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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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4 Ottobre 2010 18:30 | Auditori Caixa

Barcellona 2010 - Intervento di Amy KRONISH

Amy Kronish


Consulente cinematografico, Israele
Grazie. Sono contenta di essere qui oggi a questo importante incontro di Barcellona. Vorrei ringraziare gli organizzatori di questa conferenza per avermi invitata a condividere con voi oggi alcune riflessioni ed esperienze, dal mio punto di vista, quella di una che ha sempre lavorato in questo campo in Israele e Palestina.
Nei 10 minuti che mi sono dati per parlare offrirò alcune brevi riflessioni.
 
Alcune delle nostre fonti ebraiche che ci possono guidare.
Come i film contemporanei ci possono aiutare a vivere insieme comprendendo meglio l’altro.
 
1. Alcune delle fonti che ci possono guidare
 
“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!”
 
Questo versetto dei Salmi è diventato una delle canzoni popolari ebraiche piú importanti in Israele e nella diaspora ebraica. Mentre molti pensano che questo verso si riferisca solo agli ebrei, é certamente preferibile, a mio parere, interpretare questo versetto includendo tutti gli esseri umani. Penso a questo versetto ogni volta che sono in riunioni come questo incontro annuale “Uomini e Religioni” della Comunità di Sant’Egidio. 
Lo stesso si può dire del versetto del Levitico: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Nel libro del Levitico leggiamo dell’importanza di amare il prossimo e amare il forestiero, l'altro:
 
“Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.” (Levitico 19,17–18)
“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio. (Levitico 19,33–34)
Questi passaggi di apertura dalla lettura di K'doshim, che iniziano con "Siate santi" (Levitico 19,2), ci insegnano in modo molto concreto ciò che significa essere "santi" e cosa significa vivere con l'Altro nel nostro mondo di oggi. Essi sono senza dubbio tra i passaggi più rilevanti della Torah.
Una questione chiave che mi ha sempre interessato è: qual è il significato della parola "prossimo" nella frase: “Ama il prossimo tuo come te stesso.” Si riferisce solo agli ebrei o a tutti gli esseri umani?
Secondo alcuni commentatori, la parola ebraica per “prossimo”, rei-acha, si riferisce solo agli ebrei. 
Questa opinione è suffragata dal contesto in cui la frase appare nella Torah, che può essere tradotto come segue: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”. (Levitico 19,17-18). Secondo questa visione, "Ama il prossimo tuo come te stesso" non si riferisce a nessuno al di fuori del popolo ebraico.
Allora, chi sono oggi i nostri "prossimi" o "compagni"? Sono solo i nostri fratelli ebrei? Oppure possiamo includere l’Altro nella nostra interpretazione di questo versetto? Possiamo estendere il significato fino ad includere tutti gli esseri umani?
Il libro del Levitico (19,33-34), fa luce su queste domande e offre un correttivo all’idea che dovremmo amare solo i membri della nostra tribù o della nostra famiglia comune. 
Questi versetti si riferiscono agli altri che vivono in mezzo a noi, “lo straniero che dimora con voi”, cioè il non-Ebreo. In questi versetti la Torah è molto chiara: "dovresti amare lo straniero come te stesso". Perché? Perché "siete stati forestieri nel paese d'Egitto", cioè, per la nostra storia di minoranza perseguitata in terra di qualcun altro, noi ebrei dovremmo avere una sensibilità particolare per i cittadini non ebrei che sono in mezzo a noi.
Se vogliamo imparare a vivere insieme in questo mondo, con i nostri vicini, appartenenti a tutte le religioni e a tutti i gruppi etnici, allora avremo bisogno di imparare di più gli uni dagli altri. 
Io lavoro nel campo del cinema e il cinema è uno degli strumenti per farlo. Il cinema parla il linguaggio dei giovani ed è una finestra sulla vita e sulla cultura di persone di tutto il mondo. Un film può infrangere gli stereotipi e può riflettere una profonda umanità su persone che altrimenti non avremmo altra occasione di incontrare a livello personale. 
Ecco alcune immagini di recenti film israeliani, che illustrano questo. 
Un direttore del personale in un panificio di Gerusalemme cerca di fare espiazione per un lavoratore migrante ucciso in un attacco kamikaze. 
Una donna palestinese deve combattere per proteggere il suo limoneto. 
Una donna decide che deve aiutare un lavoratore straniero che è stato improvvisamente espulso. 
Una ragazza palestinese adolescente si rende conto che la sua vita é in pericolo quando partecipa ad un concorso di bellezza israeliano. 
Una sposa drusa è bloccata in un limbo tra Israele e Siria. 
I membri di una banda musicale della polizia egiziana trovano sostegno e conforto quando sono temporaneamente ospitati dagli israeliani in una remota città nel deserto. 
Un soldato arabo recita il monologo di Shylock del Mercante di Venezia per elemosinare acqua da una pattuglia israeliana che incontra nel deserto del Sinai. 
Una madre palestinese porta il figlio in un ospedale israeliano per curare la malattia che attenta alla sua vita.
Queste sono alcune delle immagini indimenticabili ed inquietanti del cinema israeliano e palestinese degli ultimi anni. Questi film possono essere visti come fonti. Le fonti cinematografiche, come quelle religiose, ci possono aiutare a sviluppare una maggiore comprensione reciproca, così che possiamo vivere insieme nel mondo di Dio. 
 
 
Grazie!
 

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Barcellona 2010

Messaggio
di Papa
Benedetto XVI


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