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La storia


 
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Quaranta anni. Dal primo incontro alla Chiesa Nuova a Roma di un gruppo di studenti del liceo Virgilio il 7 febbraio 1968, ai primi “doposcuola” per i bambini immigrati nelle baracche della periferia romana, agli oltre cinquantamila membri della Comunità di Sant’Egidio in più di 70 paesi - per metà nell’emisfero sud del pianeta, tutti locali - e al sito web con 25 lingue. Vangelo e preghiera, amicizia, poveri, dialogo e pace sono stati in questi anni - anche in quello che si è appena concluso - il centro dell’impegno degli oltre 50 mila volontari di questa Associazione Pubblica di Laici riconosciuta nel 1986 dalla Santa Sede.

L’impegno nelle periferie urbane e nel mondo, sempre su base no profit, gode del riconoscimento dell’Unione Europea e dello statuto ECOSOG da parte dell’ONU, per il lavoro per i diritti umani e per la pace a livello internazionale.

Un lavoro che negli anni ha portato alla Comunità, tra gli altri, i premi Niwano per la Pace, il Premio Balzan per la Pace e il premio UNESCO per la Pace, e, più recentemente, il conferimento, nel 2007 della Menorah d’Oro per il lavoro mondiale di amicizia con il mondo ebraico e l’impegno contro il pregiudizio, l’odio razziale e l’antisemitismo.

Impossibile riassumere quaranta anni iniziati all’indomani del Concilio Vaticano II, che coincidono con cambiamenti epocali in Italia e nel mondo, con la fine del sistema bipolare e la caduta della cortina di ferro, l’affermazione mondiale del mercato nella forma della globalizzazione, la crescita esponenziale dei conflitti civili o su base etica e religiosa, il consolidamento della decolonizzazione e la destabilizzazione cronica di gran parte del Sud del mondo, l’affermazione del liberismo e della secolarizzazione, la crescita dell’influenza del fattore religioso in gran parte della vita pubblica e del linguaggio politico,la nascita dell’Unione Europea e dell’Unione Africana, l’urbanizzazione e la concentrazione nelle città di più di metà degli abitanti del pianeta assieme all’aumento della violenza urbana fino al terrorismo endemico nel mondo occidentale. Sono stati gli anni in cui la Comunità di Sant’Egidio ha preso il nome dal piccolo ex-monastero di clausura nel cuore di Trastevere, accanto alla Basilica di Santa Maria che ne raccoglie ogni sera in preghiera una parte della Comunità e tutti quelli che vogliono partecipare. Il centro di vita spirituale che è in continuità con l’amicizia con i poveri, con i pranzi di Natale che da Roma si sono diffusi nel mondo e coinvolgono più di 120 mila persone marginali, e non solo a Natale.

Il sacramento del povero e il sacramento dell’eucaristia. E’ così che si spiega come la preghiera principale della comunità di Sant’Egidio, ospitata nella basilica di Santa Maria in Trastevere, sia diventato un luogo di pellegrinaggio e di preghiera nella città di Roma, con circa 300 mila presenze in un anno. La preghiera serale, in molti luoghi d’Italia e del mondo, da 35 anni tutte le sere, ne ha fatto uno dei “santuari urbani” più visitati a Roma e nel mondo, l’unico aperto, dove c’è una Comunità di Sant’Egidio alla sera. La preghiera che è trasmessa in diretta alla radio dal circuito radiofonico InBlu, in Italia, e che può essere seguita sul sito web, in diretta.

E’ così che si spiega come sia diventato un punto di riferimento la chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, che ospita il primo Memoriale dei Martiri del Nostro Tempo - e raccoglie reliquie di monsignor Romero e di Paul Schneider, di Franz Jaegerstatter, il contadino tedesco che da solo ha resistito al nazismo per fedeltà evangelica e Alberto Hurtado, André Jarlan, del card. Posada Ocampo e del monaco romeno ortodosso Sofian, dei martiri ruandesi, dei martiri melanesiani. Un luogo della memoria universale della vita che vale la pena di essere vissuta e per cui spendersi. Un altro centro aperto a tutti per la preghiera e ritrovare il senso profondo di un amore che non risparmia se stessi e che parla a tutti.

