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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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12 Settembre 2011 16:00 | Rathaus, Großer Sitzungssaal

"Cristiani ed Ebrei – dal dialogo all’amicizia" di Johannes Friedrich



Johannes Friedrich


Vescovo evangelico della Baviera, Germania

1. Esperienze personali

E’ stata per me una profonda emozione quando, quattro anni fa, venne inaugurata la nuova sinagoga nel centro di Monaco. C’era una sala meravigliosa, grande, luccicante d’oro. Venne accesa la luce perenne ed i rotoli della Torah della sinagoga precedente trovarono la loro collocazione nel grande scrigno.
Nello stesso anno vennero anche inaugurati il centro comunitario Shalom Europa a Würzburg ed il centro comunitario a Bamberg. Con una colletta nella nostra Chiesa abbiamo potuto dare un contributo per tutti e tre questi centri.
Sono grandi momenti che mostrano come in molte città della Baviera le comunità ebraiche tornano nei luoghi da dove, 70 anni fa, esse vennero scacciate.

Tuttavia, spesso, la realtà è diversa. Come esempio vorrei parlare della piccola Comunità di Mönchsroth, nella Franconia. Qui venne distrutta una comunità ebraica fiorente – essa non torna, non può tornare, perché non esiste più. Questa Comunità di Mönchsroth è l’emblema di innumerevoli altre.

In questa località vi è ancora la sinagoga, costruita 340 anni fa in mezzo al paese. Nonostante gli ebrei non fossero equiparati ai cristiani, ciò non impedì loro di costruire una sinagoga di notevoli dimensioni nel bel mezzo del paese. Per più di 270 anni è stata il centro della comunità ebraica, dal punto di vista liturgico come dal punto di vista sociale. L’edificio è ancora in piedi, appartiene a privati che lo hanno legittimamente acquistato dopo la guerra.
Là, per 270 anni gli ebrei non erano estranei, ma vicini di casa ed amici. Nel 1925 le autorità ecclesiastiche inviarono nel paese un parroco che apparteneva ai “Deutsche Christen” (Cristiani Tedeschi), un esponente della corrente nazista all’interno della Chiesa, un agitatore antisemita, che fu coinvolto anche nella fondazione del gruppo locale del partito nazionalsocialista. Si giunse a forti contrasti con la comunità ebraica, perché questa non restava impassibile davanti a tutto ciò che il parroco le faceva. Nel 1935 si è suicidato. Il fatto che questo parroco sostenesse la politica razziale e che si adoperasse come megafono di essa, rappresenta un capitolo buio nella storia della nostra Chiesa.

I discendenti dei colpevoli non sono colpevoli. I discendenti delle vittime non sono vittime.

Non esiste la colpa collettiva. Ma esiste una vergogna collettiva ed una responsabilità collettiva.

Perciò, a Mönchsroth, in qualità di vescovo della Chiesa a cui apparteneva questo parroco, ho confessato ai discendenti delle vittime che in quegli anni la nostra Chiesa davanti ai loro padri si è resa corresponsabile della fine della Comunità di Mönchsroth.

E’ stato commovente per me inaugurare una lapide nel centro del paese in memoria della deportazione e dell’annientamento della popolazione ebraica del luogo, insieme ad Arno Hamburger, Presidente della Comunità Israelitica di Norimberga, con la lettura di salmi e la preghiera del Kaddish. Erano presenti discendenti della popolazione ebraica che allora risiedeva nel paese, che oggi vivono negli USA.

Questi grandi momenti tuttavia non possono nascondere quanto spesso il nostro rapporto sia poco naturale e difficile.

Gli ebrei nelle nostre città sono dei vicini o, ancor più, dei fratelli e delle sorelle?

