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il Cittadino

9 Desembre 2012

Grande partecipazione alla 1a conferenza del ciclo 2012-2013: relatore il ministro pakistano fratello del martire Shahbaz

Bhatti, fratelli nella testimonianza

Paul a 'Cattedrale Aperta': "Continuo la missione di mio fratello"

 
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La quarta edizione del ciclo di conferenze 'Cattedrale Aperta' è iniziata nel migliore dei modi, con una San Lorenzo gremita di persone (nonostante il tempo decisamente poco favorevole), un pubblico attento e un tema affascinante: "Il martirio dei cristiani oggi . Protagonista della serata un relatore d'eccezione, giunto apposta dal Pakistan per intervenire alla conferenza: Paul Bhatti, ministro per l'armonia nazionale del Pakistan e fratello maggiore di Shahbaz, assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad per la sua fede cristiana. Il 95% dei pakistani è musulmano, il restante è costituito da minoranze religiose: i cristiani sono circa il 2,5%.

Paul Bhatti ha tratteggiato la figura del fratello che fin da piccolo ha sempre nutrito una vocazione radicata su una fede profonda: lui voleva aiutare i cristiani perseguitati, voleva cambiare le cose, impedire che i cristiani subissero violenze e per questo iniziò a lottare fin da adolescente. I suoi genitori aveva cresciuto i figli (cinque fratelli e sua sorella) sui  principi del cristianesimo, trasmettendo una fede intensa e ben radicata e Shahbaz ne aveva fatto la ragione fondante della sua vita.

Per questo iniziò a battagliare contro il governo e le leggi discriminanti conducendo una battaglia che lo accompagnò tutta la vita, fino alla carriera politica: "La mia famiglia comprendeva le sue scelte, lo appoggiava, ma quando iniziarono le minacce cercammo in tutti i modi di dissuaderlo, di convincerlo a lasciare il Pakistan" - ha raccontato Paul Bhatti che ha un legame forte con l'Italia, dove ha lavorato, e non è un politico di professione: è laureato in medicina. Ha condiviso in particolare con il fratello l'esperienza come medico missionario per tanti anni.

Nel momento in cui Shahbaz era oggetto di minacce continue, Paul si trovava in Italia, cercò anche da lontano di far capire al fratello che doveva andarsene, che poteva raggiungerlo in Italia! Ma la sua risposta era sempre la stessa: non poteva abbandonare i suoi fratelli cristiani in Pakistan, il suo posto era lì e soprattutto la sua missione era chiara, espressa bene dalle sue parole: "La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo' (dal testamento spirituale di Shahbaz Bhatti). Un pensiero e uno stile di vita radicati sull'amore a Gesù: "Abbiamo bisogno di esempi di fede come questi - ha affermato il Cardinale Bagnasco al termine della conferenza; di una fede radicata nella preghiera, nella lettura della Sacra Scrittura, di una vicinanza e di un sì al Signore pronunciato fino in fondo. 