Un centro spirituale che è in continuità con la memoria ecumenica dei testimoni della carità, della fede e della giustizia, con i martiri moderni del XX e XXI secolo. E la memoria e la preghiera sono fonte di impegno quotidiano, di base e di riavvicinamento tra le Chiese e le grandi tradizioni religiose mondiali, che ha la punta più alta e compiuta nei meeting Internazionali Uomini e Religioni. La XXI edizione, quest’anno a Napoli in collaborazione con il card. Crescenzio Sepe e l’Arcidiocesi di Napoli, ha visto l’incontro dei grandi leader religiosi mondiali con papa Benedetto XVI nel giorno di apertura del Meeting a Napoli, con la presenza e partecipazione del patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli, del Metropolita Kirill del Patriarcato di Mosca, del rabbino capo d’Israele Yona Metzger, del primate anglicano Rowan Williams, di numerose personalità islamiche. È stata la riaffermazione dello “spirito di Assisi” come centro di una “pedagogia della pace” e necessità storica in un tempo di conflitti e uso strumentale della religione.

Quaranta anni in cui la comunità di Sant’Egidio ha trasformato l’amicizia in una chiave di convivenza tra le generazioni, mentre l’Europa e l’Italia hanno visto il progressivo invecchiamento della popolazione, una proposta di convivenza urbana capace di integrazione sociale e di raffreddare l’allarme sociale per l’immigrazione, di proposte concrete di nuova cittadinanza e diritti umani. Un lavoro concreto per riannodare le ragioni del vivere insieme ha contribuito a raffreddare in molte aree del paese e in molte città europee lo scoppio di conflitto tra vecchi e nuovi cittadini fatti segno in maniera rilevante di episodi di razzismo e di emarginazione prolungati. Un lavoro che in diversi momenti della storia recente si è fatto tutela e proposta concreta, costruzione di un ‘”arte del convivere” che ha coinvolto cittadini europei e immigrati dal Maghreb, dall’Africa sub-sahariana, albanesi, europei dell’est, polacchi, romeni, altri.

Anni in cui è cresciuta la capacità di intervento, facilitazione e pacificazione in diversi scenari del mondo, fino alla mediazione operata con successo, in misure diverse, in numerose crisi umanitarie e conflitti contemporanei, dal Mozambico al Burundi, dal Guatemala alla Liberia, dalla Costa d’Avorio – riunificata all’inizio del 2007 dal lavoro del Burkina Faso e della Comunità di Sant’Egidio dopo 5 anni di partizione creata dalla guerra civile – al Togo, dai Grandi Laghi ai Balcani alla Colombia, all’Uganda del Nord, alla Casamance e al Darfur.

Non è possibile riassumere un tempo così lungo e i cambiamenti intervenuti all’interno di una comunità ecclesiale che ha confermato senza eccezioni la scelta di intervenire per il bene comune e nella vicenda pubblica restando nella società civile e senza identificarsi con soggetti più propriamente politici o partitici, conservando la caratteristica di volontariato (professionale nella qualità ma non nella burocratizzazione e nelle carriere) non a scapito dell’efficacia, ma come chiave di volta per un intervento libero da schematismi ideologici e come scelta di intervento su grandi problemi del mondo con “mezzi deboli”, flessibili, capaci di intervento e di cambiamento dove istituzioni internazionali o amministrazioni locali con più mezzi mostrano scarsa efficacia e capacità innovativa. Nella chiesa di Sant’Egidio a Trastevere una sintesi di questo percorso è in un antico Crocifisso senza croce e senza braccia, un tronco ligneo dal volto umano di Gesù, il “Cristo dell’impotenza”, che impegna la comunità di Sant’Egidio al proprio contributo per “cambiare il mondo senza ricorrere al potere e a mezzi forti”

