La memoria dei martiri cristiani contemporanei nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. L'omelia del card. Beniamino Stella

"Saluto con viva cordialità voi, cari amici della Comunità di Sant’Egidio, che mi avete invitato, e voi tutti, cari fratelli e sorelle, riuniti in questa bella Basilica dedicata alla Madre di Dio; mi piace ricordare che fra noi ci sono anche fratelli ortodossi, evangelici, anglicani, che saluto con deferenza.

Ci disponiamo a ricordare insieme nella preghiera quanti hanno recentemente dato la vita per il Vangelo e quanti per esso patiscono oggi persecuzione e odio; sono i martiri contemporanei, quelli che sono «nel cuore di Cristo e della Chiesa», come ha ricordato Papa Francesco (Angelus, 26 dicembre 2014), specificando che «oggi la Chiesa è Chiesa di martiri» (Meditazione quotidiana a S. Marta, 21 aprile 2015).

Martiri, cioè testimoni. È sempre importante ritornare al senso più profondo delle parole, per non limitarci a ripeterle senza lasciarci interpellare da esse. Tra poco ricorderemo i nomi di tante persone che hanno affrontato il martirio nel nome di Cristo, persone diverse, per sesso, età, storia personale, cultura di appartenenza e vocazione, ma accomunate evidentemente da qualcosa: l’esperienza di Cristo e della vita secondo il Vangelo. Nessuno può essere testimone di ciò che non conosce e di cui non ha fatto esperienza personale. 

Il martire può essere tale perché qualcuno gli chiede – spesso brutalmente – di dare ragione della sua fede, di manifestare con comportamenti concreti il suo rapporto con Cristo, sino all’effusione del sangue. È accaduto a quei fratelli e sorelle che ricordiamo oggi; alcuni di loro li ho personalmente conosciuti; la loro morte è stata la ricapitolazione della loro vita, spesso vissuta nell’ordinarietà di incombenze semplici e quotidiane, ma sempre animata da un rapporto esistenziale con Cristo vivo, al quale non si sono negati sino alla fine.

Mi piace ricordare questo “fondamento esistenziale” del martirio, questa vita, spesso nascosta, che si manifesta con la morte. Non vogliamo infatti limitarci a ricordare grandi uomini o grandi donne, che hanno compiuto gesta straordinarie, che noi “comuni mortali” possiamo solo ammirare. Gli eroi si ammirano da lontano, i martiri invece si imitano, guardandone la vita, dopo averne conosciuto la morte. Contempliamo quindi la forza umile e generosa di queste donne e di questi uomini, che hanno vissuto la lotta per conquistare il Regno di Dio. Si sono lasciati disarmare di ogni altra difesa che non fosse la loro fede, la carità, la fiducia nella potenza della preghiera, il gusto - tutto cristiano - della vittoria sul male con il bene, sino all’amore per i nemici.

Pochi possono essere eroi, ma, con il “fondamento esistenziale” cui ho fatto cenno, tutti possiamo essere martiri di Cristo, se viviamo la nostra vita come suoi discepoli, non aspettando le grandi occasioni, ma cogliendo le piccole occasioni che ogni giornata ci mette di fronte. Infatti, riprendendo le parole di Papa Francesco, «se non tutti sono chiamati a versare il proprio sangue, a ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa. Essere coerenti, vivere come cristiani e non dire: “sono cristiano”, e vivere come pagano. La coerenza è una grazia da chiedere oggi» (Angelus, 16 dicembre 2014).

Ricordando i martiri allora celebriamo in primo luogo la grandezza dell’amore di Cristo, che, quando gli permettiamo di abitare in noi, fa di noi in questo mondo i suoi umili, ma efficaci strumenti; il contenuto della testimonianza dei nostri fratelli e sorelle martiri sta proprio in questo, nel mostrarci come la potenza di Dio si è manifestata nelle loro vite e nella loro morte, come esempio e incitamento per noi.

E la loro vita e la loro morte ci richiamano alla bellezza del Vangelo delle Beatitudini, parole da illusi, per chi rifiuta Cristo, ma uno squarcio di Paradiso per noi che abbiamo fede in Lui. Nel racconto di Matteo questo brano si colloca come la carta d’identità del cristiano, il cuore del messaggio di Gesù; Egli infatti lo ha pronunciato con solennità salendo sul monte, sedendosi e facendo avvicinare i discepoli. In questo momento Gesù è stato davvero il Maestro, che indica la via, esponendo il senso di tutto ciò che sarebbe venuto poi.