Permettete che inizi con un’esperienza personale: una delle esperienze più difficili del mio periodo come vescovo è stata la visita in una sinagoga, svolta nell’ambito di una visita pastorale. O meglio: ovviamente non è stata la visita ad essere difficile, ma le conseguenze della visita.
Cosa è successo? Ho incontrato il Presidente della locale Comunità Israelitica, il Dr. Schuster per un colloquio. Durante il colloquio era ben visibile la mia croce pettorale. Dopo il colloquio il Dr. Schuster mi ha chiesto se volevo entrare nell’aula sinagogale. Ho acconsentito, e, inoltre, per buona educazione e rispetto mi sono messo la kippah e ho messo da parte la croce pettorale, in quanto per un vescovo portare la croce in una sinagoga non è necessario, e tanto meno rappresenta una confessione di fede. Inoltre, le esperienze che avevo fatto come prevosto a Gerusalemme erano state inequivocabili. Lì ho incontrato molti ebrei che avevano una forte avversione contro il segno della croce. Nella loro percezione, centinaia di migliaia di loro sono stati uccisi sotto questo segno. Inutile che noi cristiani ci illudiamo: molti ebrei, il cui destino è stato segnato dalla Shoah, associano il simbolo della croce con le sofferenze patite lungo i secoli.
Per loro non è rilevante l'importanza che riveste per noi tale segno, ma come loro lo percepiscono. In considerazione di ciò ho messo da parte la mia croce pettorale. Immaginatevi le lettere che ho ricevuto: il vescovo ha tradito il nostro Signore Gesù Cristo! Proprio davanti agli ebrei sarebbe importante portare la croce, il mio sarebbe stato un cedimento alla pressione dell’ebraismo mondiale…

Molte delle lettere rendevano evidente che chi le scriveva era affetto da pregiudizi antisemiti. Per molti tra di noi gli ebrei non sono neanche vicini, ma, oggi come ieri, avversari.

Io porto la mia croce pettorale volentieri, come segno del fatto che ricevo il mio ministero da Gesù Cristo e che ho il compito di confessarlo e testimoniarlo come il crocifisso ed il risorto. Questo lo faccio volentieri. Perciò ho portato la croce volentieri, sia durante il colloquio con il comitato di presidenza della sinagoga, che in occasione di una festa nella moschea.

Ho messo da parte la mia croce nel luogo religioso più interno della Comunità ebraica. E’ proprio in questo luogo che la mia fede in Gesù Cristo mi spinge ad avere rispetto verso persone che associano a questa croce ricordi di persecuzione e discriminazione, di cui sono stati responsabili dei cristiani.

Non avevo messo in conto che il mio agire, determinato da cortesia e rispetto, quindi da virtù cristiane, avrebbe potuto essere criticato.

E’ ancora così difficile il rapporto tra ebrei e cristiani? Alcuni li concepiscono ancora come avversari e non come fratelli e sorelle? E’ così attuale il problema? Ho paura di si.

Non è passato molto tempo da quando un parroco a Norimberga, predicando sul brano di Esodo 20, 5 (“Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano”) diceva: “ecco, qui abbiamo il Dio della vendetta”.
Non è passato molto tempo da quando in molte chiese veniva recitata una preghiera, che diceva: “venne disprezzato dal suo popolo, torturato ed inchiodato alla croce”.
Questi esempi mostrano che esistono ancora oggi pregiudizi dei cristiani nei confronti degli ebrei.

2. Pregiudizi
Risalgono agli inizi del cristianesimo. I cristiani dovevano affermarsi nei confronti degli ebrei, dai quali, in un certo senso, derivavano. Perciò sono state sottolineate soprattutto le differenze e non ciò che era in comune.

Nella Bibbia troviamo anche una serie di passaggi che, considerati con la sensibilità attuale, suonano antisemiti. Soprattutto nel Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù dice agli ebrei: “Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c'è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna.” Si potrebbero fare considerazioni simili anche per gli altri Vangeli, i quali potrebbero anche essere letti nel senso che sia possibile attribuire tutta la colpa della morte di Gesù agli ebrei.
Nel corso dei secoli da questi passaggi neotestamentari i cristiani hanno tratto la conclusione che dovessero vendicare il loro Signore Gesù contro gli ebrei, e che gli ebrei dovessero essere convertiti con la forza oppure morire. Soprattutto dopo quanto è accaduto nel secolo scorso molte persone, soprattutto cristiani, sono diventate più sensibili per quanto riguarda il rapporto con gli ebrei.
Ciononostante il pensiero di molti è ancora influenzato da pregiudizi.