L’anno che ha portato al quarantesimo anniversario: il 2007

Un anno non facile da raccontare quello appena trascorso, che si è concluso con la vicenda felice dell’approvazione all’ONU della Risoluzione per una Moratoria Universale della pena capitale. Un passaggio storico. Una tappa decisiva per l’affermazione di una giustizia capace di rispettare sempre la vita, una giustizia senza morte, che segna un nuovo standard morale largamente condiviso e che sarà sempre più difficile e imbarazzante ignorare a livello internazionale: il segno di un cambiamento importante nella coscienza del mondo, che in misura crescente ritiene non più accettabile e una umiliazione del fondamentale dei diritti umani, il diritto alla vita, la morte inflitta dallo stato. Come in passato il processo che ha portato all’abolizione della schiavitù e della tortura.

Un grande successo italiano e mondiale, a cui la Comunità di Sant’Egidio ha lavorato per oltre un decennio, per superare le ragioni della sconfitta del 1999 alle Nazioni Unite e creare un fronte mondiale capace di superare le divisioni tra sostenitori della moratoria e abolizionisti, e un fronte morale e culturale globale capace di raccordare le diverse tradizioni religiose e un consenso non solo europeo, fino alla raccolta e consegna al Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di oltre 5 milioni di firme il 2 novembre, all’indomani della presentazione della Risoluzione. E’ stato un impegno iniziato lontano nel tempo, che ha creato la più vasta rete mondiale di corrispondenza e sostegno a condannati nei bracci della morte (circa tremila nel mondo) e il Movimento internazionale delle Città contro la Pena di Morte che il 30 novembre, nella Giornata internazionale delle Città della vita, ha dato vita a oltre duemila eventi in 751 città del mondo contemporaneamente, con una grande mobilitazione della società civile e delle municipalità. E’ stato un impegno corale che ha avuto nel lavoro della Comunità di Sant’Egidio un sostegno stabile all’iniziativa italiana, europea e mondiale degli autori della risoluzione, ben rappresentato dal contributo dato per coinvolgere l’intero movimento mondiale e la Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte nel lavoro per la moratoria universale, al Congresso mondiale di Parigi, all’inizio di febbraio, e nel coinvolgimento attivo di diversi stati africani (15) e dell’Asia centrale nella battaglia abolizionista: in maniera particolare dall’Uzbekistan, che ha abolito la pena capitale il 1 gennaio di quest’anno, al Burundi e al Ruanda, al Gabon (che ha presentato la Risoluzione all’ONU nella Commissione Diritti Umani), al Kyrgizystan (la cui abolizione risale al 2006) e al processo avviato in Kazakhstan, dopo l’incontro di Napoli e l’impegno assunto dal Presidente del senato di quel paese.

Impossibile unificare un anno intenso di avvenimenti e di impegni in molte città d’Italia e d’Europa e nel resto del mondo. Impossibile dire i modi, l’amicizia, gli incontri fatti di collaborazione concreta, le scuole della pace per i bambini musulmani e non cristiani in Africa, Indonesia, altre parti del mondo, che rappresentano la faccia quotidiana di un dialogo che è l’alternativa permanente alla tentazione dello scontro tra le civiltà, l’apertura di un canale di comunicazione che aiuta a evitare le semplificazioni e la caricaturizzazione dell’altro, e che è il modo strutturale per resistere alla follia di un terrorismo che chiede scontro, violenza e guerra per alimentare se stesso e legittimarsi di fronte ai propri mondi di riferimento.

