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22 April 2015

Sant'Egidio. Corridoi umanitari anti-naufragi

La proposta, lanciata con le Chiese evangeliche, sarà autofinanziata coi fondi della Comunità e dell'8 per mille

 
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Mai più «giri della morte». Per evitare che gli uomini in fuga dalle guerre e dalla fame si affidino ai nuovi schiavisti, rischiando la vita, servono postazioni umanitarie che accolgano e vaglino le richieste per poi organizzare viaggi sicuri in Europa. Dopo l'ultima tragedia al largo della Libia, la Comunità di Sant'Egidio lancia la proposta di istituire corridoi umanitari. Un piano operativo totalmente autofinanziato da fondi raccolti dalla Comunità stessa e dal supporto dell'8 per mille della Federazione delle Chiese Evangeliche. E percorribile giuridicamente grazie all'articolo 78 del trattato di Lisbona sull'Unione Europea, che prevede la deroga dell'Accordo di Schengen.
A lanciare la proposta è il presidente di Sant'Egidio Marco Impagliazzo, presentando il convegno «Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?», che si terrà a Bari dal 29 al 30 aprile, organizzato assieme all'arcidiocesi. Il primo "summit intercristiano" per affrontare il dramma delle minoranze religiose perseguitate, soprattutto in Siria e Iraq. «Per superare l'emergenza - spiega il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi - dobbiamo partire dall'ascolto della realtà, dando la parola ai protagonisti, i capi delle Chiese cristiane d'Oriente, che vedono in discussione la loro presenza nelle terre in cui sono presenti da secoli, prima ancora dei musulmani».
È Impagliazzo a spiegare la proposta umanitaria: «Si tratta di aprire un canale umanitario in Marocco e in Libano, collegato ai consolati europei, al quale si possano rivolgere i richiedenti asilo per ottenere un visto che consenta di affrontare in sicurezza il viaggio verso la salvezza». L'ipotesi di sperimentare questi humanitarian desk, dice il presidente di Sant'Egidio «è già prevista dagli accordi di Schengen e dallo stesso Trattato di Lisbona che prevede una forma di "protezione sussidiaria e temporanea" per chi fugge da guerre o da calamità naturali. In questo modo si potrebbe assicurare una via di transito sicura e protetta ai profughi verso l'Europa».
«Distruggere i barconi e colpire i trafficanti è senz'altro opportuno», concorda Riccardi, ma bisogna creare un'alternativa sicura, lavorando poi nel lungo termine alla stabilizzazione della Libia e della Siria. Impagliazzo ricorda che «da gennaio a oggi su 133 sbarchi in Italia, 104 sono stati generati in Libia e che su 17 mila profughi sulle nostre spiagge, 14 mila provenivano dalle coste libiche». E rivela che la Comunità ha in corso contatti sia col governo ufficiale di Tobruk che con quello di Tripoli, non riconosciuto a livello internazionale: «Stiamo lavorando con i nostri contatti e qui a Roma sono state, in modo riservato, le delegazioni di tutte le parti libiche in conflitto. Abbiamo chiesto a Tripoli un segnale di buona volontà sugli sbarchi. Intanto hanno accettato di farsi carico di dare degna sepoltura alle vittime di questa strage». 


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