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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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12 Settembre 2011 16:00 | Residenz, Vier-Schimmel-Saal

Le Religioni ed il valore della vita di Virgil Bercea



Virgil Bercea


Vescovo greco-cattolico, Romania

Le Religioni ed il valore della vita

    Per entrare appieno nella problematica dei valori (axiologia), la filosofia e la teologia moderna devono necessariamente ripartire dall’uomo al fine di poter rispondere alle aspettative di una cultura antropocentrica, per poter giungere a tutti gli aspetti dell’esistenza umana, nella storia. Sempre in una prospettiva antropocentrica, si sviluppa oggi il discorso su Dio-creazione- senso della storia: per questo anche il valore dell’esistenza di tutte le cose è scoperto partendo dall’uomo, cioè da quello che è il fenomeno umano nella storia, e dalla conoscenza, per raggiungere, quasi per necessità, la scoperta della fonte della dignità e dei valori di tutte le cose.
    Per comprendere „che cosa” sia l’uomo (come valore oggettivo nell’ambito della creazione), ma soprattutto „chi” sia l’uomo, facciamo ricorso al patrimonio del pensiero dell’umanità, come si è concretizzato lungo i secoli, nella filosofia, nella teologia e nella cultura in generale di tutta l’umanità. Il Concilio Vaticano II afferma:

    «Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto     quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come al suo centro e al suo vertice. Ma che cos'è l'uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul     proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie,     secondo le quali spesso o si esalta     così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in     tal modo nel dubbio e nell'angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente     profondamente e ad esse può dare la risposta che le viene dall'insegnamento della     divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una     ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione».
   
    L’uomo però è legato alla religione in modo ontologico, nella misura in cui possiamo affermare che il principale fattore antropogenetico e nello stesso tempo la conformazione dell’Umanità e del fenomeno umano nella storia è dato dalla religione. L’uomo appare nella storia e si manifesta come “uomo” nel momento in cui percepisce la realtà del sacro, detto in altre parole, come afferma lo storico delle religioni Mircea Eliade, allorquando diventa homo religiosus. Non possiamo parlare di un “uomo naturale” privo di religione, sia che questa sia interpretata come percezione del sacro o differenziazione di questo nei confronti del profano; per questo possiamo affermare senza tema di smentita, che se l’esistenza delle cose e implicitamente dell’uomo ha un senso, allora è dato dal legame tra il sacro e la sua manifestazione nella realtà oggettiva. Detto in modo diverso, solo nella misura in cui l’uomo scopre il legame tra Dio - quale principio creatore - ed il mondo creato, può accordare a ciascuna cosa un valore.
    In questo contesto, per l’uomo diventa più significativa ed importante la scoperta della propria dignità e la presa di coscienza dei valori della vita. Le religioni del mondo hanno concretizzato la rivelazione sacra come una "rivelazione naturale" di una realtà ultima, traducendo questa esperienza con il linguaggio specifico dell’area geografica in cui si realizzava, quindi abbiamo un unico vero inizio assoluto e un fine di tutte le cose, ma un pluralismo di interpretazioni e di traduzioni in dottrine religiose, dalle religioni atee – cioè religioni che negano il carattere personale di Dio, il linguaggio arcaico delle diverse mitologie – a quelle che ammettono un Dio personale come le religioni teistiche - un Assoluto "persona "che sia collegamento tra l'uomo e Dio per costituire un dialogo d'amore, nella libertà e nella dignità.    La ragione naturale, illuminata dalla Rivelazione divina posta nei libri della Sacra Scrittura, scopre il valore universale della vita e della dignità dell’esistenza umana, partendo soprattutto dalla condizione di creatura e dal dono del”immagine e somiglianza” dell’uomo con il suo Creatore:
   
    «La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato “ad immagine di Dio”     capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito     da lui sopra tutte le     creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio. “Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui?     o il figlio dell'uomo che tu ti     prenda cura     di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e     l'hai costituito    sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi” (Sal     8,5). Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio “uomo e     donna  li  creò” (Gen 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le     sue doti»

