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26 Gennaio 2012

Cooperazione, lo Spread intollerabile che vede l’Italia al penultimo Posto

 
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L’Italia uscita dall’inconsapevolezza di vivere in tempi di crisi non è soltanto il Paese che ha dovuto introdurre nel lessico politico la parola spread, vocabolo usato per indicare il divario tra gli interessi dei suoi titoli di Stato e quelli tedeschi. È anche un Paese che non può più permettersi reticenze su una propria mancanza cominciata ben prima delle attuali difficoltà finanziarie. «Nel 2010 abbiamo raggiunto un minimo storico, 2,3 miliardi di euro, finendo al penultimo posto dei Paesi donatori, solo davanti alla Corea», ha fatto presente il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi parlando dell’accelerazione recente nella «stagnazione e diminuzione» degli aiuti italiani allo sviluppo in corso da 15 anni.

La settimana scorsa il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, un ammiraglio, ha spiegato che rispetto a picchi del decennio scorso il numero dei militari italiani impiegati in missioni all’estero è sceso da oltre 12 mila a 6.500. Se si sommano a queste cifre le valutazioni fornite ieri alle commissioni Esteri di Camera e Senato da Riccardi, cattolico fondatore della Comunità di Sant’Egidio, c’è motivo di  svegliarsi.

Il ridimensionamento di strumenti dai quali dipende la capacità di influenza del nostro Paese nel mondo è troppo consistente per essere ignorato, risultare marginale nel dibattito politico e non determinare scelte all’altezza delle necessità. «Stiamo scomparendo da Stati nei quali il canale della cooperazione era il canale principale della nostra presenza», ha avvisato Riccardi ricordando che i Balcani sono inquieti e nel mondo arabo gli equilibri cambiano. Nel 2012 i nostri aiuti ai Paesi in via di sviluppo caleranno allo 0,12% del prodotto interno lordo. Il 43% del ritardo dell’Ue rispetto agli obiettivi dell’Onu è colpa nostra. «Il deficit non è solo di risorse, ma è anche di idee», ha constatato Riccardi chiedendo una visione strategica. Il professore può permettersi la schiettezza di un’organizzazione non governativa perché, per il suo radicamento tra cattolici, fra i tecnici è forse l’unico ministro a disporre di qualcosa di simile a un retroterra elettorale. Non va lasciato solo. Rischiamo di essere retrocessi tutti noi.


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