Ma c’è un lavoro costante per sciogliere cause e sintomi di una “violenza diffusa” che appare uno dei tratti caratteristici del nostro tempo, e che stringe autori e vittime della violenza in una spirale di paura, diffidenza e violazione della vita e dei diritti fondamentali. E’ un impegno che caratterizza tutta la vita delle Comunità di Sant’Egidio, un modello di vita personale e di azione concreta anche in aree dove le istituzioni appaiono in difficoltà e in territori a volte lasciati a se stessi: le baraccopoli spontanee delle periferie italiane, dal Congo alle maras del Salvador, dai quartieri difficili di Napoli e Palermo alle zone di guerra e di frontiera in Africa e America latina, alle carceri. Sciogliere le radici di violenza nella vita quotidiana e l’umiliazione di una cultura della vita intermittente anche tra i più impegnati attori della battaglia per i diritti umani: è un elemento trasversale, che accomuna gran parte della vita delle Comunità di Sant’Egidio, di sempre e soprattutto nell’ultimo anno. Ricostruire le ragioni della convivenza e il superamento della paura e della creazione di “muri” hanno acquistato particolare concretezza in un anno che è stato caratterizzato in Italia da ondate di paura e rancore fino al razzismo verso zingari e romeni, una tendenza non molto diversa da analoghe ventate di allarme sociale e reazioni collettive contro minoranze e gruppi presi come “capri espiatori” anche in altri paesi europei. Umanizzazione e Vangelo come ponte di amicizia, dalla Russia all’Ucraina, dall’Indonesia al Pakistan, da Cuba al Malawi.

Le mostre Abbasso il grigio! del movimento degli Amici, i convegni culturali sul “caso zingari”, sul “contributo dell’ebraismo al mondo contemporaneo”, sui “Trattati di Roma” all’origine dell’Unione Europea, assieme alla partecipazione alla nascita del Memoriale della Shoah alla Stazione Centrale di Milano (16/1/2007), i concorsi fotografici sulla condizione degli anziani, la creazione delle Guide per persone senza dimora “Dove” (in 8 città europee oltre a Roma) e per gli anziani poco autosufficienti “Come rimanere a casa propria da anziani” (in 10 città italiane), l’impegno pubblico a favore della vita debole senza eccezioni e senza selezioni – che ha distinto il lavoro della Comunità di sant’Egidio da altri che si sono impegnati in campagne umanitarie affini - l’impegno nelle periferie umane e urbane del Sud Italia e del mondo (Napoli, “Per un Mondo senza violenza”, con la visita del Capo dello Stato Giorgio Napolitano a rafforzarne il messaggio e la proposta), ma anche le memorie di dolorose ferite nel cuore dell’Europa, dall’attentato di Atocha, a Madrid, agli incontri di Firenze, Roma e altre città su “Vivere per strada e morire per strada”, alle celebrazioni per ricordare tutte le persone senza dimora e gli immigrati scomparsi nel loro viaggio verso il benessere nel deserto africano e nel Mediterraneo: sono questi alcuni - tra i molti che potrebbero essere citati - eventi di dialogo con l’opinione pubblica, di contributo alla formazione di una mentalità e di impegno concreto, per creare una sensibilità meno spaventata e aggressiva verso immigrati e nuovi europei nelle città italiane, e per favorire politiche di accoglienza e integrazione non dettate dagli umori momentanei ma da criteri di giustizia e di risposta ai bisogni nazionali. Un impegno per la vita e la difesa dei più deboli che si è fatto, nel corso del 2007 impegno pubblico e propositivo a sostegno della famiglia come prima risposta alla crescita della fragilità e dell’insicurezza della vita sociale, nel rispetto dei diritti di tutti.

 

Le Comunità di Sant’Egidio si sono impegnate in maniera costante, a livello locale (dal Trullo di Roma ai quartieri della protesta sociale anti-immigrati in Italia ed Europa) e con interventi pubblici lungo tutto l’arco dell’anno per sciogliere le rappresentazioni dell’”altro” come nemico e minaccia sociale, per offrire risposte e proposte per creare sicurezza a partire dall’integrazione sociale dei più marginali e non dalla loro ulteriore penalizzazione, isolamento sociale e criminalizzazione. E’ stato un anno speciale in questo campo per l’Italia, dove l’allarme sicurezza si è fondato su dati non reali, ma su campagne emotive e percezioni amplificate dal dibattito pubblico e dall’uso di parte politica non sempre responsabile in un clima crescente di contrapposizione e divisione del paese. In questo contesto la Comunità di sant’Egidio ha cercato di dialogare con le pubbliche amministrazioni e di operare sul terreno per la tutela dei diritti umani minimi e il superamento di campagne di xenofobia violenta.

