"In un mondo avvelenato dalla nevrosi, a guarirci sono i gesti dell'amore"

Mons. Gnavi, assistente della Comunità di Sant'Egidio, interviene il 1° luglio ai Teatini

"Vedo sempre dei barboni che stanno lì sotto i portici. Uno l'ho conosciuto... Lui sta sempre da solo e sta male per strada. Ultimamente non c'ho più parlato perché ci avevo un po' più di paura. Mi sa che la paura fa diventare cattivi, pure a me. I poveri sono tanti che non c'hanno una casa, la gente li vede ma fa come se fossero trasparenti".
Nel suo gergo romanesco Roberto, una delle persone disabili coinvolte nella Comunità di Sant'Egidio, racconta così il suo incontro con un barbone nel tragitto da casa al lavoro. A riportare la sua riflessione nel libro "Elogio dei poveri in un tempo in cui i poveri fanno paura" (Ed. Mondadori) è mons. Marco Gnavi, assistente ecclesiastico generale della Comunità, responsabile dell'Ufficio per il dialogo interreligioso e l'ecumenismo della diocesi di Roma e parroco in Santa Maria in Trastevere. Classe 1959, era un liceale della Roma borghese quando, nel '74, conobbe l'esperienza della Comunità e un'amicizia capace di andare oltre le paure. Ed oggi, a far paura, è la povertà nelle sue più svariate forme: immigrazione, crisi economica, solitudine, malattia...
"Desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci", scrive Bergoglio nella "Evangelii Gaudium". Monsignor Gnavi - che il 1° luglio alle ore 21 è a Piacenza alla sala dei Teatini per parlare della "Chiesa di papa Francesco" - vede ogni giorno la verità di queste parole. La vede negli anziani, nei disabili, nei senza tetto che partecipano della vita della Comunità di Sant'Egidio. Nel suo libro declina entro la millenaria sapienza della Chiesa, dai Padri dei primi secoli ai testimoni del nostro tempo - volti ed incontri. Lo fa quasi per dimostrare che non è un'utopia quella che papa Francesco indica, ma una realtà possibile e concreta. "I poveri sono maestri di umanità, anche quando sono sfigurati e induriti - sottolinea -: ricevendo nuovamente il loro nome nell'amore, ci hanno mostrato cosa significa risorgere dalla morte, e sono divenuti profeti di speranza".
Cita il pranzo di Natale che ogni anno la Comunità organizza in Santa Maria in Trastevere come in numerose altre chiese, stazioni, strade, carceri ed ospedali di 74 Paesi del mondo. "Ogni volta - scrive - ci stupiamo di questa epifania dell'amore, per la gioia di chi serve e di chi è servito, confusi in uno stesso popolo. Intere famiglie e giovani che nulla sanno del Vangelo (così in Paesi a maggioranza islamica o in contesti asiatici, in presenza di religioni orientali maggioritarie), ne hanno intuito la bellezza attraverso i gesti, la preparazione, il servizio. In un mondo avvelenato dall'impazienza e dalla nevrosi - puntualizza l'assistente generale della Comunità di Sant'Egidio - i gesti dell'amore, la preparazione della tavola, la pazienza, la meticolosità premurosa, l'ascolto, l'accoglienza, rendono il tempo gioioso e sacro".
È una rivoluzione che avviene senza far clamore. "Se un povero e un ricco siedono assieme in una città che li vuole rigorosamente separati - prosegue mons. Gnavi - ci deve essere una lingua comune più profonda, una ragione più vera. Il Vangelo è questa ragione più vera. Le lettere del suo alfabeto sono i gesti dell'amore: alfabeto universale, che da tutti può essere appreso. Quest'alfabeto offre un protagonismo vero e rapporti reali, non virtuali"


[ B.S. ]