Siamo debitori all'abate benedettino dom Anscar Vonier (1875-1938) di un'espressione chiave della riflessione e della predicazione di papa Francesco: la «mondanità spirituale». Al cardinale Bergoglio il concetto arriva per il tramite di Henri-Marie de Lubac (1896-1991), come lui gesuita.
Nato a Ringschnait, nel Wurttemberg, in Germania, Vonier fu eletto abate di Buckfast, in Inghilterra, nel 1906, e vi morì il 26 dicembre 1938. «Il Papa - scrive Andrea Riccardi in La sorpresa di papa Francesco - ha presente in modo particolare una delle ultime pagine del libro di Henri de Lubac, Meditazione sulla Chiesa (a lui molto caro), dove si legge: "E il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo Chiesa, la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce, insidiosamente, allorché tutte le altre sono vinte, alimentata anzi da queste stesse vittorie, è quella che dom Vonier chiamava 'mondanità spirituale"».
Il libro di De Lubac è del 1953. Vonier scrive invece nel 1935, nel libro Lo Spirito e la Sposa: una riflessione ecclesiologica (lo Spirito Santo si può conoscere in relazione alla Chiesa) che individua il concetto di "mondanità spirituale" in relazione al nazionalismo oltre che al rischio di carrierismo di ogni cristiano e all'idea che la storia possa farsi senza Dio. Subito viene da pensare a quanto disse papa Francesco nella messa con i cardinali il 14 marzo 2013: «Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce e quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore».
Tutto questo è prefigurato anche nel testo di Vonier, per molti versi una riflessione pacata ma netta che invita insistentemente ad aprire gli occhi sul nazionalismo e sul razzismo. Il libro viene pubblicato in Italia nel dopoguerra, nel 1949, dalla Libreria editrice fiorentina, a cura di Renzo e M. Cecilia Poggi. Lef lo ristamperà in una nuova edizione che uscirà la prossima settimana.
Per Vonier, dunque, il pericolo di "mondanità" è sempre presente. Quando «noi ne parliamo come di una grave insidia, intendiamo riferirci a qualcosa di più sottile di quanto solitamente si esprime con quel termine. Per "mondanità" nella vita della Chiesa, si intende comunemente quell'amore delle ricchezze e dei piaceri che si trova talvolta negli alti dignitari ecclesiastici: un male sicuramente, ma certo non il più grave. La mondanità spirituale, quando dovesse impadronirsi della Chiesa, sarebbe ben più disastrosa». Cosa intende allora Vonier? «Quell'atteggiamento che, in pratica, si presenta come opposto all'altra mondanità, ma il cui ideale morale, diremo meglio spirituale, sarebbe, invece che la gloria del Signore, il vantaggio dell'uomo. Un atteggiamento radicalmente antropocentrico; ecco la mondanità dello spirito. Essa potrebbe divenire una colpa addirittura irremissibile nel caso, meramente ipotetico, di un uomo dotato di tutte le perfezioni spirituali, ma che non le volesse riferire a Dio».
È un tema che era stato sviluppato con accenti diversi da Dostoevskij nella "Leggenda del grande inquisitore" in I fratelli Karamazov (1879), nel Racconto dell'Anticristo di Vladimir Solov'év (1900) e nell'avveniristico Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson (1907). Vonier avverte negli anni di Lo Spirito e la Sposa il pericolo della declinazione nazionalista della spiritualità: «Un esempio lampante di quello che significherebbe l'abbandono dello Spirito, è dato dal nazionalismo, quando a esso sia dato di organizzare completamente la Chiesa secondo la sua logica .. Proprio i violenti conflitti tra la Chiesa e il razzismo, tra la Chiesa e il nazionalismo, stanno a indicare il punto di demarcazione tra lo spirito umano, tutto preso di sé, e lo Spirito Santo disceso dal cielo, per elevare al cielo tutti quanti gli uomini».
Già nelle prime pagine del libro, Vonier individuava questo filone nevralgico: «Non sarebbe meglio lasciare alla razza e al sangue il posto che meritano, innestare la fede cristiana sulle nazionalità, senza pensare a qualcosa di più che una chiesa nazionale, dal momento che ogni piano più ambizioso è destinato a fallire? Perché racchiudere razze diverse e contrastanti nel seno di un'unica madre spirituale, la Chiesa? Non si capisce che una nazione o un popolo, sotto la guida benevola di un principe temporale, costituirebbe una porzione quanto mai edificante del gregge di Cristo, quando gli si lasciasse intendere la fede a suo modo, senza curarsi di quello che possano immaginare gli altri cristiani, aldilà delle sue frontiere, al di là delle sue frontiere politiche?». Parole attualissime, laddove il nazionalismo si è manifestato o si manifesta in Paesi prevalentemente cristiani per tentarli alla forza attraverso il culto dell'appartenenza etnica.
MICHELE BRANCALE
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