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30 Settembre 2013 16:30 | Villa Maria - Sala Conferenze

Antinomie e paradossi dell’età


Filaret


Vescovo ortodosso, Chiesa Ucraina, Patriarcato di Mosca
Fratelli e sorelle! Signore e signori! Amici!
 
A suo tempo mi è capitato di studiare l’età, la vecchiaia e l’invecchiamento dal punto di vista professionale, se si può dire così. Nella mia piccola esperienza personale, e dopo lo studio dell’enorme esperienza di molti studiosi seri come pure di profondi pensatori del passato e del presente, posso dire con certezza che fino ad oggi, nonostante lo sviluppo della scienza e dell’istruzione, l’umanità ha una fantasiosa rappresentazione rispetto alla vecchiaia, all’età e a tutto ciò che ad esse è connesso. Come ha notato a suo tempo il gerontologo inglese A. Komfort, nel corso dei secoli due sogni dell’umanità hanno attratto a sé generazioni di ricercatori. Uno di essi è il sogno della pietra filosofale, che trasforma il metallo in oro. Il secondo, un sogno ancora più antico, è quello dell’elisir di giovinezza. Adesso le fantasie degli alchimisti sono diventate realtà. Il sogno dell’eterna giovinezza resta tuttavia ancora irrealizzato. Ma…eppure il pensiero della trasformazione dei metalli in oro per secoli sembrava assurdo agli studiosi seri, come l’idea dell’eterna giovinezza oggi sembra assurda a molti. Nel frattempo le ricerche dell’«elisir di giovinezza» proseguono .
La Chiesa vive la vecchiaia umana «sub specie aeternitatis», dal punto di vista dell’eternità; essa non esamina soltanto le questioni su «quanto vivere» e «come vivere», ma anche: «per quale ragione vivere» (e pure a lungo). L’essenziale è: le questioni della vita, della sua qualità, dello scopo e della durata si misurano  direttamente nella prospettiva della salvezza.
Siamo convinti del fatto che il peccato invecchia la natura umana, mentre Cristo, trasfigurandoci, ci rinnova. Alla base di questa convinzione sta il Vangelo. Questa convinzione si esprime sia nell’insegnamento della Chiesa, sia nella liturgia (certamente, l’uno e l’altra si esprimono anche nella vita di ciascun membro della Chiesa).
Creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo doveva avere la possibilità di essere immortale. Considerando il fatto che immortale per natura è solo Dio, anche l’uomo, in misura della partecipazione alla Divinità, doveva essere immortale .
Il teologo greco contemporaneo P. Nellas, nel suo commento alle opere di san Nicola Cabasilas, scrive: «Preferendo vivere non la vita che era appena presente in lui per il soffio dello Spirito, ma vivere in maniera autosufficiente, l’uomo diede vita ed esistenza al peccato, poiché il peccato da solo non ha un’esistenza sostanziale. L’inevitabile conseguenza dell’autosufficienza, in cui sta la radice di ogni peccato, fu la comparsa dei peccati commessi con l’azione». In essi Cabasilas distingue due momenti: l’atto vero e proprio e il danno da esso apportato, il «trauma» . L’allontanamento da Dio, l’autonomia dell’esistenza umana colma quest’ultima di marciume e di disordine interiore, con l’inversione della gerarchia nell’organizzazione dell’anima e del corpo dell’uomo. L’immersione nell’esistenza biologica («i paramenti di pelle») è accompagnata dalla putrefazione, di cui il risultato finale è la morte. Dunque, dopo il peccato originale – l’allontanamento dell’uomo dalla Fonte della vita – la possibilità di immortalità per gli uomini «ha cessato di esistere». In tali condizioni ormai anche «la morte diventa inevitabile».
Da quel momento l’invecchiamento dell’uomo e la morte sono divenuti parti imprescindibili dell’esistenza umana. «Non vi è nulla di più forte della vecchiaia» –testimonia san Gregorio di Nazianzo . E la forza della vecchiaia risiede nella sua universalità incondizionata e nell’onnipotenza pratica.
Tuttavia l’esperienza della vita in Cristo contrappone distintamente due vite. Vediamo non soltanto una contrapposizione, ma il contrasto tra questa vita – connessa all’invecchiamento, e la vita futura, la vita nuova – la vita che non invecchia. Praticamente vediamo sempre nella vita della Chiesa due contrapposizioni: «ciò che invecchia» e «ciò che è giovane», oppure: «il temporaneo» e «il sempre esistente». 
Prestiamo attenzione alla seguente espressione: «Hai rinnovato il mondo, invecchiato per i molti peccati, con la tua passione e la tua resurrezione»  [in slavo ecclesiastico]. Qui è messo in rilievo che il peccato provoca la vecchiaia dell’uomo (la vecchiaia e la morte che la segue sono conseguenze del peccato). Il deturpamento dell’intera creazione con il peccato è somigliante all’azione distruttiva della vecchiaia. L’uomo, creato perfetto, fu creato «nuovo». Allo stesso modo di come una cosa vecchia si rovina, si deteriora, così anche l’uomo e tutta la creazione con lui «si sono deteriorati» – sono invecchiati, hanno perduto quella novità, cioè la bellezza perfetta, l’armonia, l’attrattiva che avevano inizialmente. Infatti – lo sappiamo! – dopo il compimento della sua creazione il Creatore loda la sua bellezza e perfezione: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen. 1, 31).
Cristo, lavando la ruggine del peccato con il suo sangue, compie il miracolo del rinnovamento della natura. 
Così la Chiesa professa che Cristo: «asperge con … acqua, vivificante … per coloro che a Lui accorrono nella fede, e alla vita che non invecchia battezza con lo Spirito» .
Similmente, anche in un altro punto, rivolgendosi al Salvatore, la Chiesa proclama: «dalla polvere della morte, Tu ristabilendo la mia infermità, sollevando la natura, o Cristo, preparando l’eterna giovinezza» . Nel tropario sopra riportato la formulazione della dottrina è indicata con massima precisione: dalle ceneri della morte Cristo di nuovo creò, ripristinò la mia natura, la creò tale che non invecchiasse, liberata dall’invecchiamento provocato dal deturpamento della natura umana.
Prestiamo attenzione al fatto che tutto ciò che è deturpato dal peccato è in modo preciso e sostanziale connesso all’invecchiamento. E soltanto Cristo, sconfiggendo la morte, «dopo aver vinto la vecchiaia carnale» risorge per la nuova «vita che non invecchia», affinché anche noi siamo partecipi di questa vita. Leggiamo l’invocazione «Immacolati lodiamo», tratta dalla liturgia del Sabato Santo: «Come leone Salvatore, addormentato nella carne, come un leoncello morto risorgi, deponendo la vecchiaia della carne» . Lo stesso concetto è stato in precedenza espresso anche dall’apostolo Paolo: «Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm. 6, 3-10).
Tutto ciò che è connesso all’età è connesso con paradossi e antinomie. Vorrei, tenendo conto del tempo limitato, rivolgere l’attenzione ad alcuni di essi.
 