Perché? C’è poca confidenza e reciproca conoscenza con gli ebrei! In Germania oggi vivono poco più di 100.000 ebrei, poco più dello 0,1% della popolazione. Ciò spiega che non pochi dei nostri concittadini hanno pregiudizi verso gli ebrei, perché non ne conoscono nessuno. (Questo destino è condiviso dai musulmani: i tedeschi hanno più paura dell’islam nei luoghi in cui il numero degli immigrati è più basso).

3. Cambiare il proprio modo di pensare

Dopo il  1945 nelle nostre chiese evangeliche vi è stato un cambiamento nel modo di intendere il rapporto con l’ebraismo. Di particolare importanza è stata la decisione del Sinodo Renano del 1980. Da allora molti cristiani (evangelici) si interrogano sulla possibilità che esistano due vie alla salvezza: una per gli ebrei ed una per i cristiani.

Strettamente connessa a questa domanda ve ne è un’altra, che continua a scaldare gli animi: è ammessa la missione cristiana per la conversione degli ebrei E’ possibile? E’ vietata? Ed, infine – ne parlerò meglio – Martin Lutero e gli ebrei.

Nel 1997 la Chiesa Regionale della Baviera è giunta ad istituire una commissione con il compito di occuparsi del rapporto tra cristiani ed ebrei. Nel Sinodo dell'autunno del 1998 venne poi rilasciata una dichiarazione fondamentale, che inizia con queste parole:
“La questione del rapporto tra cristiani ed ebrei ci conduce nel cuore della fede cristiana: la fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che noi cristiani confessiamo come padre di Gesù Cristo, unisce cristiani ed ebrei. Non si tratta di una questione che giunge alla Chiesa dall'esterno, ma di una domanda di vita centrale per la Chiesa e la teologia. Siccome Gesù di Nazareth apparteneva al popolo ebraico ed era radicato nelle sue tradizioni religiose, “attraverso il loro confessare Gesù Cristo i cristiani acquistano un particolare rapporto con gli ebrei e la loro fede, che si distingue dal rapporto con le altre religioni”.

4. Ebrei e cristiani hanno radici comuni
Ho imparato che comprendo meglio la mia fede se conosco meglio la fede ebraica. A lungo noi cristiani abbiamo dimenticato che Gesù era ebreo, pensava da ebreo e credeva da ebreo.

Un esempio: tra i cristiani, i farisei sono considerati personaggi piuttosto negativi, perché gli evangelisti li tratteggiano come avversari di Gesù. Per molto tempo non ci siamo accorti che, religiosamente parlando erano i più seri, il che dovrebbe farci sorgere un senso di rispetto nei loro confronti.

Abbiamo radici comuni. L'aspetto unico e particolare del nostro rapporto non sono le differenze ma ciò che abbiamo in comune.
Quando diciamo: “la fede cristiana ha radici nella fede ebraica”, la cosa non è del tutto corretta. Sarebbe giusto dire: “le fedi cristiana ed ebraica hanno radici comuni”. Dal tempo di Gesù stiamo camminando su strade separate, ma crediamo nello stesso Dio, il padre di Abramo, Isacco e Giacobbe, che Gesù chiamava Padre e che noi cristiani confessiamo anche come Padre di Gesù Cristo.

