«Dalla Siria alla Cattolica, In fuga dai carcerieri Isis» Le storie dei cinque profughi cristiani «adottati» dall'università

Università Cattolica
«Ogni giorno ci chiedevano di convertirci o di pagare. Sono riuscito a scappare». Storia di Toufik e di altri quattro studenti siriani, fuggiti dai territori dell'Isis e «adottati» dall'università Cattolica fino alla laurea.

Nel salone del rettorato, all'università Cattolica, Toufik a voce bassa racconta dei suoi giorni da prigioniero dell'Isis in Siria: «Fui sequestrato con padre Jacques Mourad nella comunità cristiana vicino a Homs, era agosto dello scorso anno. Ci portarono in un edificio fuori città, eravamo 250, anche donne, anziani, bambini. Ogni giorno ci chiedevano di convertirci o di pagare per uscire e stare a Qaryatayn, sotto assedio. Altrimenti saremmo stati uccisi. Io sono riuscito a scappare come padre Jacques e la città dove era stata portata la mia famiglia dopo è stata liberata». C'è Toufik e ci sono altri quattro studenti siriani arrivati a Milano da pochi giorni, al saluto con il rettore dell'ateneo Franco Anelli che li ha voluti qui «adottati» dalla Cattolica fino alla laurea, dopo un incontro con padre Jacques Mourad, monaco della comunità di Mar Musa fondata dal padre gesuita Paolo Dall'Oglio, rapito a Raqqa nel 2013 e non ancora rilasciato.
Tre ragazzi e due ragazze, vivranno nei collegi universitari e seguiranno i corsi a Milano e a Piacenza: Lettere, Scienze politiche, Scienze motorie, Agraria. Dopo Toufik si presenta Nour che inizia a dire della vita nella sua città, Hama, e della guerra, di un fratello diciottenne «che adesso finisce le scuole e dovrebbe andare a combattere» e li si ferma per l'emozione e gli altri ragazzi anche se si conoscono appena, subito le sono attorno, la portano fuori, «troppo presto per lei». Parla allora Kenan, del suo impegno come volontario in un campo profughi del Jesuit refugee service ad Aleppo, di come ha lasciato la Siria un anno fa «quando avrei dovuto fare il servizio militare ma sono riuscito ad andare in Libano e iscrivermi all'università di Beirut e da lì arrivare qui» e dice che a Milano vorrebbe creare una piccola comunità per aiutare chi è in Siria. «Perché per noi è un'opportunità essere qui ma è anche difficile, pensiamo alle nostre famiglie che sono in un Paese dove da anni ormai è difficile vivere».
Lo ripete anche Pali che a Homs ha lasciato mamma, papà e tre fratelli e dice di come anche lo sport può aiutare la Siria, lui che è giocatore di calcio, portiere nella squadra della città e nella nazionale giovanile «e allenatore dei giovani rifugiati». E parla delle sue sorelle più piccole: Ola, lei già laureata in ingegneria e programmatrice alla Central bank of Siria che qui studierà giornalismo: «Così forse posso cambiare le cose -, dice -. Il ruolo dei media è stato uno dei problemi più grandi nel conflitto siriano, non raccontano la realtà e anche se c'è Internet e tanti giovani provano a far passare la verità, i media sono più forti». «Dopo la laurea - aggiunge - tornerò subito in Siria».
«Ed è questa l'idea nata da un mio incontro un anno fa a Roma con padre Jacques - spiega il rettore della Cattolica - Dare ai giovani una formazione qualificata perché sia strumento utile quando saranno nel loro Paese per la ricostruzione. È un aiuto concreto che possono dare gli atenei. Speriamo che il modello sia replicato anche da altre università, noi contiamo di andare avanti». Intanto sono arrivati i primi cinque universitari. «Per loro tasse azzerate, ospitalità nei collegi e una borsa di tremila euro - spiegano in ateneo -. La diocesi poi ha affidato gli studenti ad altrettante famiglie milanesi e la Comunità di Sant'Egidio li ha inseriti nei corsi di italiano».


[ Federica Cavadini ]