La campagna per la cittadinanza italiana dei bambini immigrati nati in Italia e la riforma della cittadinanza degli immigrati adulti sono state parte di questo impegno.

Il dialogo tra uomini e donne di religione e di cultura diversa è stato al centro in molti modi della vita della Comunità di Sant’Egidio, come da molto tempo. Dalle numerose reliquie che sono giunte alla basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina, alle iniziative di incontro e di dialogo in molte città del mondo, e al contributo offerto all’Incontro ecumenico di Sibiu, in Romania, al secondo Raduno europeo dei movimenti a Stoccarda, alla visita dell’arcivescovo di Cipro Crisostomos, ai gesti di amicizia maturati assieme all’Arcidiocesi di Napoli e alla Conferenza episcopale campana verso il patriarcato di Costantinopoli (il dono delle reliquie di Sant’Andrea, ad Amalfi) e verso il patriarcato di Mosca (la chiesa del centro storico di Napoli consegnata al metropolita Kirill), che hanno portato a un ringraziamento ufficiale e di amicizia da parte della Chiesa ortodossa russa. Si è trattato di importanti passaggi ecumenici, frutto del cammino di dialogo anche tra credenti di religioni diverse, riaffermato da papa Benedetto XVI nella sua visita ad Assisi in occasione del Centenario di San Francesco, e dalla scelta di amicizia conviviale con i diversi rappresentanti religiosi convenuti a Napoli sotto il segno del confronto franco e della collaborazione, in un tempo segnato da gravissime crisi e dalla crescita dell’escalation bellica e della predicazione terroristica. Un bilancio della vita delle comunità di Sant’Egidio in Italia, in Europa e nel mondo potrebbe essere un elenco di azioni, iniziative e, in qualche caso di risultati. Ma il filo che lega tutto, la vita difficile di piccole comunità di cristiani in terre complicate come il Pakistan, l’India, l’Indonesia, o comunità che vivono la loro amicizia con i poveri e la preghiera serale nelle più confortevoli città europee, è stato lo sforzo di vivere con i poveri l’amore di Gesù per i poveri. I poveri come amici di Gesù e i nostri amici, è un altro modo di raccontare un anno difficile per il mondo, tra terrorismo, guerra, nuovi scenari inquietanti in Medio Oriente, Africa e Asia, ma anche uno spiraglio di speranza nel processo di pace avviato ad Annapolis per Palestina e Israele.

Un anno che si può guardare dal particolare punto di vista di chi è escluso dalla convivenza civile: il lavoro nelle carceri in Italia, in Africa, in America Latina, ha portato a migliorarne le condizioni di vita, ha accompagnato migliaia di detenuti. Un anno di impegno ecumenico, in un ecumenismo che è sempre anche amicizia “di popolo”, costruzione di centinaia, migliaia di rapporti personali che rendono possibile il superamento di freddezze antiche, che si alimenta di amicizia e vicinanza concreta verso le famiglie cristiane che vivono in Medio Oriente, in tutte le denominazioni, in un clima permanente di precarietà e minorità. Un rapporto antico, per Sant’Egidio, con i cristiani arabi, cattolici e di altre tradizioni, in tutti i paesi a maggioranza arabo-islamica, che si è alimentato di solidarietà concreta, per le molte difficoltà in cui versano, soprattutto verso i cristiani irakeni, sottolineata dalla visita a Roma del patriarca Emmanuel II Delli, in continuità con tre decenni di iniziative e di vicinanza con la Comunità di Sant’Egidio.