***
 
Ecco su cosa riflettiamo. Dall’antichità proprio il vecchio, come portatore di esperienza e sapienza, godeva non soltanto di rispetto, ma anche di determinati privilegi. Ciò è pienamente comprensibile, poiché la sapienza viene con gli anni.
Nel cristianesimo esiste l’istituzione dei presbiteri [p?esß?te??? — dal greco classico], cioè gli anziani che guidano la comunità, presiedono la liturgia, annunciano la Parola di Dio e possiedono anche determinati poteri amministrativi. A essi si riferiscono le parole di un’antichissima fonte cristiana: «sono quelli che vengono onorati con i profeti e gli apostoli» , e anche: «ricorda di giorno e di notte di chi predica la parola di Dio e onoralo come il Signore» . Sant’Ignazio di Antiochia scrive: «Tutti rispettino … i presbiteri, come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli» .
Tuttavia i presbiteri non sempre sono anziani per età. Ed essi qualche volta sono guide di persone notevolmente più anziane di loro. D’altronde in questo non ci sono problemi: «Vecchiaia veneranda non è quella longeva, né si misura con il numero degli anni; ma canizie per gli uomini è la saggezza, età senile è una vita senza macchia» (Sap. 4, 8–9), – testimonia la Sacra Scrittura. E ancora, nei testi liturgici della Chiesa ortodossa è contenuta un’opinione molto precisa: a volte i giovani, partecipi di Cristo, che hanno purificato l’anima e si sono consacrati, sono dei sapienti. Per esempio, del grande martire Panteleimon (la cui memoria è celebrata il 27 luglio/9 agosto) si dice che possedeva «dalla giovinezza saggezza anziana e memore di Dio» . Dunque, chi è saggio è anche uno starec. Proprio come anche l’anziano in senso proprio, è buono durante la vita e non solamente dopo aver raggiunto gli anni della vecchiaia.
 
