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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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12 Settembre 2011 16:00 | Rathaus, Großer Sitzungssaal

Ebrei e cristiani: dal dialogo all’amicizia di Jaron Engelmayer



Jaron Engelmayer


Rabbino, Israele

Un titolo piuttosto interessante, non fosse altro perché è possibile darvi interpretazioni molteplici e diverse. E’, per esempio, possibile porsi le seguenti domande: tale frase descrive la realtà oppure è l’espressione di un desiderio? Il dialogo e l’amicizia esistono o dovrebbero esistere? Il dialogo è la via per l’amicizia? E inoltre: l’amicizia è la naturale conseguenza del dialogo oppure uno dei possibili risultati?
Per poterci dedicare a queste domande e a possibili risposte da parte ebraica, dovremmo prima andare a vedere come dialogo ed amicizia siano concepiti in un contesto ebraico. Mettendo poi a confronto questi concetti, sarà possibile capire quale sia lo stato del dialogo e dell’amicizia all’interno del rapporto tra cristiani ed ebrei.
Occupiamoci innanzitutto brevemente del concetto di “dialogo”:
Nei “detti dei padri” ( o “Pirke avoth“, parte della Mishnah, n.d.t.), 3,3, troviamo un passaggio piuttosto interessante e che, nel contesto della nostra argomentazione, possiamo utilizzare come fonte: “se due persone sono sedute insieme e parlano delle parole della Torah, allora Dio è in mezzo a loro, come sta scritto (Malachia 3, 16): “I timorati di Dio si consultano l’un l’altro, Dio si volge verso costoro.  “ Dovremmo prestare attenzione al termine נדברו – consultarsi - usato assai raramente: di solito si direbbe דיברו – essi parlano l’uno con l’altro. Ciò che distingue i due termini è il modo di parlare l’uno con l’altro: è possibile ascoltare per poter parlare, ma anche parlare per poter ascoltare. In un colloquio, soprattutto se si tratta di uno scambio di informazioni e di opinioni, può succedere che ciò che interessa a chi vi partecipa sia  venire ascoltato, “ledaber”. Un tale colloquio può essere considerato un monologo bidirezionale, ossia un monologo con due partecipanti. Un vero dialogo nasce quando ai partecipanti interessa ascoltare, accorgersi dell’altro, dei suoi punti di vista e delle sue opinioni, e voler veramente capire. Nello studio della Torah ciò rappresenta la condizione imprescindibile affinché sia possibile trovare e cristallizzare la verità: lo scambio tra due sensibilità, la fusione di due cervelli in uno, per poter intendere correttamente le parole di Dio. Solo se si verifica tutto ciò Dio si volgerà verso chi studia la Torah. E’ per questo che la forma classica dello studio della Torah è la “chewruta”, lo studio in due. Tra parentesi: Solo riguardo a Dio nella Torah è scritto che egli parlava “middaber” (e non “medaber”), come se parlasse con se stesso, come se conducesse un monologo, al quale permise a Moshe (Mosé) di prendere parte. Infatti, soltanto Dio non ha bisogno di un compagno che nel dialogo lo arricchisca e gli sia complementare.
Rivolgiamo ora la nostra attenzione al concetto di “amicizia”. L’amicizia è qualcosa di buono. Non è soltanto la nostra esperienza di vita a mostrarcelo, sono anche le nostre fonti a sottolinearlo più di una volta. “Meglio essere in due che uno solo, …Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi” è un consiglio del Re Salomone, tratto dal libro del Qoelet (4, 9-10). Anche il Talmud constata: “O l’amicizia o la morte” (Taanit 23b) – per dire che un uomo o una donna, in quanto singolo individuo, da solo, non può esistere, e che dipende dalla società e dagli altri uomini e donne. Perciò non ci meravigliano neanche i consigli dei “detti dei padri”: “Procurati un amico” (1,6), “la buona via che l’uomo deve scegliere è quella … di (essere/avere) un buon amico…” (2,13).
Rambam, Maimonide, il grande intellettuale e pensatore ebraico medievale, distingue tra tre tipi diversi di amicizia:
1. L’amicizia orientata all’interesse personale. Tale amicizia dura finché l’interesse comune è presente e gode di una certa priorità.
2. L’amicizia cercata per via del legame che crea. Ad entrambe le parti questo legame procura piacere, fiducia, sostegno ed assistenza.
3. La forma più alta e più pura dell’amicizia, slegata da interessi personali: la comune aspirazione verso traguardi elevati e verso la perfezione spirituale e caratteriale. All’interno di questo tipo di amicizia è anche possibile far presente all’altro i suoi errori e correggerli, nella comune consapevolezza e nella fiducia che ciò sia cosa gradita e che avvenga unicamente per motivi buoni e puramente altruistici!