In Romani 9-11 l’apostolo Paolo affronta questo argomento. E’ la parte più importante del Nuovo Testamento per quanto riguarda il nostro rapporto con gli ebrei. E, su questa questione, è anche il più dibattuto. Perché la dottrina sulla giustificazione del peccatore attraverso la fede, così importante per l’identità evangelica, viene affrontata anche in questi capitoli. Da essi non si trae la conclusione che l’ebraismo debba essere rinnegato. Piuttosto, la dottrina sulla giustificazione viene collegata alla fedeltà di Dio  a Israele, che rimane il popolo eletto.
In Romani 11 Paolo giunge alla conclusione dei suoi ragionamenti, ed esponendola si rivolge soprattutto ai cristiani provenienti dal paganesimo, cioè a coloro che non hanno radici ebraiche. Essendo questi oggi la parte preponderante dei cristiani, il nostro atteggiamento deve essere determinato da Romani 9-11. Romani 9 – 11 rende evidente il fatto che la Chiesa cristiana non può comprendere se stessa senza le proprie radici ebraiche. Paolo paragona i cristiani che provengono dall'ebraismo ai rami di un albero santo fin dalle radici, e i cristiani che provengno dal paganesimo ai rami innestati successivamente nell’albero.

Si rivolge con le seguenti parole ai cristiani provenienti dal paganesimo: “Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.” (Rom 11, 17 ss)

Basta questo a far si che l’incontro con l’ebraismo sia importante per i cristiani. Se la radice ebraica non viene presa in considerazione, ciò ha come conseguenza un accorciamento del modo di vedere l’identità cristiana. Tutti i cristiani devono poter condividere quanto detto dal Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita alla sinagoga di Roma (1986): “La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”.

Nella similitudine dell’olivo il rapporto tra cristiani ed ebrei viene definito in una prospettiva cristiana. Non ci possiamo aspettare che gli ebrei condividano tout court questo punto di vista. Tuttavia gli ebrei possono avvertire che, recependo Romani 9-11, siamo alla ricerca di un nuovo rapporto verso i nostri fratelli “maggiori”, in cui le differenze non diventano contrapposizioni, ma dove ciò che di fondamentale ci è comune riesce ad “abbracciare” le differenze che permangono.

Nel concreto ciò significa: “La fede cristiana e la fede ebraica provengono da una radice biblica comune. Gli ebrei ed i cristiani confessano l’unico Dio, il Creatore ed il Salvatore. Gli ebrei ed i cristiani esprimono la loro fede in liturgie in cui vi sono molteplici aspetti comuni. Nella fede di ebrei e cristiani vi è un rapporto vicendevole tra giustizia ed amore. Cristiani ed ebrei vivono separati la comune storia di Dio con il suo popolo, di cui attendono il compimento.” (Dichiarazione I. 1)

Da tutto ciò noi della Chiesa Evangelico - luterana di Baviera abbiamo tratto una conclusione univoca e abbiamo parlato della permanenza di Israele come popolo eletto di Dio (Rom 11,1). La sua elezione non è resa nulla dalla elezione della Chiesa, costituita da ebrei e da pagani. Ciò lascia comunque non chiariti molti aspetti del rapporto tra cristiani ed ebrei, ma una cosa è certa: non crediamo più che le promesse di Dio siano state trasferite al nuovo Israele e che non siano più valide per l’antico Israele. Con ciò, il nostro rapporto con l’ebraismo rimane sempre qualcosa di particolare.

Da ciò si può concludere: l’antigiudaismo contrasta con il cuore della fede cristiana. Perciò parte dei compiti che sono autenticamente ed originalmente propri della Chiesa consistono nel rinnegare ogni inimicizia contro gli ebrei, resistervi là dove essa si manifesta e sforzarsi per ottenere un rapporto con gli ebrei e la religione ebraica basati sul rispetto, l’apertura e la disponibilità al dialogo.

Queste considerazioni mi hanno portato a dar vita all’ “Alleanza per la tolleranza – contro il razzismo e l’antisemitismo”. In ciò abbiamo trovato molti alleati: Associazioni, sindacati, il governo nazionale e le Chiese. Insieme prendiamo coscienza della nostra responsabilità e ci impegniamo affinché gli ebrei non siano più discriminati nel nostro paese.

