L'Ungheria sta chiudendo dietro a un muro il proprio futuro

Ombre sulla Ue. La politica di Viktor Orbàn è destinata a trasformarsi in un clamoroso autogol
La scelta di bloccare i confini minaccia la sopravvivenza stessa del Paese: la popolazione sta continuando a decrescere, ma dove troveranno nuova forza lavoro?

Era la sera del 27 gennaio scorso, giorno della memoria. Nel gelo polare della capitale ungherese ho accarezzato con lo sguardo il volto bronzeo di Giorgio Perlasca, all'ingresso dell'Istituto italiano di cultura di Budapest, che ha la sua sede nello storico palazzo che fu il primo parlamento magiaro. In occasione della conferenza che dovevo tenere sui Giusti e sulla Shoah, una donna mi ha rivolto una domanda quasi raggelante: «Mi spiega perché l'Ungheria ha un'immagine pessima in Italia?» Mi è venuto spontaneo rispondere con franchezza, senza tanti giri di parole: «Il perché lo conoscete meglio voi». L'elenco di ciò che non capiamo, come italiani e come europei, è lungo e doloroso. L'Ungheria che rifiuta i profughi, che sono alla disperata ricerca di un focolare temporaneo per poi poter raggiungere il Nord Europa; l'Ungheria che si circonda di muri, che non ama i rom e gli ambulanti, che vede nemici in molti ospiti, temendo che avanguardie migratorie possano minacciarne l'identità; l'Ungheria che si tinge di antisemitismo; l'Ungheria che crede solo in Dio, nel cristianesimo, nella patria e nella famiglia, che si ritiene crociata della fede e che non riconosce altri diritti e non tollera ingerenze. Paese per molti aspetti arrogante. Il rifiuto di accogliere i profughi e la decisione di alzare muri, in un futuro abbastanza prossimo è destinato a diventare un clamoroso autogol. II professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, dotato di grande capacità di visione e convinto sostenitore del dialogo con tutti, presentando a Genova il suo libro "Periferie", ha citato ad esempio proprio l'Ungheria. Ha detto: «Oggi la popolazione, che sta rapidamente invecchiando e dove continua la decrescita demografica, è di circa 10 milioni di abitanti. Tra qualche decennio si ridurrà a poco più di 6 milioni di persone. Al punto che saranno gli stessi ungheresi ad abbattere i muri e a supplicare l'arrivo di giovane forza-lavoro». Analisi corretta e in linea con le previsioni dell'Onu e dei centri di ricerca sulla demografia. Uno studio avverte: «Tra meno di cinquant'anni la popolazione ungherese supererà di poco i 7 milioni, e tra cent'anni si rischia di scendere a precipizio, con numeri dimezzati rispetto a oggi».

Nazionalismo fuori controllo. Tutto vero, purtroppo. Però bisogna ammettere che anche l'atteggiamento ostile di un popolo fiero, ferito più volte dalla storia, ha non poche giustificazioni. Che poi il governo di turno le abbia utilizzate e manipolate per imporre scelte discutibili e aizzare il più becero nazionalismo è altrettanto vero. Il problema (che non riguarda soltanto l'Ungheria) è che l'ingresso del Paese nell'Unione Europea, senza aver maturato una vera identità democratica, è stato troppo frettoloso. In quell'ormai lontano 2003, la propaganda contraria allo storico ingresso, era ruvida e rispondeva alle pulsioni più emotive della gente. «Ricordate prima di decidere. Sono partiti i carri armati ma adesso arrivano le banche», era scritto nei manifesti del fronte del "no". In realtà, l'Ungheria imperiale ha lamentato molte occupazioni e ingerenze: dell'Austria prima, dell'Unione Sovietica poi. Adesso gli ultranazionalisti sostengono che il Paese è occupato dalle stelle dell'Unione Europea.
UE vissuta quindi come impositiva e matrigna, dimenticando che se il Paese è uscito dalla crisi ed è quasi rinato lo deve ai generosi aiuti che sono arrivati da Bruxelles, e che sono stati sfruttati con abilità. E con avidità. Alimentando la spessa rete di corruzione che il potere politico ha utilizzato. È chiaro che tutti osservano e giudicano il premier che, piaccia o no, è l'indiscusso timoniere, da molti anni, del governo del Paese: Viktor Orbàn. Personaggio carismatico e complesso, il primo ministro, cofondatore del partito di centro-destra Fidesz. Un uomo con una storia e un percorso davvero singolari. All'inizio, nei mesi che hanno preceduto e seguito la caduta dei vari muri dell'impero sovietico, era un giovane liberal-democratico che inneggiava a Imre Nagy, e che anche nell'abbigliamento e nella cura della propria immagine si staccava dal formalismo del passato. Un po' come accadde in Bulgaria con la protesta di Ecoglasnost, l'associazione liberal-ecologista che accompagnò la fine del regime di Todor Zivkov.

