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3 Januar 2010

Mons. Vincenzo Paglia - Comunità di Sant Egidio

"L'economia dei singoli non ha futuro"

 
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Perché Papa Benedetto XVI ha scelto di venire alla mensa dei poveri della Comunità di Sant'Egidio a Via Dandolo per mangiare insieme a loro?

«Lo abbiamo invitato un dare un segno concreto di cosa significa un Natale vero. Ossia la scelta di guardare il mondo a partire dai più deboli. Testimoniano la vicinanza familiare di Benedetto XVI con i poveri. Il Papa è stato come travolto, non dalla violenza di chi gli si butta addosso, ma dalla tenerezza dei bambini rom, dei giovani afghani fuggiti dalla guerra, delle donne africane bruciate dal dolore delle loro situazioni. Con il cuore toccato, ha detto riprendendo le parole del Diacono Lorenzo: "Voi siete il tesoro della Chiesa". Era un presepe alla rovescia, la mensa comune è davvero come la grotta di Betlemme. Lì c'era un'antica stamperia di Lotta Continua, ora i poveri si ritrovano quotidianamente per mangiare. Il Papa è stato davvero un buon pastore, è andato nella grotta»

Il gesto ha a che vedere con l'ultima Enciclica «Caritas in ventate»?

«Ne è l'icona. In quel gesto si manifesta la sostanza dell'Enciclica. Ossia il "dono", l'amore gratuito come motore della stessa economia».

In che senso l'economia, don Vincenzo?

«Il procedere economico e finanziario non è regolato unicamente dal profitto, ma anche da quella dimensione del "dono gratuito", che è proprio dell'etica del bene comune. Un'economia che non tenesse conto del bene comune di tutti, a partire dai più deboli, e quindi indirizzato solo al godimento dei singoli o di gruppi, è destinata ad implodere come è accaduto nella recente crisi, che ancora fa sentire i danni. Il Papa insiste sull'amore fin dalla prima Enciclica. Apparentemente è diverso dal suo predecessore, Giovanni Paolo II, in verità, ascoltando quanto dice, sembra interessarsi molto ai grandi temi del mondo contemporaneo. E' tra i pochi, se non l'unico, tra i leader della terra, ad avere e a professare una visione per il futuro del pianeta».

Quale visione?

«Quella che emerge nell'ultima Enciclica e resta, anche a parere di molti studiosi, un programma "politico planetario". Purtroppo il fallimento, la pochezza dei diversi vertici internazionali, penso a quello della Fao sulla fame nel mondo e a quello di Copenhagen sul clima, non avvengono per un avverso destino, ma per la mancanza di visione universale da parte dei diversi leader politici, ripiegati negli orizzonti dei propri paesi. Il Pontefice vuole portare in primo piano le questioni africane, lo scorso anno. Non solo ha convocato a Roma per tre settimane 240 vescovi africani per discutere la situazione dei paesi del Continente, ma lui stesso, unico leader internazionale, per una settimana intera ha visitato alcuni paesi dell'Africa. Richiama tutti ad alzare lo sguardo e a sognare una nuova guida a tutti i popoli della terra».

Un simbolo forte di questo desiderio di unità e di rispetto potrebbe essere la visita del Papa alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio?

«Senza alcun dubbio. Vorrei legare idealmente questa visita al viaggio che nel mese di maggio scorso il Papa ha fatto in Terra Santa».

Che cosa significa la visita alla Sinagoga?

«La visita in Sinagoga conferma l'irreversibilità del nuovo cammino che vede la Chiesa cattolica e il popolo ebreo uno accanto all'altro. Su invito dello stesso Papa, ad esempio, ebrei e cattolici in Italia stanno riflettendo da alcuni anni sul comune patrimonio dei Dieci Comandamenti. Certo non sono mancate increspature nei rapporti ma è ormai salda la convinzione di coappartenersi nella responsabilità comune di proclamare ad un mondo uscito da Dio la comune paternità di Dio che sola permette ai popoli di riconoscersi fratelli».

Quest'anno il Papa ha voluto rendere omaggio agli artisti di tutto il mondo nella Cappella Sistina. Un desiderio di riappropriarsi della cultura, dell'arte, della bellezza nel seno stesso della Chiesa?

«Si rafforza la continuità con il magistero degli ultimi Papi. Paolo VI ebbe un incontro con gli artisti, Giovanni Paolo II scrisse una lettera agli artisti in occasione del Giubileo. Benedetto XVI con le sue qualità di studioso dell'armonia del teatro, della bellezza della liturgia e della musica e con amore pastorale, ha chiesto agli artisti un aiuto effettivo perché gli uomini possano riscoprire l'autore della bellezza, della bontà e dell'armonia. Sa bene che l'incontro con Dio più che la conclusione di un freddo sillogismo razionale è il coinvolgimento totale della persona umana nello straordinario, ricco e salvifico mistero. Per l'anno nuovo vorrei augurare, sulla scia del messaggio del Papa per la Giornata della Pace, che cresca nel cuore degli uomini e nell'ambiente un'atmosfera più serena e più solidale. E questo può partire dall'impegno personale di ciascuno di noi. Diceva un antico sapiente ebreo: "Se vuoi cambiare il mondo inizia a cambiare il tuo cuore"».


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