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44° anniversario della Comunità di Sant'Egidio


 
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Liturgia per la celebrazione del 44° anniversario della Comunità di Sant'Egidio

Cattedrale di Napoli, 12 febbraio 2012

Il card. Sepe pronuncia l'omelia nel corso della Celebrazione per il 44° anniversario della Comunità di Sant'Egidio a NapoliCari sacerdoti, illustri autorità, signor presidente della Regione Caldoro, signor Prefetto, e tanti altri che non riesco a vedere bene, cari amici, fratelli e sorelle, anche rappresentanti delle altre denominazioni cristiane e voi cari amici e fratelli della Comunità di Sant’Egidio: un caro saluto, un caro benvenuto ed un abbraccio in Cristo nostro Signore.

Oggi siamo riuniti per festeggiare in modo solenne, ma anche in tono ed in un clima molto familiare, il 44° anniversario della nascita della Comunità di Sant’Egidio e per capirne bene lo spirito ci rifacciamo alla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, al Vangelo di questa domenica che ci racconta come Gesù che andava per le strade, per le città, per i villaggi, per le contrade diciamo per i vicoli, incontra un lebbroso.
Un lebbroso: oggi sembra una parola antica perché ormai grazie a Dio il progresso medico è riuscito a debellare quasi completamente questa malattia anche se ne restano alcune sacche in diverse parti del mondo. Ma allora, purtroppo, era un’infermità piuttosto comune e, come abbiamo letto anche nella Prima Lettura della liturgia, il lebbroso era considerato come uno da evitare, che con la campanella al collo doveva far rumore perché gli altri si scostassero da lui:  «Immondo! Impuro! Lontano!».
Il lebbroso un po’ simboleggia quella che è la precarietà di ogni uomo: la malattia. La malattia che è parte del nostro essere creature; nonostante qualcuno si sforzi di pensare il contrario, essendo creature siamo anche soggetti a questi limiti, a questi malanni. Sì, c’è qualcuno che credendosi Dio pensa di superare, di non mai incontrare nella propria esistenza queste miserie. La malattia che cosa è, se non un segno di questo limite, di questa povertà?
 Di questa realtà si è resa conto e in qualche modo ha voluto farsene carico la Comunità di Sant’Egidio, che è nata il 7 febbraio di 44 anni fa da un gruppo di giovani che si riunì intorno ad Andrea Riccardi, oggi ministro, che vi saluta e vi ringrazia di questa vostra partecipazione.

La Comunità nacque all’indomani del Concilio. Quest’anno celebreremo i 50 anni della apertura del Concilio Vaticano II che aprì fu una primavera nella vita della Chiesa, invitando i Cristiani a prendere coscienza della propria identità e a portare nel mondo il messaggio di Cristo, un messaggio di salvezza, di guarigione.
Come? Ecco che ci viene incontro il Vangelo che abbiamo ascoltato.
Il lebbroso vede Gesù, riconosce in lui il Signore, il Messia ed esprime un atto di fede profondo anche se semplice. Lui sa, il lebbroso, che Gesù può guarirlo e gli chiede: «Tu puoi e se vuoi tu puoi guarirmi». E’ un atto di fede profonda, quasi una supplica, una preghiera.
La preghiera: fondamento del nostro agire, la fede che si esprime nella preghiera così come fin dall’inizio ha fatto la Comunità di Sant’Egidio che ogni sera ancora oggi, in tutte le parti del mondo, si riunisce per leggere il Vangelo, pregare ed imparare dal Vangelo l’amore, la compassione, la solidarietà che arricchisce ognuno di noi e che poi diventa anche una testimonianza per gli altri. “Se vuoi, puoi guarirmi” e il Vangelo continua: Gesù si commuove e lo guarì. Cristo, il Verbo incarnato, fattosi uomo, si commuove: sentimento profondamente umano e spirituale.
Dio che si fa compassionevole con l’Umanità e vedendola ferita, umiliata, malata, bisognosa,  la guarisce inviando il suo Figlio, il Verbo che si fa uno di noi e, fattosi uomo, va per le strade del mondo, lascia anche suo padre e sua madre, Giuseppe e Maria e va: Galilea, Giudea, Samaria seminando la sua buona novella, portando la sua salvezza, guarendo ed insegnando agli uomini a fidarsi di Dio.

