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25 Agost 2014

LA MINACCIA DEL CALIFFATO

Papa Francesco e gli estremisti dell`Isis. Il no alla guerra non è disarmo morale

Fermare l`aggressore è diverso dall'alimentare logiche belliche. Nelle parole del Papa l'esperienzadella Chiesa del Novecento: il Pontefice ha posto il dramma iracheno all`attenzione dell'opinionepubblica occidentale, che per anni l'aveva ignorato

 
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L'incubo dell'11 settembre 2001 sembra riproporsi con il totalitarismo del sedicente califfato, questa volta, alle porte dell'Europa.
Allora la spiegazione fu che si trattava di uno scontro di civiltà e religione, tra Occidente e Islam. Paradossalmente non dispiaceva ad Al Qaeda, tesa a accreditarsi alla leadership dei musulmani contro il mondo occidentale. Ci fu la guerra del 2003 all'Iraq per rigenerarlo alla democrazia. Giovanni Paolo II vi si oppose fieramente. All'idea dello contro di civiltà rispose con la preghiera di Assisi del 2002. Temeva, tra l'altro, per i cristiani d'Oriente. E, purtroppo, ha avuto ragione. Il Papa non aveva paura della forza: aveva chiesto interventi umanitari nei Balcani (anche se precisò che non spettava a lui indicarne i modi). A chi lo accusava di pacifismo, rispose che conosceva bene l'orrore della guerra, «avventura senza ritorno».
Del resto aveva sfidato l`URSS pacificamente ma tenacemente. Per lui non c'era posto per guerre religiose o sante: «Non vi sono guerre di religione in corso e non vi possono essere guerre sante...» dichiarò nel 1991 prima della guerra in Iraq. Non accettò mai di raccogliere il «guanto» della sfida religiosa: i conflitti andavano letti in modo laico e concreto.
Oggi, papa Francesco chiede di «fermare» l'aggressione a gente inerme, donne, bambini, colpiti in Iraq perché diversi o cristiani. «Fermare» è poco? Vuole di più chi chiede al Papa di parlare di «guerra giusta».
Lo trova deludente chi desidera una lettura epocale e religiosa dello scontro in corso. Nel Papa però pulsa l'esperienza storica della Chiesa nel Novecento: le guerre stravolgono il mondo al di là delle intenzioni di chi le combatte. C'è una concreta distinzione tra «fermare» l`aggressore e alimentare una logica di guerra. Non è accademia, ma storia dei popoli. Già durante la Prima guerra mondiale, Benedetto XV parlò di «inutile strage» (e difese gli armeni dal massacro).
Pio XII, a chi gli ricordava come la lotta al comunismo potesse dar luogo a una crociata, affermò: «Soprattutto no alla guerra! Una nuova guerra è impensabile. Sarebbe apocalittica. Inoltre non concluderebbe niente».
Papa Francesco, nel settembre 2013, si è dissociato dai bombardamenti in Siria proponendo un'uscita da una guerra barbara: «Vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo... e questo non con lo scontro, ma con l`incontro» ha detto.
Come dialogare con chi ti uccide? Dialogo, incontro non sono espressioni fiacche, ma stimolano a una ripresa di iniziativa in una comunità internazionale paralizzata nei rapporti con la Russia, bloccata sull'Iran, incagliata nel conflitto israelo-palestinese, incapace di decidere politicamente. Dialogo e incontro sono, per il Papa, il rifiuto di credere al muro contro muro o a guerre chirurgiche. Non è retorica, ma comprensione della complessità contemporanea. Il Papa non è ideologico, come rischia di diventare una visione spaesata e spaventata di fronte alla sfida feroce del presente.
Francesco - lo si è visto con il Nord Iraq non è un pacifista a oltranza. Anche se, con tenacia spirituale, persegue la dissociazione tra religioni e violenza. Ha ammonito che «fermare l`aggressione» non diventi conquista. Ha aggiunto che c'è un diritto dell`aggressore a essere fermato, «perché non faccia del male». Il cattolicesimo di Francesco sarebbe un volto del disarmo morale dell`Occidente? Sbaglia chi consideri «disarmo» un pensiero realista e complesso su un mondo complicato, non adatto alle semplificazioni dell`ideologia o della chirurgia bellica. Intanto, il Papa ha posto il dramma iracheno nel cuore dell'opinione pubblica occidentale - che, per anni, ha finto di ignorare tanti dolori contrastandone la tendenza all`introversione. Non è poco. D`altra parte non ha regalato al sedicente califfato la rappresentatività dell`Islam, magari lasciando intendere che combatterlo sia una guerra giusta. La «terza guerra mondiale», diversa dalle due precedenti, gli appare il rischio del presente. Per lui si deve rifuggire la guerra, ma soprattutto allontanare quella globale, con la saldatura dei tanti conflitti e delle crisi.


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