Le amicizie possono quindi essere di natura diversa e trarre origine da interessi di tipo diverso.
Passiamo ora alla realtà delle relazioni tra cristiani ed ebrei ed illuminiamo i concetti di dialogo ed amicizia ed il rapporto che intercorre tra i due termini, secondo la seguente prospettiva:
Da parte ebraica, l’essere entrati in dialogo con i cristiani è stato motivato da necessità basilari. Vivere in Europa per circa un millennio e mezzo come minoranza ebraica all’interno di una società dove i cristiani erano una maggioranza, come sapete, non è stato sempre facile, per esprimermi con un eufemismo. Soprattutto dall’undicesimo secolo fino all’illuminismo i pogrom, le persecuzioni e le deportazioni, in parte promosse ufficialmente dalla Chiesa, in parte iniziate e portate avanti dalla popolazione e religiosamente motivate, caratterizzarono il rapporto tra cristiani ed ebrei.
Questo rapporto ebbe una grande svolta con il Concilio Vaticano II e la dichiarazione “nostra aetate“. Con il riconoscimento, da parte della Chiesa Cattolica, dell’ebraismo come religione legittima, che possiede una propria via per giungere a Dio ed ottenere la salvezza, venne spianata la strada per un dialogo autentico, che avrebbe sostituito le dispute tra ebrei e cristiani, che prima erano tanto comuni. Da parte ebraica, con questo passo così significativo diventa realtà qualcosa che era necessario: essere rispettati e riconosciuti dalla Chiesa, poter fare incontri teologici con loro in condizione di parità! E’ una cosa impensabile nel medioevo! Queste sono condizioni necessarie per un vero dialogo!
Ma non vi è solo questo nel dialogo, bensì anche un sincero interesse da parte cristiana verso l’ebraismo e verso il punto di vista ebraico, per ritrovarvi e comprendere meglio le radici ebraiche del cristianesimo, capire e definire meglio sé stessi! Questi sviluppi creano una situazione di partenza completamente nuova, da lungo desiderata e molto ben accetta da parte ebraica, e pongono i rapporti tra cristiani ed ebrei su una base completamente nuova.
Sono due le cose che dovrebbero trovare particolare attenzione all’interno del dialogo tra cristiani ed ebrei, per poter continuare questa storia che ha avuto successo. Oltre ad aspetti simili delle due religioni, spesso affiora nettamente ciò che distingue. Riconoscere ed accettare i due aspetti è una premessa per un dialogo sincero. Altrettanto importante è il riconoscimento di una certa asimmetria. Non sempre ciò che vale per l’uno può anche valere per l’altro. Per esempio: il cristianesimo ha le sue radici nell’ebraismo, ma non viceversa! Da ciò consegue che il cristianesimo può sviluppare una migliore conoscenza di sé a partire dall’ebraismo. Tale dipendenza, se invertita, diventa meno vincolante: l’ebraismo ha una concezione di sé che non dipende dal punto di vista dei cristiani. O, per fare un altro esempio: gli ebrei possono partecipare alle liturgie ebraiche, viceversa agli ebrei la partecipazione a liturgie cristiane non è possibile. Questa è una circostanza che la Comunità di Sant’Egidio sa gestire in maniera rispettosa e con dignità, riuscendo a trovare modalità per poter avere cerimonie comuni nonostante le limitazioni esistenti.
Il rispetto reciproco, il permettere ed accettare opinioni e concezioni diverse sono le premesse non solo di un dialogo sincero, ma anche di una vera amicizia. Anche il dialogo in quanto tale, il desiderio di scambio ed un vero interesse verso l’altro sono presupposti per una vera amicizia. Ciò risulta anche dalla frase già citata in precedenza: “I timorati di Dio si consultano l’un l’altro, ognuno con il suo amico”. Consultandosi a vicenda, nasce l’amicizia!
Amicizie personali tra rappresentanti del cristianesimo e dell’ebraismo sono sempre esistite, ma sono stati soprattutto gli sviluppi degli ultimi decenni ad aprire ufficialmente la strada affinché siano possibili. Speriamo che non ci siano contraccolpi negativi e che sia possibile continuare su questa strada! Possono nascere amicizie significative di ognuno dei tre tipi di cui parlava Rambam. Possono nascere da un interesse comune, dal piacere, dalla fiducia e dal sostegno comune che nasce da un legame, come dalla possibilità di un mutuo arricchimento spirituale.
La Comunità di Sant’Egidio percorre questa via con coraggio profetico e, con la creazione di questo forum di dialogo autentico fa anche nascere i presupposti per una molteplicità di amicizie interreligiose, che possono, lo speriamo, dare un contributo significativo all’armonia ed alla pace.



Messaggio
di Papa  Benedetto XVI


Incontro di dialogo tra le religioni, Monaco di Baviera 2011


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