E’ stato, per Sant’Egidio, ancora un anno dell’Africa. Africa dimenticata ma anche Eurafrica, una alleanza che offre all’Europa un significato e un ruolo oltre il mercato, e che è indispensabile all’Africa per uscire da guerre, sottosviluppo, carestie e AIDS.

Gli incontri con il presidente del Parlamento Europeo Hans Gert Poettering, a Sant’Egidio, con i ministri degli esteri di Burundi, con il presidente del Mozambico Armando Emilio Guebuza in occasione dei 15 anni della pace firmata a Roma, il presidente americano George W. Bush e l’amministrazione americana, e molti altri incontri internazionali hanno avuto l’Africa al centro e la necessità di avviare un diverso modello di intervento e partnership, di lungo periodo, per affrontare le grandi emergenze del diritto umano alla salute e alla cura, AIDS, tubercolosi e malaria , e al necessario (lotta alla malnutrizione), rispondendo al deficit strutturale di formazione e professionalità dell’Africa sub-sahariana.

Nel 2007 il Programma DREAM di prevenzione e cura dell’AIDS in Africa si è consolidato ulteriormente e ha compiuto i suoi primi cinque anni sul campo. In partnership con altri e con gestione diretta, lavorando sulla formazione e sull’organizzazione sanitaria, DREAM è diventato il programma gratuito più diffuso nell’Africa sub-sahariana, raggiungendo con l’assistenza e la terapia quasi 50 mila pazienti e coinvolgendo in 10 paesi quasi mezzo milione di persone nell’educazione, nei programmi sanitari e nei benefici sui nuclei familiari e le comunità di provenienza dei pazienti. Il programma DREAM si è consolidato davvero come una punta di eccellenza mondiale di cura globale dell’AIDS in Africa e un modello per situazioni e paesi con basso tasso di infrastrutture e poche risorse, valido nel Sud del mondo. Dal Mozambico si è esteso ad altri 9 paesi, ma soprattutto è diventato un modello operativo di riferimento per la lotta all’AIDS in Africa, studiato e sostenuto dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità e da numerosi governi e sanità pubbliche. Oltre ad essere un formidabile strumento di cura, compatibile con le poverissime infrastrutture dei paesi più colpiti, DREAM è diventato un laboratorio di formazione panafricana sul campo di tutte le professionalità necessarie alla cura dell’AIDS e delle malattie opportunistiche in Africa. Quasi 2500 persone, medici, tecnici, infermieri, informatici, assistenti domiciliari si sono formati con lo staff internazionale di DREAM e questo sta rendendo possibile, finalmente, l’allargamento del numero dei pazienti in cura nel continente africano. Il programma iniziato con il sostegno del Gruppo Unicredit e che nel tempo ha visto aggiungersi molte Cooperazioni e Fondazioni internazionali, migliaia di piccoli sostenitori, istituzioni come la World Bank e partner come le Suore Vincenziane e Banca Intesa, copre il 4 per cento di tutte le persone in cura e assistenza nell’Africa sub-sahariana e riesce a far nascere 98 bambini su cento senza virus HIV da madri che hanno il virus nel sangue, fa vivere le madri coprendole con la terapia, interrompe la catena che ha visto il numero degli orfani di AIDS arrivare a 14 milioni. Da tempo DREAM è il programma che ha in cura il più alto numero di bambini toccati dal virus HIV in Africa. E grazie al suo lavoro sul campo ha potuto dimostrare nella Conferenza Internazionale promossa a Roma nel mese di maggio, che le madri coperte dalla terapia antiretrovirale in maniera corretta in Africa possono tornare ad allattare al seno i loro figli senza rischio di trasmissione del virus. La conferenza internazionale “Viva l’Africa viva: sconfiggere l’AIDS e la malnutrizione” ha raccolto tredici ministri della sanità africani e la leadership scientifica e istituzionale internazionale degli interventi di cura in Africa mettendo al centro i problemi e le proposte della terapia infantile e la lotta alla crescita della pandemia senza terapia adeguata.

