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10 Januar 2015

Gli imam unanimi contro il terrorismo

«La parola va combattuta con la parola». Ma «non si offendono i simboli religiosi».Alla moschea di Cascina Gobba la solidarietà e l'amicizia della Comunità di Sant'Egidio. Alla Casa della Carità incontro interreligioso

 
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Il giorno dopo il massacro di Parigi, la preghiera del venerdì, alla moschea di Cascina Gobba, è ancora più affollata. Giovani uomini si affrettano all'uscita della fermata metropolitana alle porte di Milano, sul confine con Cologno Monzese. Alcuni sono anche con mogli e bimbi piccoli (ma le donne sono sempre poche, qui, nel vecchio magazzino trasformato in moschea grazie ai fondi raccolti dai credenti). Ma quello di ieri è un appuntamento diverso, perché ci sono anche i cristiani, Alcuni rappresentanti della Comunità di sant'Egidio di Milano hanno infatti voluto portare la loro solidarietà ai «fratelli musulmani». Il sermone, come sempre, è in arabo e poi in italiano. Ma quello di ieri è tutto rivolto alla tragedia parigina.
«È un atto vile e osceno - dice Mohammed Maher Kabakebji, presidente e imam della moschea di Cascina Gobba rivolgendosi ai 500 fedeli presenti - che nuoce soprattutto all'islam. Qualsiasi atto di terrorismo va condannato, per qualsiasi motivo». «Maometto nella sua vita ha subito giustizie peggiori delle vignette - aggiunge l'imam - la parola va combattuta con la parola non con le pallottole. La falsità va combattuta con il ragionamento». Ma quello che tutti temono in questo momento è l'islamofobia. La tragedia di Parigi rischia di compromettere ulteriormente l'equilibrio precario delle relazioni fra la realtà musulmana e la cittadinanza milanese. «Siamo passati da un'esperienza all'altra, dall'IS a Parigi - ammette un fedele - sono eventi che ci angosciano e ci demoralizzano». «In Italia l'islamofobia la subiamo solo da alcuni politici - aggiunge l'imam -. La popolazione invece  è con noi. E noi dobbiamo essere ambasciatori di pace in Europa. L'islam può essere una ricchezza per questo continente».
La pensano così anche i giovani. Le seconde generazioni nate in Italia da immigrati del Nord Africa, dal Marocco alla Tunisia, dall'Algeria al Senegal. Sono loro i principali frequentatori dei luoghi di culto. Persone perfettamente integrate che temono però di subire nuove discriminazioni. «Abbiamo paura che la gente se la prenda con gli innocenti - ammette Omar, 21 anni, studente universitario nato a Milano da genitori immigrati dal Marocco - la nostra preoccupazione è che alcuni fanatici, come in Francia, possano prendere di mira le moschee».
La condanna ai fatti di Parigi è unanime. Ma nessuno se la sente di dire «Je suis Charlie» per sostenere l'attività del settimanale satirico, colpito al cuore mercoledì. «È un atto ingiustificabile quello che è stato fatto - aggiunge l'imam - ma non possiamo sostenere chi offende un simbolo religioso».
Al termine della preghiera, Ulderico Maggi, rappresentante della Comunità di Sant'Egidio, prende la parola per «esprimere amicizia e affetto» ai musulmani. «Di fronte ai fatti tragici di Parigi come credenti figli di Abramo non possiamo che stare uniti e pregare l'unico Dio - ha detto Maggi -. Insieme dobbiamo lavorare per dare ai più giovani la forza di resistere al male». E ieri pomeriggio, alla Casa della Carità, si è tenuto un incontro interreligioso di preghiera. Gli imam delle principali moschee della città si sono raccolti in via Brambilla insieme agli ospiti di don Virgilio Colmegna per pregare per le vittime di Parigi.


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