5. I cristiani possono imparare dall’ebraismo
Proprio perché abbiamo radici comuni, è bene avere ben presenti la vita e la fede ebraiche. Vorrei illustrare ciò parlando dello shabbath e della domenica:
La domenica cristiana si fonda sul terzo comandamento: “Santificherai il giorno festivo!”.

Noi cristiani non celebriamo più, come gli ebrei, il settimo giorno della settimana ma il primo. Perché in tale giorno facciamo memoria della resurrezione di Gesù.

Ma possiamo imparare molto dagli ebrei, per quanto riguarda il significato del giorno di festa. Tra le esperienze che ho fatto in sei anni come prevosto della Comunità evangelico- luterana a Gerusalemme, il modo in cui gli ebrei festeggiano lo shabbath appartiene a quelle che più hanno lasciato in me il segno. In ciò vi sono molti aspetti di cui noi cristiani non siamo abituati, molti non riusciamo neanche a capirli. Chi osserva rigorosamente i comandamenti del sabato non lavora, non cucina, non prepara i pasti, non cammina e non prende mezzi di trasporto se non per andare in sinagoga. L'ultimo aspetto ci è estraneo. Tuttavia, se il riposo dello shabbath è un’anticipazione dell’eternità, allora si relativizza la frenesia della vita quotidiana, e quindi tutto ciò che sembra tanto importante nella vita di ogni giorno. Il giorno di festa di Dio è un dono per il mondo, per il bene degli uomini, non qualcosa che ci limita, ma qualcosa che sospende la regolarità della vita quotidiana per un giorno alla settimana.

Nel nostro paese la domenica è in pericolo. Fare acquisti ventiquattro ore su ventiquattro sembra essere il massimo benessere per gli uomini, che hanno perso il senso di cosa dia qualità alla vita. Chi oggi vuole fare la spesa di domenica, domani dovrà lavorare la domenica. Diventa un ingranaggio di un gioco che calcola i tempi delle macchine e dei servizi lavorativi. Perciò scompare il ritmo che nella società alternava lavoro e riposo. Tutto si risolve in giornate eternamente uguali. Senza le domeniche rimangono soltanto giorni lavorativi, esiste soltanto la quotidianità. Perciò conservare la domenica diventa vitale. Il modo in cui gli ebrei santificano lo shabbath può aiutarci a comprenderlo.

6. Un’ipoteca dolorosa: Martin Lutero e gli ebrei
Come luterani dobbiamo molto a Martin Lutero. E più invecchio, più capisco come siano importanti le sue intuizioni teologiche.
Tutti conosciamo però anche le terribili affermazioni, che Martin Lutero ha fatto riguardo agli Ebrei. Considerando l’argomento che stiamo trattando non possiamo tralasciarle, non fosse altro perché per gli ebrei non sono “acqua passata”. Nel 1995, in occasione dell’anno dedicato alla commemorazione di Lutero, il Presidente della Comunità Israelitica di Norimberga si è rifiutato di presenziare alla cerimonia di inaugurazione. Di conseguenza, il consiglio di presidenza del decanato di Norimberga si è sentito in dovere di pubblicare una delibera, in cui aderiva alla dichiarazione dell’ Evangelical Lutheran Church of America. In essa veniva dichiarato:
“…noi, che portiamo il suo nome, (dobbiamo) anche essere dolorosamente coscienti degli insulti antiebraici di Lutero e delle violente prese di posizione contro gli ebrei contenute nei suoi ultimi scritti. Come già fecero  molti dei compagni di Lutero nel sedicesimo secolo, prendiamo distanza da questi insulti brucianti, ed esprimiamo inoltre il nostro profondo e permanente sentimento di dolore per le conseguenze tragiche che esse hanno avuto sulle generazioni che si sono susseguite. Concordi con la federazione luterana mondiale deploriamo in modo particolare l’utilizzo delle affermazioni di Lutero da parte di moderni antisemiti per sostenere le loro dottrine di odio contro l’ebraismo o contro il popolo ebraico del nostro tempo.”