Ma alla lotta all’AIDS si è aggiunta nel corso dell’anno la campagna BRAVO (Birth Registration for All Versus Oblivion) per la registrazione anagrafica dei “bambini invisibili”, con un progetto globale che parte dalla Costa d’Avorio per eliminare una delle cause profonde degli abusi sull’infanzia e sull’instabilità politica e la precarietà sociale in molti paesi del Sud del mondo, che incontrano anche su questo terreno difficoltà insormontabili alla crescita della democrazia e alla stabilità politica.

Un anno di difesa della vita e della vita anche da anziani. Dall’impegno culturale e civile perché una cultura della vita meno sensazionalista, meno sbilanciata sui casi estremi, sia capace di rispettare la vita sin dall’inizio e fino alla sua morte naturale, resistendo a una rassegnata cultura che chiede una legge per l’eutanasia legale che ignora il dato terribile di un quotidiano abbandono terapeutico che riguarda molti anziani in istituto e in ospedale o il ricorso all’aborto enormemente più alto tra le donne immigrate a causa di difficoltà di vita e assenza di sostegno che configurano il mancato rispetto del diritto della donna, specialmente immigrata, alla maternità.

Un anno di amicizia e di battaglie civili a fianco dei più poveri. Persone disabili contagiose con la loro proposta di vita nel movimento degli “Amici” capace anche di cultura e dialogo con tanti sul tema della vita e della dignità della vita, attraverso il sito web e in incontri pubblici, e capace di proposte operative ed esemplari alle amministrazioni con la nuova casa famiglia nata a Roma proprio quest’anno.

Amicizia e battaglie civili a fianco dei più poveri, soprattutto gli anziani scarsamente autosufficienti e non autosufficienti. Le campagne “Sole si, soli no”, “A casa è meglio” e “Insieme fa meno freddo” sono diventati i progetti pilota , in Italia, per prevenire le morti da caldo e da freddo e per andare a proporre modelli alternativi di sostegno a chi è anziano nelle grandi città europee. E’ uno sforzo che raccoglie conoscenze e esperienze maturate nell’arco di un’amicizia trentennale con gli anziani, che è stato possibile portare a massa critica anche per la collaborazione con Fondazioni private come Enel Cuore e la Fondazione Vodafone Italia, oltre che per la collaborazione con Ministero della Salute, Regione e Comune di Roma. E’ iniziata così, dopo una fase di tre anni di “esperimento”, una seconda fase del progetto Viva Gli Anziani. E’ stata lanciata una grande campagna per Roma e il Lazio, che intende essere una proposta nazionale e internazionale, per cambiare radicalmente modalità e logiche della spesa sanitaria: il cosiddetto “Piano Marshall per gli Anziani”. Un modello non fondato sull’istituzionalizzazione, ma sulla prossimità, che riduce i rischi combinati della malattia, della povertà e dell’isolamento, e che fa passi avanti anche dal punto di vista culturale, come una proposta radicale di ripensamento della organizzazione sociale e sanitaria e della convivenza civile nelle grandi città occidentali.

La Regione Lazio, in risposta a un lavoro e a un tavolo comune di studio durato l’intero anno, ha aperto il 2008 con l’approvazione, per la prima volta, di un piano di intervento in sei aree della regione di un radicale ripensamento della sanità, dalla parte degli anziani, e la convocazione a breve degli stati generali sulla condizione degli anziani nel Lazio. Le Guide “Come rimanere a casa propria da anziani” sono diventate un punto di riferimento stabile in 10 città italiane e i consigli per il freddo e per il caldo sono diventate campagne ufficiali di molti comuni italiani e del Ministero della Salute.

