è interessante che a DREAM la maggioranza delle funzioni di gestione siano esercitate da donne, e donne esclusivamente africane.
 
Il programma DREAM offre a decine di migliaia di pazienti in undici paesi africani un contributo decisivo alla promozione pratica della loro salute e quindi alla realizzazione del diritto umano alla salute, finora inesistente, e del diritto umano alla vita. Tali diritti vengono realizzati attraverso la collaborazione sostenibile e affidabile di molti: la Comunità di Sant'Egidio, come promotore di DREAM, l'AIDS Foundation tedesca come donatore, il governo del Mozambico, il Fondo globale, e soprattutto le persone impegnate  a tutti i livelli del Programma DREAM.
 
Dal mio punto di vista, direi quello della società civile pragmatica, mi sembra che questo accesso pratico e reale alle informazioni, prevenzione e terapia sia molto più importante di un diritto astratto che non viene rispettato. D'altra parte, io sono ovviamente consapevole che la presenza di una richiesta giuridica astratta può mobilitare forze per la rivendicazione di diritti reali. Tuttavia, entrambi presuppongono persone coinvolte a diversi livelli. Ed essere in grado di mostrare risultati reali, come può fare il programma DREAM, mi sembra il punto di partenza più credibile e la base migliore per ulteriori richieste.
 
In questo senso, possiamo impegnarci  insieme per la salute, un diritto umano nel 21 ° secolo!
 

#peaceispossible #stradedipace
PROGRAMMA in PDF


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