Tutto ciò è stato recepito dalla nostra Chiesa nella dichiarazione sopra citata, con le seguenti parole:
“La comunità di fede luterana, che sente il suo debito verso l’opera e l’eredità di Martin Lutero, non può esimersi dalla consapevolezza rispetto alle sue affermazioni antigiudaiche, dal riconoscerne le finalità teologiche e dal considerarne le conseguenze. Deve prendere distanza da ogni forma di antigiudaismo nella teologia luterana. Facendo ciò vanno considerati non solo gli scritti polemici contro gli ebrei ma anche tutti i passaggi, in cui Lutero, semplificando, contrappone la fede degli ebrei al Vangelo, chiamandola giustizia secondo le opere”.

Tuttavia, per molti una tale critica a Martin Lutero, obiettiva e necessaria, rappresenta un reato di lesa maestà, o, meglio, un sacrilegio. Per questo motivo, in un ulteriore paragrafo, abbiamo aggiunto le seguenti parole:
“Sia alcune espressioni di Martin Lutero che determinate connotazioni della teologia luterana hanno avuto conseguenze antigiudaiche. Al di là della doverosa presa di distanza da tutto ciò, è necessaria una ricerca ed una critica per trovare le cause, le motivazioni e lo sviluppo di tali espressioni, per lo sviluppo della teologia luterana, tenendo in considerazione il dialogo ebraico – cristiano.

Contrariamente alla prassi corrente, ogni contrapposizione semplicistica tra l’ebraismo (o anche di gruppi all’interno dell’ebraismo, come p. es. i farisei), o di parti essenziali della religione ebraica (p. es. la legge) ed il messaggio cristiano, deve essere evitata e lasciare il passo ad un punto di vista più attento ed articolato. La Chiesa luterana deve far suo il compito di combattere l’intolleranza religiosa all’interno della Chiesa come nella società.

Proprio perché Martin Lutero riveste un’importanza così grande per noi cristiani evangelici, abbiamo una grande responsabilità di occuparci dell’argomento “Cristiani ed Ebrei”.

7. Per concludere: differenze che permangono
Constatiamo che ci sono molti punti di convergenza, molte cose in comune, molti paralleli; ci sono anche molte differenze, che sono da percepire come tali.

La differenza più importante è sicuramente nella risposta alla questione del messia.
Martin Buber lo ha espresso in maniera molto bella: raccontava di un seminario per ebrei e cristiani, a cui ha preso parte. In esso disse: “In fondo, abbiamo molto in comune. Voi cristiani credete che il messia è già venuto, è andato via e che tornerà. Noi ebrei crediamo che verrà, ma che non è mai stato qua. La mia proposta è: aspettiamolo insieme. E quando verrà, potremo chiedergli di persona, se era già venuto. Ed io gli sussurrerò nell’orecchio: “non dire niente!”.

Le parole di Buber esprimono con umorismo il fatto che questa differenza, proprio quando viene presa sul serio, può unirci nella fede. Intendo dire che, come cristiani, possiamo affidare a Dio ed allo Spirito Santo la risposta a questa domanda, e, nel frattempo, confessare gioiosamente la nostra fede in Dio, il padre di Gesù Cristo, e, allo stesso tempo possiamo prendere sul serio gli ebrei quando confessano il Dio, che anche Gesù ha confessato come suo padre.

Concludo con l’augurio di benedizione tratto dalla dichiarazione della nostra Chiesa: “Dio, che noi cristiani confessiamo come padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe, benedica tutti i nostri sforzi per migliorare il rapporto tra cristiani ed ebrei.”

 



Messaggio
di Papa  Benedetto XVI


Incontro di dialogo tra le religioni, Monaco di Baviera 2011


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