Si tratta di parole che sovvertono radicalmente la logica del mondo, proclamando la condizione di beatitudine di coloro che, a causa del Vangelo, si trovano in situazioni che il mondo ci insegna invece a evitare. Sono parole con cui Gesù ha voluto farci entrare nella logica del Regno, che in Lui si è fatto presente. Ha annunciato una vita nuova e l’ha vissuta, perché i suoi discepoli potessero viverla, condividendola con Lui, attraverso la morte e per l’eternità.

La storia della Chiesa ci mostra tanti nostri fratelli e sorelle che hanno saputo incarnare questa logica delle Beatitudini, dandoci l’esempio di come la vita secondo il Vangelo non solo sia possibile, ma soprattutto di come sia bella e causa di gioia; e dal momento che la gioia che nasce dal Vangelo è “missionaria”, come ha ricordato Papa Francesco (cf. Evangelii gaudium, n. 21), essa non riguarda solo noi cristiani, ma tutti gli uomini, che, attraverso di noi, possono fare esperienza dell’amore misericordioso di Dio e sperimentare la gioia vera, che viene da Lui.

Quando il “mondo” si ribella all’amore di Dio allora produce le persecuzioni, e i martiri che il Vangelo ci ha preannunciato, per indurre al silenzio coloro che contestano con la vita le sue logiche di egoismo, sfruttamento, disuguaglianza. La grande tentazione odierna è quella di abituarci a tutto ciò, al male, in tutte le sue manifestazioni, sino a diventare impassibili, indifferenti. 

È quella “globalizzazione dell’indifferenza”, contro cui Papa Francesco ci ha messo in guardia (Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013), che ci impedisce di renderci conto del gemito degli affamati e degli assetati, e delle sofferenze di tutti coloro che il mondo emargina.

I martiri sono per noi forti campanelli di allarme, che ci scuotono dal torpore dell’indifferenza e dell’abitudine, e ci obbligano a ricordare che il mondo non è ancora in pace e il Regno di Dio non è stato ancora annunciato ovunque, a partire forse da quel pezzetto di mondo che ciascuno di noi abita. Ricordarli nella preghiera quindi vuole essere per noi un invito alla fedeltà alla nostra vocazione cristiana e alla missione che in essa abbiamo ricevuto. Di fronte al loro esempio sentiamo rivolta a noi la domanda di Dio ad Adamo, “dove sei?”, per poter prendere coscienza di dove ci troviamo nel rapporto con Cristo e nella vita secondo il Vangelo, nonché nella testimonianza di essi nelle nostre giornate. “E tu dove sei?” è la domanda scritta col sangue dei martiri che Cristo ci consegna, perché ognuno di noi possa rispondere con la propria vita.

La preghiera dei martiri e la loro estrema solitudine sfida la nostra preghiera! Non possiamo volgerci altrove! Ciascuno dei loro nomi è come un grido verso di Dio e verso l’umanità. I fratelli cristiani, di tutte le confessioni, vittime innocenti di un odio cieco, sradicati dalle loro terre perché segno di convivenza possibile…I missionari uccisi mentre soccorrevano i poveri, segno di un amore privilegiato per i piccoli, senza confini…Quanti figli del Vangelo in Asia, e fra loro tanti evangelici, hanno offerto la loro vita per trasmettere il Vangelo, con umiltà e tenacia… Ovunque e in tutti i contesti, possiamo scorgere la resistenza al male dei figli del Vangelo.

Ciascuno dei martiri che ricordiamo oggi accompagnerà in queste ore e in questi giorni santi la memoria dell’ultima Cena, la lavanda dei piedi, la via dolorosa della Croce, riempiendo di forza e di attesa il cammino vero la Risurrezione. Chiediamo al Signore di essere degni della loro testimonianza e della nostra vocazione, perché la speranza che è stata riversata nei loro cuori è la stessa che Dio ripone in noi, in questo anno benedetto e segnato dalla Misericordia. Che la loro morte e la loro vita sia pegno per noi tutti di conversione e una chiamata personale a incontrare nel Sacramento della Riconciliazione il perdono, che ci offre l’infinita misericordia del Padre. Amen"