Un anno vissuto per strada, nelle grandi periferie latinoamericane e asiatiche, nel centro delle grandi città europee, con immigrati e persone senza dimora. Le campagne per l’”emergenza freddo”, ma anche la riflessione pubblica sul cambiamento della povertà in Italia e sulle nuove povertà, le proposte per ridurre i danni di una maggiore fragilità sociale, il sostegno per il rispetto dei diritti umani anche delle fasce più deboli e degli zingari in particolare, la campagna per la cittadinanza italiana per i bambini figli di immigrati sono stati i filoni abituali di una vicinanza ai più poveri che solo in Italia ha coinvolto in questi anni oltre 120 mila immigrati, quasi uno ogni venti presenti nel paese. La campagna per fermare gli sfratti, che colpiscono soprattutto famiglie numerose e anziani soli, ha contribuito, almeno a Roma, a un provvedimento di urgenza che ha diminuito la pressione sui più poveri ed esiti drammatici.

E a fianco dei bambini e dei disabili fisici e mentali, con le scuole della pace in tutti i paesi del mondo in cui la comunità è presente, con il movimento del Paese dell’Arcobaleno e i suoi 40 mila bambini iscritti, con la crescita delle adozioni a distanza che hanno adottato migliaia di bambini e intere famiglie e villaggi, garantendo la rinascita e un po’ di futuro dalla Bolivia alla Guinea Bissau, le adozioni internazionali, le manifestazioni del RiGiocattolo che sono diventate un appuntamento in molte capitali europee e non e un modo permanente per educare a un consumo consapevole, incoraggiando una cultura ecologica, coinvolgendo decine (in alcuni casi centinaia) di scuole e migliaia di ragazzi in ogni paese coinvolto. Il Movimento degli “Amici” ha promosso in tutta Italia una riflessione sul diritto alla catechesi dei disabili mentali e rafforzato le scuole d’arte e la presenza culturale a fianco della vita debole, mentre la qualità raggiunta dalle opere prodotte ha fatto scrivere un primo saggio di Simonetta Lux, critica d’arte e titolare di storia dell’Arte moderna e Contemporanea all’Università di Roma, sull’uso dell’arte a fini terapeutici e come liberazione di un progetto artistico intrinseco, di qualità assoluta.

L’impegno a fianco delle comunità ebraiche in tutto il mondo per ridurre i rischi dell’antisemitismo e di revisionismo, con la giornata e la marcia della memoria in tante capitali europee e in America Latina, ha avuto nella Marcia della Memoria di Roma, il 16 ottobre 2007, il momento più intenso, frutto di più di venti anni in cui la Marcia della Memoria è diventata un importante appuntamento della città, da piccola testimonianza iniziale quale era, come accaduto in altre città del mondo, da Antwerpen a Buenos Aires. Analogamente, iniziative per sciogliere mentalità e comportamenti contro i rom e contro i cittadini dell’UE di ultima generazione, romeni oggi come i polacchi qualche anno fa, hanno punteggiato tutto il corso dell’anno.

Ma è stata la pace e il dialogo l’altra dimensione che, con la preghiera, ha attraversato la vita di tutte le Comunità di Sant’Egidio. La marcia del primo dell’anno, che ha visto una mobilitazione di oltre 500 mila persone nel mondo e quindicimila a Roma, ha raccolto il messaggio per la pace di papa Benedetto XVI in un momento di gravi incertezze per il mondo e per la pace stessa. La Marcia della Pace di inizio anno ha concluso il tempo di natale accanto ai più poveri, legando solidarietà, giustizia e pace in un legame indissolubile, sottolineato quest’anno dalla circostanza del XXV anniversario del primo pranzo di Natale con i poveri nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.

Un anno di maggiore radicamento in molte situazioni internazionali, testimoniata anche dalla crescita del sito della Comunità, multilingue, raddoppiato negli ultimi due anni, con quasi due milioni di pagine consultate ogni mese.

La Comunità di Sant’Egidio si raccoglierà il 1 febbraio in preghiera assieme agli amici per continuare a cercare di essere davvero amici di tutti e particolarmente dei poveri a Roma e nel resto del mondo, all’inizio di un anno che si intende non celebrativo, ma di rinnovato impegno.
 

Il 40° anniversario della Comunità di Sant'Egidio

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