La Comunità di Sant’Egidio quando legge il Vangelo prega, ha voluto imparare,  e non smette di imparare la compassione di Dio, per farne il Vangelo anche per l’uomo di oggi intorno a Cristo maestro di compassione.
E come guarisce Gesù il lebbroso? Stende la mano. Stende la mano quasi a voler togliere distanza tra Lui e l’ammalato, annullare, rompere tutti quei pregiudizi di cui era impregnata la mentalità di quel momento “Non toccare, se no diventi anche tu immondo, impuro”.
 Gesù allunga la mano e tocca il lebbroso. Tocca il lebbroso: gesto umano ma gesto anche di Dio che si china quasi fisicamente sulla povertà, sulla miseria, sulla debolezza, sulla malattia dell’uomo e guarisce prendendo su di sé tutte queste miserie. Ed è proprio perché questa domanda di guarigione è vera, è fondata sulla fede semplice che Gesù ascolta ed esaudisce, allunga la mano e tocca il lebbroso. Non c’è, quindi, nessun isolamento, nessuna esclusione, nessun rifiuto dell’altro che ha bisogno, che è povero.
Stendere la mano all’uomo di oggi, al povero: è quello che fa la Comunità di Sant’Egidio, è quello che fa la Chiesa, è quello che fanno tanti per rendere quella dignità anche al povero, al misero, all’ammalato. Un gesto umano, un toccare quasi a dire “Io sono una sola cosa con te” , “Io ti prendo nelle mie mani”. E’ Dio che abbraccia l’uomo, anche lebbroso. E gli restituisce dignità. “Ti tocco perché ti conosco, perché ti riconosco come mio fratello, ti riconosco uguale a me, ti conosco per nome”. Come il Pastore buono che conosce per nome tutte le sue pecorelle. E quante volte ho visto nella Comunità di Sant’Egidio  chiamare per nome i nostri fratelli e sorelle in tutte le condizioni in cui si trovano per dire che non c’è più separazione, ma c’è unità, c’è familiarità.  Non più la solitudine del malato ma il malato parte importante, necessaria, preziosa di una famiglia: la famiglia cristiana. 
Gesù dopo che ha guarito il lebbroso gli dice “Adesso fai il bravo, non dire niente a nessuno, non propagandare” ma si vede che forse qualche volta bisogna “disobbedire”, disobbedire a Dio perché il lebbroso  appena guarito  incomincia ad annunciare a tutti, a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva poi entrare nella città, mentre tanti meravigliati e forse incuriositi volevano vedere Gesù e lui, il lebbroso guarito.
E’ il Vangelo della compassione che si diffonde nel mondo, il Vangelo della carità, è il Vangelo dell’Amore, è il Vangelo della solidarietà che è una spinta tale che non può essere racchiusa perché spezza, rompe tutte le barriere e va nel mondo, esce. Così come fa  la Comunità: la Comunità di Sant’Egidio ha letto questo Vangelo, è stata guarita, ha imparato cos’è la compassione di Dio, di Cristo e la diffonde nel mondo intero: a Napoli, a Roma, in tutti i continenti dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina. 
E’ la comunicazione del Vangelo: come? attraverso la testimonianza di uomini, di donne, di giovani che sentendosi guariti, liberati, perdonati vogliono portare agli altri quello che Gesù ha fatto e ha detto.
Dice il Vangelo che Gesù non può entrare in città. Perché c’è tanta gente; la gente era tanta che Gesù non poteva più entrare nella città. Ma perché non lo vogliono fare entrare?  Perché aveva  toccato il lebbroso, e così si era contaminato, era diventato immondo. Lui, il medico, che diventa contaminato, ammalato, Lui che è venuto a guarire i cuori malati ed indeboliti dal peccato, dalla miseria diventa uno che non può più entrare nella città. Bisognava tenerlo un po’ a distanza.

Anche oggi c’è una certa mentalità per cui chi avvicina il povero, chi è amico del povero, chi si prende cura del povero, chi cerca di portare speranza,  è anche lui una persona che deve essere tenuta a distanza.
Ma è questo il carisma della Comunità: questo carisma che li spinge a fare, a chiamare quanti sono ai margini della società per  partecipare alla vita di Dio, per essere rispettati nella loro dignità, per prendere parte a quell’amicizia, quella fraternità che è sinonimo di far parte della comunità cristiana. Ecco dei segni: i pranzi di Natale, il Pranzo di Natale che  la Comunità fa per tutti, in tutti gli ambienti… nelle carceri. In un clima di famiglia. Mettere insieme a pranzo: segno che non c’è più distanza ma che è una sola realtà, una sola famiglia.
La Comunità di Sant’Egidio che non ha paura di essere contaminata, non ha paura di prendersi cura, di dare, di donare il proprio amore ma anche  il proprio tempo, le proprie energie e le proprie capacità per chi è nel bisogno.