Euroscetticismo
. Come scrive Massimo Congiu nel suo saggio "L'Ungheria di Orbàn, rigurgiti nazionalisti e derive autoritarie", il futuro primo ministro portava i capelli molto lunghi, la barba, il maglione e quasi mai la cravatta. Con il tempo, dopo alterne fortune, è tornato al potere in doppiopetto con l'arroganza di chi vuol rappresentare i poteri forti. Orbàn, dice lo scrittore Laszló Bitó, che è assai critico nei confronti del leader e del suo partito, si sente il "sacerdote" e il moderno custode di quel "nazionalismo sacrale", in cui si confondono i simboli religiosi e nazionali, sia nelle chiese sia negli ambienti ad esse più vicini.
Ecco perché, come racconta e spiega Congiu, storico e giornalista, membro del Comitato Scientifico del Cespi e direttore dell'Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, uno studioso che conosce bene l'Ungheria dove vive da oltre vent'anni, Orbàn, che tante preoccupazioni rappresenta per l'Unione Europea, non è neppure il maggiore pericolo. Alla sua destra, infatti, c'è il partito Jobbik, che richiama simboli e idee di un lontano e vergognoso passato, e che rischia di diventare la seconda forza politica ungherese.
Da quasi 14 anni, a Budapest, si organizza la Marcia della Vita, per raccontare l'Olocausto, pagina davvero ripugnante per l'Ungheria e il suo governo di allora. Nonostante gli esempi e i risultati ottenuti da Raoul Wallenberg e Giorgio Perlasca, che salvarono migliaia di ebrei dalla deportazione, quasi 600.000 israeliti furono stivati nei treni della morte, e portati nei campi di sterminio. Nel 2012, in occasione della Marcia, la destra più estrema aveva organizzato, grazie a un'associazione di motociclisti, il rally dallo slogan davvero abietto "Spingi sul gas", con evidente riferimento al genocidio nei luoghi dell'orrore. Per fortuna Orbàn, all'ultimo momento, ha deciso di vietare il raduno. Il premier si vanta di combattere l'antisemitismo in tutte le sue forme, ma l'ambiguità della sua condotta, spesso apertamente antisemita, come sosteneva Elle Wiesel, è davanti agli occhi di tutti.
Oggi il premier ungherese è diventato il campione dell'euroscetticismo, fino a propagandare l'idea che la UE rappresenti un rischio, se non proprio una minaccia, per la sovranità nazionale. Questo dicono la politica e gli egoismi patriottici. Ma va detto che l'Ungheria è anche una meravigliosa meta per i turisti: Budapest d'inverno e il lago Balaton d'estate. Non stupisce che un numero crescente di pensionati italiani abbiano deciso di trasferirsi nella capitale magiara. I vantaggi sono notevoli. Me li conferma la giornalista Claudia Voltattomi, studiosa, interprete, traduttrice, guida turistica e soprattutto direttrice del giornale on line Economia.Hu, diretto ai quasi 2500 italiani che vivono nel Paese. Le tasse sono di grande favore, la vita costa un terzo rispetto all'Italia, l'offerta di cultura è enorme e accessibilissima. L'Ungheria, dopo la Bulgaria, per i pensionati è al vertice del gradimento. Però Budapest è anche la città della gioventù. Ma attenzione. Gioventù straniera e di passaggio. Le multinazionali, viste le condizioni, stanno trasferendo le proprie sedi europee proprio in Ungheria. E assumono, ovviamente con contratti interessanti ma quasi sempre a tempo determinato. I ragazzi arrivano, per lavorare o per studiare (le università sono di livello elevato). La sera riempiono locali ricavati nelle case di ringhiera disabitate, che sono una via di mezzo tra la discoteca e il pub. Ma alla fine, se ne vanno a cercare fortuna altrove. E lasciano un Paese bellissimo, ma sempre più vecchio è sempre più stanco.


[ Antonio Ferrari ]