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17 Gener 2014

Centrafrica. L'Onu: «Si rischia il genocidio»

 
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«La paura è un sentimento generale», spiega Monsignor Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo della capitale centrafricana, Bangui, dopo qualche giorno passato in Europa per far conoscere la sofferenza del suo Paese. «Gli scontri sono in corso in tutto il territorio. La gente è terrorizzata - continua l'arcivescovo -, ogni giorno aumenta il numero dei campi protetti dove i civili si riuniscono per dormire durante la notte». Sono settimane che i combattimenti che oppongono le truppe francesi e africane ai gruppi ribelli islamici della Seleka, o a quelli cristiani chiamati "anti-balaka", non permettono il ritorno alla normalità. Nella notte tra mercoledì e ieri, ci sono stati altri 7 morti nella capitale. «Senza dubbio ci sono tutti gli elementi di un genocidio», ha dichiarato John Ging, a capo dell'Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha).

 Le violenze settarie ricordano infatti gli orribili eventi degli anni Novanta che si sono consumati in Bosnia e Ruanda. «Quello centrafricano è un conflitto che sembra sfuggito di mano anche agli eserciti intervenuti per disarmare le varie fazioni ribelli». «La Francia ha bisogno dell'Europa perché non può farcela da sola», assicura monsignor Nzapalainga, ospite a Roma della comunità di Sant'Egidio che, con il patto politico firmato qualche mese fa da autorità, leader religiosi e della società civile centrafricana, ha aiutato a mettere le prime fondamenta per una soluzione politica alla crisi. «I militari africani non sono equipaggiati come quelli francesi - spiega l'arcivescovo - e la situazione umanitaria come quella politica sono tuttora molto fragili e difficili da gestire». Con la fuga dell'ex presidente ad interim, Michel Djotodia, il primo leader musulmano nella storia del Paese, le autorità di Bangui hanno confermato che «il Parlamento eleggerà un sostituto entro lunedì».

 Senza una leadership politica, le condizioni umanitarie rischiano infatti di aggravarsi ogni giorno. «Nell'aeroporto dove vivono circa 100mila sfollati ho visto la gente soffrire la fame - continua il religioso -, le vittime più fragili sono le donne, tante incinta, e i bambini che le agenzie umanitarie tentano di aiutare come possono». La Francia ha dispiegato 1.600 soldati che appoggiano la Forza internazionale africana (Mista) costituita di circa 5mila uomini. Ma i militari non bastano. Bangui rimane una zona molto pericolosa, mentre il resto del Paese è in mano alla Seleka, con qualche sacca territoriale gestita dai miliziani "anti-balaka".

 Nonostante le differenza di credo tra i due gruppi, monsignor Nzapalainga ci tiene a sottolineare che in Centrafrica non è in corso un conflitto interreligioso: «Non tutti i Selekea sono musulmani e non tutti i musulmani fanno parte della Seleka», afferma l'arcivescovo. «La stessa confusione si è fatta con i gruppi anti-balaka  che esistevano già negli anni Novanta e agivano indipendentemente dalla religione. Sono i politici e i criminali i responsabili delle atrocità - conclude-, stanno sfruttando la religione per i propri interessi a discapito degli innocenti». 


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