Elias ha passato dieci mesi nel Cara di Mineo, in attesa. Perché non c'è altro che possano fare i profughi e richiedenti asilo fino a quando non ottengono i documenti. Un'attesa vuota e spesso snervante. Che Elias, grazie all'aiuto della Comunità di Sant'Egidio di Catania, ha potuto trasformare in qualcosa di diverso. «Tutte le settimane vado a trovare gli anziani alla casa di riposo - racconta -. Passo un po' di tempo con loro, li ascolto. Poi, la sera, aiuto a portare cibo alle persone che dormono per strada».
Ventisei anni, ghanese, Elias fa parte di un gruppo di 60-70 richiedenti asilo che da due anni collaborano regolarmente con la Comunità di Sant'Egidio di Catania. «Non è un progetto creato a tavolino - spiega il responsabile Emiliano Abramo -. Siamo entrati al Cara di Mineo per portare aiuti materiali e abbiamo trovato innanzitutto una domanda di spiritualità molto forte». Così è nata l'esperienza della preghiera comunitaria, organizzata una volta alla settimana all'interno del Cara, assieme al coinvolgimento dei profughi nelle attività a favore dei più deboli: anziani, bambini e senzatetto. Elias racconta di sentirsi "arricchito" dai racconti e dai sorrisi degli anziani che visita ogni settimana. «Sono persone ricche di esperienza, ho avuto molto da loro. E io sono felice quando sto con loro».
Esperienze come quella di Catania permettono di leggere "l'emergenza" immigrazione sotto una luce diversa. In un'ottica di restituzione, di dono di sé e del proprio tempo come primo passo per una vera integrazione attraverso la costruzione di legami, amicizie. Condivisione di valori e impegni per una città che - in futuro - potrebbe anche diventare casa.
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Ilaria Sesani
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