    L’uomo è una creatura con una dignità speciale, amministratore dei beni della creazione (dopo la caduta nel peccato originale non sempre “saggio” nel conservare l’equilibrio creato da Dio nella natura, un essere sessuato (uomo e donna), un essere sociale destinato a vivere e ad agire “assieme” perché solamente con l’”altro” si manifesta come uomo e può trasmettere tutt’intera la sua eredità culturale e spirituale ai suoi discendenti, formando un patrimonio universale dell’umanità di ogni tempo.
    “Ad immagine di Dio” l’uomo è dotato di ragione e di libera volontà, capacità naturale, innata e sete di conoscenza, facendolo degno di cercare il senso del trascorrere di tutte le cose; ma Dio l’ha fatto soprattutto “capace di Dio”. Questa capacità cognitiva, unica nel suo genere rispetto agli altri esseri viventi, è un’alta fonte della dignità specifica dell’uomo che ne scopre il valore suo unico nella creazione. Il Concilio afferma:

«L'uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutto l'universo delle cose, a motivo  della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio. Con     l'esercizio appassionato dell'ingegno lungo i secoli egli ha fatto certamente dei progressi nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali     Nell'epoca nostra, poi, ha conseguito successi notevoli particolarmente nella investigazione e nel dominio del mondo materiale. E tuttavia egli ha sempre cercato     e trovato una verità più profonda. L'intelligenza, infatti, non si restringe all'ambito     dei soli fenomeni, ma può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile, anche se, in conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e indebolita. Infine, la natura intelligente della persona umana può e deve raggiungere la perfezione. Questa, mediante la sapienza attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo che se ne nutre è condotto     attraverso il visibile all'invisibile.     L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte»

La conoscenza “attraverso la luce naturale della ragione” è completata però dalla coscienza morale della “voce di Dio” che l’illumina e le mostra il senso dell’azione personale, che tende - in modo naturale, allorquando questa coscienza non sia pervertita - verso “un bene come finalità di tutta l’azione umana, perché il bene è la realtà alla quale tendono tutte le cose.”
Il fatto che l’uomo abbia una coscienza morale, unica nel suo genere nel mondo delle creature, diviene un’altra fonte importante della dignità specifica di un “plus valore” di fronte alle altre creature.

    «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il     bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore;     obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la     cui voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile     quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita     privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi     alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia     erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità».

La Sacra Scrittura ci rivela un’altra fonte della dignità della condizione umana: la libertà. L’uomo è un essere libero, con una libertà assoluta che gli permette proprio di volgersi, purtroppo, contro il suo Creatore. Fonte di dignità specifica:

    «[…] l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei     stimano grandemente e perseguono con ardore tale     libertà, e a ragione. Spesso però     la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.     La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina. Dio     volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » che cerchi spontaneamente     il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.     Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e     libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco     impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità     quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta     libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina».

Alla fine, l’esperienza ci mostra che al termine della vita si trova la morte. Lungi dall’essere un destino tragico e una fonte d’angoscia per ciascun individuo la morte e la contingenza di tutte le cose, intese alla luce del senso della Creazione rivelato da Dio, ci inducono a rispettare la vita. Sia la vita biologica, che si svolge nella natura e nell’equilibrio degli eco-sistemi, sia soprattutto la vita umana. Proprio perché l’esistenza di ciascun individuo è unica sulla Terra, la nostra storicità diviene quel fondamento della dignità di ogni persona umana in particolare, ciascuno merita di essere rispettato perché “è” una persona, con un passaggio unico e irreversibile attraverso la storia, rivolto verso la salvezza in virtù della volontà universale salvifica di Dio. Il Concilio conclude:

    «In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L'uomo     non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma     anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva. Ma l'istinto     del     cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale     rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell'eternità che     porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i     tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà     dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità  oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte     corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta     un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno     all'uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama     l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la     incorruttibile vita divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla     vita, liberando l'uomo dalla morte mediante la sua morte. Pertanto la fede, offrendosi     con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una     risposta alle sue ansietà     circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo     con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio».

    La vita è un dono divino. La vita è sacra. Ora, tutte le religioni e le forme di religiosità riconoscono il valore universale della vita, sotto ogni forma si manifesti nel mondo. Se le creature (animali) hanno uno scopo nel piano di Dio ed hanno una finalità nella loro esistenza storica e quasi-naturale governata dalle leggi della natura alla cui ombra scopriamo l’armonia di Dio, l’uomo è dotato di una dignità specifica che lo colloca in cima a tutte le creature della terra. L’esistenza personale “immagine e somiglianza” del suo Creatore, dotato di coscienza e di libera volontà, pellegrino attraverso la storia che gli fu affidata sin dal momento del concepimento e poi della nascita, l’ uomo “è” un valore in sé ed è al culmine della vita, fatto rivelato dalla Sacra Scrittura e riconosciuto come tale da tutte le religioni.