L'Arcivescovo ha ringraziato più volte Paul Bhatti per la sua presenza, per aver raccontato che cos'è il martirio oggi e aver così colpito i presenti che hanno tributato due lunghi applausi al ministro Bhatti. Ma che cosa è successo dopo la morte di Shahbaz?: "La mia prima reazione all'assassinio di mio fratello è stata di odio verso il Pakistan, pensavo che il mio paese non meritasse nulla e volevo portare via tutta la famiglia per dimenticare; ma poi, fin dal funerale di Shahbaz, mi sono reso conto quanto lui fosse amato, quanto i pakistani contassero su di lui. Ho visto chilometri di strada pieni di gente, persone che svenivano, donne e bambini piangere in modo commovente e chiedermi: "E ora?". Non me l'aspettavo e subito non ho avuto la forza di dire sì, di prendere il suo posto. La mia vita era a Treviso, avevo lì un lavoro sicuro, che mi piaceva. Ma poi anche io ho avuto la mia ispirazione, una decisione che sicuramente è stata dettata da Dio e da Shahbaz. Ho capito che dovevo farlo. Oggi posso dire che sono felice, non ho paura e nessun rimorso per la mia scelta: Gesù mi ha usato per continuare la sua missione, che fa parte della nostra vita e del nostro destino: un cristiano deve aiutare i più deboli, se siamo fratelli in Cristo, è un dovere; è la nostra fede!". Paul Bhatti ha ringraziato in particolare la Comunità S. Egidio con la quale aveva collaborato anche suo fratello per la costruzione di un dialogo interreligioso in cui lui credeva tantissimo, promuovendo in Pakistan un comitato ad esso dedicato: "Grazie a tutti voi intervenuti così numerosi questa sera; la vostra presenza mi incoraggia, non mi sarei aspettato che foste in tanti ad aspettarmi, specie per una persona che viene così da lontano". Ma sicuramente i presenti alla prima conferenza di Cattedrale Aperta gli avrebbero risposto che ne è valsa la pena!

 

Prima dell'inizio della conferenza in Cattedrale, abbiamo posto qualche domanda al ministro Bhatti ...

Che cosa significa e quali difficoltà comporta lavorare per l'armonia nazionale del Pakistan?

È un compito che porto avanti con piacere, seguo la missione di mio fratello certamente tra mille difficoltà, sia per la situazione politica generale del Pakistan, sia per quella delle minoranze religiose e in particolare dei cristiani, che sono ancora soggetti a varie leggi discriminatorie; ma in tutto questo c'è la soddisfazione di fare qualcosa per questa gente che ha tanto bisogno. A volte piccoli gesti possono cambiare tantissimo per la loro condizione di vita, in modo particolare in alcuni casi eclatanti, come quello recente, che ha fatto il giro del mondo, della bambina con deficit mentale che è stato accusata di blasfemia; siamo riusciti ad aiutarla e questo è stato motivo di grande soddisfazione. 

La conquista della libertà religiosa è un problema soltanto per i cristiani in Pakistan? 

È un problema per tutti, anche per gli stessi musulmani: la libertà religiosa è possibilità per ogni cittadino di credere, di esprimere la propria fede; ovviamente per le minoranze, come quella cristiana, è un problema più sentito, ma anche tra i musulmani ci sono sette che vengono discriminate. Tutto questo è dovuto da una parte all'ignoranza e all'analfabetismo, da una parte da un'ondata di terrorismo che ha colpito questo territorio. Fanatismo e estremismo sono le cause principali della difficile situazione pakistana.

Il termine martirio è così lontano per noi occidentali; la sua famiglia Io ha vissuto da vicino, può darcene una definizione? 

In tutto l'Occidente il martire è una figura quasi del tutto scomparsa, ma in Pakistan o in alcuni paesi islamici dove i cristiani sono in minoranza, i si scontra con il fanatismo; per esprimere la fede si deve affrontare enormi difficoltà: le minoranze religiose molto spesso fanno parte delle classi oppresse e emarginate e questo è un ulteriore problema per poter avere una fede, seguire Gesù. 

In che modo porta avanti la memoria di suo fratello? 

Mio fratello sia a livello personale, sia politico-sociale, voleva aiutare i cristiani perseguitati, lui credeva nel dialogo interreligioso, voleva che tutte le comunità religiose entrassero a far parte del governo pakistano. Io sto cercando di portare avanti proprio la sua idea di incontro tra diverse religioni che convivono in un solo territorio. Abbiamo avuto già qualche risultato, come nel caso della bambina che citavo prima. Vogliamo far capire che le religioni possono incontrarsi sui valori umani che tutte esprimono, combattendo estremismo e fanatismo che stanno creando così tante difficoltà in Pakistan. Stiamo cercando, inoltre, di educare i gruppi emarginati, come quello cristiano, aiutandoli anche ad uscire dalla povertà perché possano crescere e progredire.

L. F.


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