Ecco fratelli e sorelle anche oggi, anche in questi giorni la Comunità di Sant’Egidio, ma anche altre comunità, che aprono le porte a questi nostri fratelli, i clochards per il freddo (e mi pare che il freddo c’è, lo stiamo sentendo anche in questa cattedrale, non è vero? Se qualcuno non ci crede venga qui e veda come fa freddo…). Si aprono le porte (anzi vedo qui anche Don Antonio Vitiello: lui apre le porte e non solo oggi). La Chiesa apre le porte a questi nostri fratelli e non solo a loro dal 1 gennaio al 31 dicembre: sono porte aperte… apre le porte chi le ha chiuse, ma chi le ha aperte non ha bisogno di aprirle,  si può sfondare una porta aperta?… Anzi, si è voluto in questi giorni intensificare l’aiuto perché qualche volta questi nostri fratelli non vengono, preferiscono stare dove si trovano e quindi con un camper stiamo girando per la città almeno per portare soccorso là dove si trovano se non vogliono venire… un camper attrezzato.
Non c’è limite alla compassione, alla partecipazione e la Chiesa è questo. Incarna il Verbo incarnato, incarna l’amore di Dio, incarna Cristo che si è fatto compassionevole, che è venuto a sanare, è venuto a guarire, è venuto a ridarci la libertà.
Allora questo è opera degli uomini? No! Noi chi siamo? Strumenti deboli, gente che ha freddo, limitati e forse un po’ ammalati anche noi. E’ lo Spirito di Dio. E’ lo Spirito di Dio che scende su uomini e donne e li sceglie per dire di andare “Come io sono andato incontro così voi andate, andate e prendetevi cura”.
E’ il Signore che ha voluto la Comunità di Sant’Egidio. La mano del Signore, la mano compassionevole che si stende verso ogni uomo lebbroso, verso ogni tipo di lebbra, che partecipa, che prende su di sé la sofferenza dell’anziano, l’anziano a volte così amareggiato, del giovane così disorientato, di chi sente il cuore prigioniero di tanto male, di tanti nostri fratelli e sorelle che vivono nella solitudine…
Se questa è l’opera dello Spirito, se il Signore ha voluto servirsi di strumenti per incarnare il suo Vangelo nel mondo di oggi e in questa nostra città, in questa nostra regione, in questa nostra Italia, noi abbiamo (lo dicevo all’inizio) il dovere di lodare, ringraziare il Signore ma nello stesso tempo dobbiamo capire che ognuno di noi ha una grande responsabilità. La responsabilità di non stancarci mai di cercare compagni che vivono la compassione di Cristo in questo tempo, in questa città dove ci sono ancora tanti lebbrosi, dove c’è purtroppo ancora tanto pregiudizio nei loro riguardi.  Pensiamo ad esempio a tutto il fenomeno degli stranieri e dei rom.

Il Signore chiama, cerca compagni per annunciare il suo Vangelo di compassione e di guarigione. Per questo è nata la Comunità: non per un interesse personale, ma solo per amore, per solidarietà verso i tanti nostri fratelli, per la loro salvezza, per incontrare Gesù, pastore e medico delle nostre anime.
Allora rendiamo grazie al Signore per questi 44 anni di storia, per il presente e soprattutto mettiamoci nelle mani della Provvidenza per il cammino ancora lungo, ancora segnato da tanta speranza, da tanta gioia perché tanti ancora possono raccogliere la chiamata del Signore e continuare a predicare il vangelo di misericordia, per l’amicizia, tra noi e con questi nostri fratelli che sono i prediletti del Signore.
Affidiamo tutta la Comunità di Sant’Egidio nel mondo, il suo fondatore professore, ministro Andrea Riccardi, tutti, tutti voi nelle mani della Madre celeste, la Madre della misericordia, la Madre che è l’avvocata presso Dio per la guarigione anche dei nostri corpi e delle nostre anime.
Cari amici, cari fratelli Dio vi benedica, vi ricompensi e  ‘a Maronna v’accumpagn…



Crescenzio Sepe
Arcivescovo metropolita di Napoli

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