L’aborto il diritto alla vita e la legislazione UE in Romania

L’aborto è l’interruzione prematura di una gravidanza. Quando la gravidanza è interrotta da una causa naturale si tratta di aborto spontaneo o di perdita del feto. Purtroppo, esistono delle situazioni un cui l’interruzione della gravidanza è provocata in modo volontario, per evitare la responsabilità della crescita e dell’educazione di un bambino, perché si interviene in modo brutale sul diritto fondamentale alla vita, essendo la vita e la morte nelle mani delle Realtà ultime, ossia è nel potere di Dio, così come si considera da parte di tutte le religioni.
    L’aborto significa, in essenza, uccidere perché l’essenza umana inizia ad esistere già dall’istante del concepimento, quando dal punto di vista genetico possiede l’intera eredità dei suoi antenati sul piano somatico-materiale, avendo un’”anima”- un soffio della vita - che gli conferisce l’identità specifica di uomo. L’uomo “è” uomo soltanto come “corpo ed anima”, con la dignità specifica della “persona” essendogli stata conferita dall’esistenza specifica e dalla sua condizione nel mondo. Nello stesso tempo, in modo ontologico è homo religiosus, collegato nella sua esistenza e agisce nel mondo come uomo, secondo i valori umani, riferendosi alle realtà trascendenti, a Dio. La legislazione delle società secolarizzate, staccata dai valori trascendentali, ha dissacrato il valore della vita dell’uomo, ritenendo che prima della nascita “uccidere” non ha alcuna conseguenza etica o giuridica; ciò è contro la legge morale, ma anche secondo un aspetto fenomenologico, perché l’uomo “esiste” e “si manifesta” sin dal momento della vita intrauterina. Persino in medicina si parla di “vita” di un’entità umana, anche se nello stato embrionale, di feto o, negli ultimi mesi di gravidanza, è un bambino non ancora nato.
    I problemi sono aggravati dalle posizioni ambigue e  relativiste della medicina e del pragmatismo delle scienze umanistiche contemporanee. Le scienze positive non hanno deciso proprio un momento zero della vita. In alcuni Paesi, al contrario, il momento zero della vita è considerato quando il feto ha il cuore e il cuore batte. Alcuni ritengono che la vita inizi nel momento in cui il feto possieda  gli organi formati e una forma corporea umana.

La legislazione civile che si riferisce all’aborto nell’UE

Dal punto di vista della legislazione concernente l’aborto, i Paesi dell’UE si dividono in tre gruppi:
    Nel primo gruppo si trovano  Malta, Irlanda e (praticamente) la Polonia, cui si aggiungono l’Irlanda del Nord, che si trova nella componente della Gran Bretagna.
- Malta vieta del tutto l’aborto, a prescindere dalle fortissime pressioni da parte dell’ONU e dell’UE che sollecita una modifica della legislazione.
- In Irlanda l’aborto è vietato ad eccezione del caso in cui la madre è in pericolo di suicidarsi, però il governo e la Chiesa cattolica cercano di chiudere anche questa falsa “scappatoia”.
- In Polonia ed in Irlanda del Nord, in teoria si può ricorrere all’aborto, se la gravidanza è stata originata da uno stupro, incesto o se il feto abbia malformazioni gravi o se la vita e la salute della madre siano in pericolo; però praticamente sia le regole specifiche come pure il sostegno dato dallo Stato nell’assistenza alle donne che hanno intenzione di ricorrere all’interruzione della gravidanza riducono in modo quasi insignificante gli aborti. Per esempio, nel caso della Polonia, la percentuale degli aborti è molto ridotta (nel 2002 si sono fatti 3 aborti su 10.000 nascite).
    Il secondo gruppo comprende gli stati che ammettono l’aborto solo in determinate condizioni, forse più deboli e lassiste, come Cipro, le Isole Faroe (territorio danese), la Finlandia, il Lussemburgo, la Spagna, il Portogallo e la Gran Bretagna.     L’aborto motivato dalla situazione sociale e materiale difficile è permesso praticamente solo in Gran Bretagna (che dovrebbe piuttosto essere inclusa nel terzo gruppo) e in Finlandia,
Nelle Isole Faroe si chiede il parere favorevole del marito, se la donna è sposata.
-    In Lussemburgo la donna deve essere consigliata ad hoc sulle alternative e deve aspettare 7 giorni fino all’aborto. Qui le “obiezioni di coscienza”, in generale per motivi religiosi, sono frequenti.

