In questo Natale ci sono tante storie che colpiscono. Ne raccontiamo solo tre fra le tante che si possono raccogliere ai numerosi pranzi della Comunità di Sant’Egidio a Roma, nel quartiere di Trastevere, come in periferia. Parlano di italiani che vivono la crisi cercando di uscirne con la solidarietà e di stranieri - ma preferiamo dire nuovi europei - che ormai non sono solo accolti, ma cominciano ad aiutare altri immigrati e gli stessi italiani sempre più in povertà. Tutte storie vere (tranne i nomi).
Ma la storia più bella è quella del piccolo Egidio (questa volta il nome è proprio vero): nato a Roma, da una mamma sbarcata incinta a Lampedusa e accolta in una casa della Comunità. Al tavolo centrale di Santa Maria in Trastevere, è proprio felice. E anche noi.
Quando sono gli immigrati ad aiutare
E’ il dono che non ti aspetti, che alla vigilia non hai messo nel conto. Ma la solidarietà funziona, anche alla rovescia. Perché se si è aiutati si impara ad aiutare e, quando meno te l’aspetti, si riceve mille volte ciò che si è dato. Anzi quattromila. Ha cominciato Xu. La sua famiglia, cinesi immigrati da anni a Roma, nel quartiere Esquilino, ha scoperto quanto sia importante parlare l’italiano frequentando la scuola della Comunità di Sant’Egidio. E quale modo più facile per integrarsi della solidarietà? Xu, che è commerciante, ha iniziato regalando sciarpe per il pranzo di Natale. Da allora è stato un contagio, fino a quest’anno, quando la distribuzione è avvenuta in modo professionale: un gruppo di imprenditori cinesi, dopo aver visitato il centro di accoglienza di via Anicia a Trastevere, è tornato con un carico di 4.000 regali: 2.000 sciarpe da donna, 1.000 cappelli da uomo e 1.000 da bambino.
Il naufragio, l’approdo, il sogno di un lavoro
Da Taranto a Roma sognando la Norvegia. Lì, hanno detto a Cosimo, c’è possibilità di lavorare in fabbrica, come ha sempre fatto. Ma intanto ha fatto sosta nella Capitale dove, se non trovi aiuto, corri il rischio di naufragare. Così stava accadendo a lui, 58 anni, operaio che si ritrova improvvisamente senza lavoro, con mille euro al mese di pensione, ma che sceglie di lasciare il suo piccolo reddito alla famiglia, che ne ha bisogno, per cercare fortuna altrove. Si parte e non si sa quando si arriva, si comincia a conoscere la strada. A Roma si vive nei dormitori e si mangia alla mensa di via Dandolo. L’approdo è la Comunità, che lo accoglie e lo aiuta a scrivere decine di lettere per trovare un nuovo impiego, in Italia o all’estero. Magari in Norvegia: “Lì dicono che c’è lavoro, in una fabbrica per la conservazione del pesce…perché qui non si trova più niente”.
Due cuori e una casa che manca
Non ci sono solo gli “altri”, chi viene dal Sud del mondo in cerca di pace e di lavoro. La crisi costringe ad emigrare anche agli italiani. Basta che la tua piccola azienda vada in crisi. Come è successo a Michele e Enrica: il forno di famiglia non fa più guadagnare il necessario per vivere ed ecco che dal Meridione si arriva a Roma precipitando un po’ alla volta nella spirale dell’estrema povertà. Con grande dignità Michele si offre come pizzaiolo, è il suo mestiere. Ma quest’anno anche la ristorazione comincia a conoscere qualche battuta di arresto: fa anche il facchino, altri lavoretti. Erica lavora ad ore come baby sitter e assiste gli anziani. Si resiste, ma l’incubo è la casa: come continuare a stare insieme se l’affitto di una camera costa troppo e, per necessità, si è costretti ad alloggiare nei dormitori?
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