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16 Dezember 2014

Riccardi: «Il Terzo Settore argina i clan»

Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio giovedì parteciperà alla presentazione di «Corriere Sociale»

 
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Fondatore, nel '68, della Comunità di Sant'Egidio, professore universitario di storia contemporanea, ministro della Cooperazione internazionale e dell'Integrazione nel governo Monti, Andrea Riccardi è uno dei maggiori esperti italiani del Terzo Settore e giovedì parteciperà a Napoli alla presentazione di Corriere Sociale, il nuovo mensile del Corriere del Mezzogiorno dedicato al volontariato.
Professore, secondo lei, otto anni di crisi recessiva, che hanno messo a nudo le carenze strutturali dell'Azienda Italia, hanno anche fatto emergere con chiarezza le potenzialità economiche del Terzo Settore, che oggi rappresenta una concreta valvola per lo sviluppo del Paese?
«Senza alcun dubbio. Il Terzo Settore attualmente è un decisivo punto di incrocio tra servizi, cultura della solidarietà, motivazioni etiche, know how e professionalità. Quest'equilibrio di fattori è davvero molto importante. In quanto dimostra che, al di là delle perversioni che pure esistono in questo mondo, come i recenti fatti di Roma dimostrano, si sta affermando un modello innovativo in grado di raccogliere competenze e bisogni. Modello che rappresenta un forte collante, in particolare nei momenti di crisi come l'attuale».
Anche i numeri di quanti, direttamente e indirettamente, lavorano per il welfare sociale ormai sono consistenti. Eppure lo Stato, con la legge di stabilità 2015, aumenta la tassazione sul Terzo Settore. Lei che ne pensa?
«L'occupazione in quest'ambito è davvero un'opportunità rilevante. Anche per questo ritengo che lo Stato debba tenere ben presente le dimensioni del Terzo Settore e aiutare questa realtà a crescere e ad affermarsi, invece di penalizzarla».
Emerge un dato interessante e in controtendenza nella realtà meridionale del Terzo Settore: sono pochi gli investimenti pubblici nel welfare sociale, complice la crisi, invece, aumenta la disponibilità dei privati a investirci nel Sud. Lei come lo interpreta?
«Io vedo aspetti molto positivi nella realtà del Sud. Il Terzo Settore rappresenta una forma di artigianato sociale e si sposa molto bene con le caratteristiche più intrinseche della società meridionale. Anche se parlare di Mezzogiorno come unicum è sempre difficile, perché vi sono situazioni molto differenti una dall'altra. Un fatto è certo: in alcune aree, come per esempio la Campania, il privato sociale sta affrontando situazioni come quelle degli anziani che, altrimenti, sarebbero lasciati in balia di sé stessi».
Lei è il fondatore della Comunità di Sant'Egidio: cosa fa per il Sud questa importante realtà della solidarietà?
«Sant'Egidio è presente a Napoli dal lontano '73, anno in cui scoppiò il colera. Da allora si è espansa sempre più al Sud, in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. Ciò che nel Mezzogiorno vedo molto positivamente è proprio il proliferare di questa rete di solidarietà nel segno della gratuità. Lei pensi quanto è stato fatto e si sta facendo per i bambini in tema di scolarizzazione, per affrontare i nodi più drammatici della povertà e anche della fame. E quanto si realizza per gli anziani, oggi che sta scomparendo la grande famiglia meridionale, per cui, con la crisi, molti di loro restano soli».
Quindi, al Sud c'è più rete di solidarietà rispetto al resto d'Europa? 
«Certamente c'è meno individualismo rispetto alle altre società europee. E stiamo scoprendo una gran voglia di lavorare in rete con gli altri, cosa di cui si avverte sempre più il bisogno non solo nel Mezzogiorno ma più in generale della periferie urbane delle grandi città globalizzate. Il Terzo Settore nella società meridionale, inoltre, è un importante argine alla criminalità organizzata, in quanto si propone in alternativa a essa come "altra forma di solidarietà"».
Professor Riccardi, ci si chiede spesso perché il mondo dell'informazione sia troppe volte assente sui temi del welfare sociale. Ora, con quest'iniziativa editoriale che parte al Sud, il «Corriere», da sempre attento ai problemi del Terzo Settore, cerca di ovviare a questa carenza. Come giudica tale sforzo?
«Il sociale non fa notizia, si sa. Le buone news non attraggono i media. Eppure tutti noi dovremmo abituarci a leggere questi fatti così come leggiamo quelli, per esempio, che riguardano la salute, sviluppando una forma di curiosità per certi aspetti della vita, perché ci riguardano da vicino. E il Corriere ha senza alcun dubbio il know how per realizzare un'ampia e approfondita informazione sul sociale».


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