Per la seconda volta in tre mesi, l’Indonesia è stata colpita duramente da un terribile disastro naturale. Il terremoto che ha scosso le isole Nias lunedì scorso, ha distrutto completamente città e villaggi di una zona già tanto povera e provata anche dallo tsunami. In uno dei villaggi colpiti, Lagundri, vicino a Teluk Dalam, la Comunità stava predisponendo la ricostruzione di circa 50 case di pescatori, più vicine alla costa, che erano state danneggiate o distrutte. Ora, la gran parte delle case non c’è più - compresa la casa parrocchiale. La Comunità ha promesso che sarà vicina anche in questa più impegnativa ricostruzione.
Il primo aiuto che le Comunità di Sant’Egidio indonesiane stanno dando in questo momento è il sostegno diretto al ricongiungimento delle famiglie. Anche tra chi porta aiuto, non manca chi ha perso la casa e la famiglia e cerca oggi di alleviare le sofferenze degli altri.
Aiuti di emergenza (cibo, medicinali e abiti) sono pronti e si sta cercando un mezzo per farli arrivare nell’isola, dove le persone della Comunità di Sant’Egidio provvederanno alla distribuzione.
Nel frattempo continuano gli aiuti alle popolazioni di Aceh colpite dallo tsunami di dicembre.
Assistenza sanitaria per i bambini acehnesi profughi a Medan
Il campo profughi di Jl. Binjai ha accolto, all’indomani dello tsunami, migliaia di persone. Oggi, molti sono tornati ad Aceh, o hanno trovato posti migliori presso parenti e amici. Sono rimaste un centinaio di famiglie, le più povere, le vedove, gli uomini che hanno perso tutta la famiglia, i bambini che non hanno più nessuno e non sanno dove andare. Ancora nelle ultime settimane, sono arrivate alcune famiglie, disperate, perché a Aceh sembra non esserci più futuro per loro.
Il campo è un immenso capannone senza pareti, in pratica una tettoia di metallo lunga alcune centinaia di metri, sotto la quale ogni famiglia ha "costruito" dei recinti (le loro case, da tre mesi) con gli scatoloni degli aiuti internazionali. Il recinto più grande, al centro, serve da moschea.
La Comunità di Sant’Egidio, superando alcune iniziali diffidenze dovute alla diversità etnica e religiosa, è stata vicino ai rifugiati di Jl. Binjai fin dai primi tempi, distribuendo aiuti di emergenza.
Oggi, a Medan, alcuni posti di soccorso cominciano a chiudere, perché si considera che la fase dell’emergenza sia finita. Invece, dopo tre mesi di vita all’aperto, le condizioni di chi è rimasto nel campo sono peggiorate. I bambini, soprattutto, sono visibilmente provati: i piedi -scalzi- sono feriti, molti hanno la tosse, piaghe e dermatiti sono il segno della scarsa igiene e della cattiva alimentazione.
Il 29 marzo, insieme alla regolare distribuzione dei generi di immediata necessità (servono nuove zanzariere per le famiglie appena arrivate, scarpe per i bambini e coperte, perché siamo nella stagione delle piogge) abbiamo avviato quindi un servizio di assistenza sanitaria.
C’è simpatia e gratitudine all’arrivo degli amici della Comunità. "In tanti sono venuti a scrivere di cosa avevamo bisogno, ma voi tornate regolarmente" e c’è stupore nel vedere che non ci si è dimenticati delle richieste di ognuno. La distribuzione degli aiuti avviene con ordine e serenità. La Comunità di Medan ha una lista nominativa di tutte le persone presenti nel campo, con le età e vicino ad ogni nome c’è scritto cosa serve. Così ognuno, quando viene chiamato, trova le scarpe della misura giusta, o le medicine, la coperta di cui aveva bisogno.
Ma l’arrivo delle infermiere è la vera sorpresa. In una delle "stanze" fatte con gli scatoloni si allestisce un ambulatorio improvvisato e si cominciano le visite, partendo dai bambini. Ci accorgiamo che nel campo, tra le "mura" di scatoloni, ci sono dei medicinali, mandati da qualche organizzazione umanitaria, ma nessuno sapeva come adoperarli, perché nessuno medico è entrato nel campo da mesi. Finalmente saranno utili.
Dopo i bambini anche i grandi, a uno a uno, chiedono di essere visitati. E parlano, raccontano: dello tsunami, di come si sono salvati, della famiglia che non c’è più. Ad ascoltarli, tra i giovani della Comunità di Sant’Egidio, ci sono anche alcuni che provengono da Aceh e sono sfuggiti all’inondazione. C’è chi è saltato su una macchina in corsa, chi si è aggrappato a un albero. Essere qui, per loro è l’impegno e la gioia di poter essere un "seme di resurrezione".
Valeria Martano |