Nel terzo gruppo si trovano i restanti stati della UE, in cui l’aborto è possibile “su richiesta”. A questo gruppo si ascrivono gli ex Paesi comunisti ad eccezione della Polonia (i Paesi Baltici, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria) che avevano una siffatta legislazione sin dai tempi della “cortina di ferro” (cosa comprensibile perché il primo Paese al mondo che ha legalizzato l’aborto è stata l’Unione Sovietica nel 1922), Paesi di vecchia tradizione democratica e liberale in cui le cosiddette “libertà individuali” sono fondamentali
- il Belgio, l’Olanda (in questo Paese è stata legalizzata l’”eutanasia”), la Germania, la Francia, la Svezia e la Danimarca. Sempre qui si include anche l’Italia.
- In Germania, Ungheria, Belgio è obbligatoria o facoltativa e assicurata gratuitamente, la consulenza pre e anche post-aborto; in Germania si fanno anche tentativi per indurre la donna incinta a non abortire (modifiche legislative determinate dalla diminuzione catastrofica della natalità.)
- In Italia, l’“obiezione di coscienza” per motivi religiosi interviene presso molti medici chiamati ad interrompere la gravidanza.
- In Austria il fattore materiale è importante, perché l’aborto costa abbastanza ed è accessibile, in pratica, solo nelle grandi città. In altri Paesi, l’intervento è gratuito, essendo i costi coperti dal bilancio  dello stato (Olanda, Danimarca, Estonia).   
- Il parere favorevole dei genitori, nel caso in cui la donna in incinta sia minorenne è richiesto in Italia, Grecia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia.
- In Italia ed in Olanda, si impone un periodo di “riflessione” di qualche giorno, prima dell’intervento.
-Nella Repubblica Ceca e in Slovacchia non si possono fare due interruzioni di gravidanza a meno di 6 mesi di distanza e solo nel caso che la donna abbia oltre 35 anni ed abbia partorito due volte.
Sempre a questo gruppo si ascrive la Grecia, dove la legislazione è stata permissiva di recente, ed in Romania. Quest’ultima è un caso speciale (il solo Paese in cui il regime comunista ha vietato l’aborto, dal 1967 sino al 1989) e nello stesso tempo tragica (la maggior percentuale di aborti dell’UE, con la mancanza quasi totale di restrizioni e la mancanza di consulenza).