***
 
Gli anni danno alla persona la forza sorprendente dello spirito. Al tempo stesso sopraggiunge anche la debolezza della carne, ed entrambi questi fenomeni spesso coesistono, sebbene non influenzandosi del tutto l’un l’altro. Le collisioni sono inevitabili e il contrasto, a quanto pare, palese.
Tuttavia la sapienza cristiana trova anche qui l’espressione della volontà del Creatore, e nell’obbedienza a questa volontà si risolve la contraddizione, l’antinomia sparisce. Uno straordinario asceta contemporaneo, Ioann (Krest’jankin) scriveva dall’altezza degli anni vissuti (e ne visse 95!): «Occorre seguire le prescrizioni dell’età: esse ci sono date dall’alto, e chi si oppone a esse si oppone alla decisione di Dio su di noi. Io so quanto è difficile entrare in questa nuova vita, piena di ogni genere di limitazioni. Ma posso anche testimoniare che quanto prima capiremo questo, umilmente chineremo la testa alle infermità crescenti, tanto meglio sarà sia per noi, sia per chi ci circonda. Ogni cosa a suo tempo. E poi il Signore dà agli umili la sua grazia. Non è possibile fare questo a comando, il Signore ama chi dà volentieri. Ecco cosa vi dirò delle mie limitazioni, che hanno già fatto il loro ingresso nella mia vita: 1. La frequentazione delle funzioni si è ridotta al minimo. Perfino nelle grandi festività spesso ormai non ho la possibilità di essere in chiesa, prego a casa. 2. Il ricevere le persone è cessato del tutto, rispondo alle domande per lettera, non entrando in contatti personali. Ma non dirò che la mia vita si è svuotata. La preghiera e le suppliche in solitudine acquistano una nuova qualità» . Dunque, proprio la possibilità di vedere l’azione della Provvidenza nell’unione della forza dello spirito con la debolezza della carne dà anche la possibilità di realizzare la forza nella debolezza.
 
***
 
Infine, nella stessa natura umana sta l’amore per la vita. Ma insieme a ciò, quanto più l’uomo si perfeziona spiritualmente, quanto più cresce, tanto meno è chiamato a questa vita: egli guarda nella prospettiva della vita futura. L’apostolo Paolo testimonia: «Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede» (Fil. 1. 22-25).
La ragione di ciò è indicata un versetto prima: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil. 1, 21).
Dunque, se Dio è non soltanto presente nella vita, ma anche già costituisce l’essenza della vita, l’esistenza stessa dell’uomo, allora la vita e la morte non è che si livellino, ma diventano (e certamente!) le facce di un’unica esistenza, in Dio e per Dio.
 
***
 
Il beato Agostino scriveva: «Noi non abbiamo paura di morire, poiché possediamo il buon Dio» . Aggiungo che noi non temiamo di diventare vecchi: ricchi di esperienza, e al tempo stesso deboli; forti di spirito e deboli nella carne; purificati dai peccati e dalle passioni ma coperti dalle ferite di questi peccati;  allietati dalla gioia della comunione con Dio pur bevendo il calice delle sofferenze.
Insieme al già ricordato apostolo anche noi possiamo raggiungere qual confine, quando benedetti dalla longevità, vorremo essere sciolti dai legami terreni.
Ovunque e in tutto qui c’è il buon Dio. Proprio in lui si trova la risoluzione delle antinomie e dei paradossi, che si manifestano in abbondanza, di anno in anno, a chiunque abbia a che fare con la vita umana.
Ringrazio per l’attenzione.
 

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