Con il pensiero alla "tragica strage di Parigi" il Papa si appella a "tutti i leader religiosi, politici e intellettuali, specialmente musulmani, (affinchè) condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza". L'incontro tradizionale con il corpo diplomatico è per Francesco l'occasione di testimoniare una leadership morale che invita la comunità internazionale - in particolare le Nazioni Unite - ad assumere le proprie responsabilità per ricreare pace e coesistenza in un pianeta lacerato da conflitti.
Non esistono unicamente i propri problemi, i propri lutti - intende papa Bergoglio - c'è da rivolgere lo sguardo ad una umanità ferita da violenze, stragi e brutalità in molto luoghi. Perché è in corso, ricorda, una "vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzetti". E bisogna reagire con un'azione comune. (In questo quadro l'assenza di un alto rappresentante statunitense alla marcia di Parigi rimarrà una pagina incomprensibile e brutta). Così da Parigi lo sguardo del pontefice spazia all'Ucraina, alla Siria e all'Irak teatro di azioni "agghiaccianti" compiute dal terrorismo fondamentalista, al Medio Oriente dove si perseguitano i cristiani insieme ad altre minoranze, alle stragi in Pakistan e in Nigeria, ai conflitti intestini in Libia nel Congo democratico, nella Repubblica Centro-africana, nel Sudan nel Corno d'Africa.
È un discorso che pungola i leader delle nazioni a sfuggire all'illusione che qualcosa accada in un remoto "altrove". No, sottolinea Francesco, c'è una cultura dell'"asservimento", del non rispetto della dignità dell'Altro che va contrastata ovunque.
Una "cultura dello scarto" che rende l'essere umano da libero a schiavo. "Schiavo di mode, potere, denaro e persino forme fuorvianti di religione". Sul fondamentalismo Francesco è netto, respingendo qualsiasi tentazione di scontro di civiltà e smascherandone la natura manipolatoria. Il fondamentalismo - spiega - scarta l'umanità dell'Altro e, "perpetrando massacri orrendi, rifiuta Dio stesso, relegando la religione a mero pretesto ideologico". Una definizione stringente.
Un pensiero particolare il Papa lo dedica alla speranza che i leader israeliani e palestinesi riprendano il negoziato per rendere finalmente "effettiva" la soluzione dei due Stati "entro confini chiaramente stabiliti e riconosciuti internazionalmente".
C'è anche la mano del Segretario di Stato cardinale Parolin in questa terminologia così ponderata. E c'è da parte del Papa il delicato, implicito suggerimento al governo Netanyahu a non credere che la lotta al jihadismo possa essere utilizzata per continuare l'occupazione della Palestina.
All'Italia il pontefice riserva l'augurio a non cedere alla tentazione della cultura dello scontro, ma di riscoprire i valori della solidarietà. Al di là del discorso c'è un elemento che le tragiche e tumultuose giornate appena trascorse hanno velato. Se mai come prima si è assistita ad un'ondata di condanna degli attentati di Parigi da parte di importanti enti e leader islamici - l'università di Al-Azar (il Vaticano sunnita), la Lega araba, il Consiglio internazionale degli Ulema, Hamas, Hezbollah, l'Iran - ciò è anche frutto della politica instancabile di dialogo interreligioso che Giovanni Paolo II inaugurò ad Assisi nel 1986, che Sant'Egidio ha portato pazientemente avanti, che Francesco ha ripreso con slancio per isolare i fanatici, che abusano del nome di Dio.
È stata una semina trentennale. Chi (come la Fallaci) insultava Wojtyla definendolo debole, non è stato un profeta, ma un cieco.
Marco Politi
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