Le particolarità della Romania

     In Romania, l’aborto è legale nelle prime 12 settimane della gravidanza. Solo in casi in cui la madre e il feto siano in pericolo, il periodo si prolunga fino a 14 settimane.
    Nello spazio dei Paesi del centro e dell’Est d’Europa, all’inizio degli anni ’90, al Capitolo aborto, la Romania è stato un caso singolare. La sua situazione può essere paragonata a quella della Federazione Russa. In queste due realtà, si sono prefigurate le più drammatiche situazioni dell’intero spazio ex-comunista. Sono eccezioni la Georgia, dove la percentuale totale degli abortiè di oltre il 50%, maggiore della Romania e della Russia. Anche se prima del 1989, la Romania ha avuto una legislazione restrittiva, ora la sua situazione assomiglia  a quella dei paesi dell’ex URSS. Ciò ci induce a credere che le mentalità delle società corrotte (economicamente, socialmente e moralmente), di tipo comunista hanno lasciato la loro impronta in modo drammatico sugli uomini.
    La Romania, soprattutto dopo il 1990, è divenuta un caso speciale. Dal 1966, le interruzioni di gravidanza furono ristrette, fino al cambio del regime comunista (26 Dicembre 1989). L’abolizione della legge restrittiva ha aperto un vero e proprio Vaso di Pandora. Dopo questa data, la Romania ha toccato uno dei più alti valori in percentuale di aborti. L’esplosione del numero di aborti è stata determinata soprattutto dalla “legislazione liberale dopo il 1990”. Questo fatto si è inoltre associato con la “maggiore accessibilità all’aborto della popolazione”.
    Le ricerche effettuate, iniziando dal 1993 (anno in cui le autorità hanno cominciato ad essere preoccupate del fenomeno), dimostra che, nell’intervallo 1990-1992, l’aborto in Romania, ha toccato le più alte quote d’Europa e “forse del mondo”. I rappresentanti dei mezzi di comunicazione sociale, senza fornire analisi credibili e dettagliate - ciò dimostra che la stampa romena a questo proposito è vulnerabile, molto drogata e manipolata -, ripete in tono trionfalistico, uno slogan del tipo: “ La Romania ha il primato di aborti, a livello mondiale”.
    La Romania, a prescindere da come consideriamo le cose, rappresenta un caso, un caso triste. La crescita del numero di aborti - una tendenza messa in evidenza da tutte le statistiche, indipendentemente dalle ideologie esistenti che ci stanno dietro - si coniuga con altre situazioni che dipendono dalla crisi del sistema medico, come la mortalità materna causata dall’aborto, la mortalità infantile e la mortalità attraverso il rischio ostetrico.
    Il tasso di abortività totale è del 70% superiore al tasso di fertilità totale (2,2:1,3). Il coefficiente degli aborti provocati sui nati vivi è uguale a 1,6 aborti per ogni nato vivo, in base alle stime dei sondaggi degli ultimi tre anni. Queste stime sono due volte maggiori di quelle registrate nelle statistiche ufficiali, fatto che dimostra gravi disfunzioni di rapporto del sistema medico. La mancanza di regolamenti chiari che chiedono le richieste di riferimento delle unità mediche private possono spiegare questa situazione. Un sondaggio limitato, effettuato dalle Direzioni di Sanità Pubblica dei Distretti, nel 2001, hanno dimostrato che nel 2000, esisteva un numero approssimativo di 80.000 aborti, effettuati su richiesta, fatti dalle cliniche private e da quelle non-registrate nelle statistiche mediche. Siccome non tutti i distretti hanno riferito sugli aborti effettuati nel sistema privato e che il rapporto di un numero minore di aborti delle cliniche private fu molto possibile, il numero reale di aborti effettuati nel sistema privato potrebbe essere anche maggiore.
    Per avere un’immagine il più possibile reale del fenomeno dell’aborto, dobbiamo calcolare alcuni aspetti della Romania odierna. Le ambiguità partono proprio dalla fase della sua valutazione. La mancanza di alcune regole chiare, che si riferiscono alla richiesta di aborto nelle cliniche private costituiscono una causa importante della valutazione inesatta.
    Partendo proprio dai dati messi a disposizione dal Ministero della Sanità, nel 1995, si constata che, nel periodo 1990-1992, la percentuale di aborti provocati ha avuto un valore medio molto elevato. Le cliniche sono state invase da donne che chiedevano di abortire. Come conseguenza, la percentuale degli aborti provocati legalmente ha raggiunto il livello più elevato del mondo - circa 200 su 1000 donne tra i 15-44 anni, tra gli anni 1990-1992. Questo corrisponde per lo stesso periodo ad una percentuale di circa 3 aborti provocati per ogni nato vivo per lo stesso periodo. Nello stesso tempo, le romene non sono obbligate a ricevere la consulenza psicologica prima e dopo l’aborto.
    Contrariamente alla percezione generale, la maggior parte degli aborti non ha avuto luogo immediatamente dopo la caduta del comunismo, ma nella piena ascesa di questo. Nel 1967, sono avvenuti 1.115.000 aborti, rispetto al 1990, quando ebbero luogo 992.265 aborti. Si è creato così in Romania una coscienza dell’aborto ed il Ministero della Sanità per un lungo periodo di tempo ha considerato l’aborto come un metodo di programmazione della famiglia, dimenticando che un bambino non nato è una persona umana e che dovrebbe essere protetto per legge come uno di noi.
    La Chiesa Cattolica in Romania promuove in modo costante la vita come valore fondamentale.



Messaggio
di Papa  Benedetto XVI


Incontro di dialogo tra le religioni, Monaco di Baviera 2011


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