Si intitola «La strage dei cristiani», pubblicato dalle Edizioni Laterza, ed è l'ultimo libro del professor Andrea Riccardi, storico del Novecento e fondatore della Comunità di sant'Egidio.
Il libro racconta la storia dei massacri dei cattolici armeni nella città di Mardin nell'est della Turchia oggi al confine con la Siria, una strage dimenticata all'interno del genocidio negato degli Armeni.
Spiega Riccardi: «Ricostruire la storia di quei fatti non vuol dire incrementare la contrapposizione tra i popoli o le religioni, ma serve solo a capire il Novecento e la sua lunga fila di drammi e stermini».
Eppure i turchi hanno protestato con durezza contro il Papa e la Santa Sede. Ha fatto bene Bergoglio? «Assolutamente sì. Il suo non è stato un attacco alla Turchia, ma un passo verso la verità storica. Ha forzato il blocco, ha aperto un processo, ha spiegato che bisogna uscire da un dibattito prigioniero del passato, perché i turchi di oggi non sono quelli di cento anni fa e dunque bisogna scrivere una storia nuova».
Però il Papa ha anche sbaragliato la tradizionale cautela della Santa Sede.
«Le posizioni personali di Bergoglio erano note. Da arcivescovo di Buenos Aires aveva già invitato la Turchia a riconoscere il genocidio. La Turchia pensava forse che da Papa sarebbe stato più prudente. La Chiesa cattolica ha taciuto fino a Giovanni Paolo II, che per primo ha parlato di genocidio e di martirio del popolo armeno. Ci furono polemiche, ma poi ha prevalso ancora la cautela fino a domenica scorsa. Adesso il Papa ha deciso di dare una svolta perché considera la Turchia un luogo privilegiato del vivere insieme e dunque di memorie condivise».
Come si fa a stabilire la verità storica?
«Io non credo alle commissioni paritetiche di storici. Si può discutere sui numeri, ma non si può negare che alla fine della Prima guerra mondiale era sparito un intero popolo, quello armeno cristiano, attraverso lo sterminio e la pulizia etnica con conseguente distruzione o trasformazione degli edifici anche sacri. Il negazionismo storiografico è un'impresa impossibile perché sono tanti i documenti e le testimonianze di ciò che è accaduto che è impossibile negarlo».
Perché Ankara insiste?
«Per le proteste ci sono ragioni politiche. Erdogan e il suo partito islamico moderato avevano in passato dato segnali di apertura sulla questione armena. Adesso invece ha chiuso ogni porta di dialogo perché teme di perdere voti alle prossime elezioni politiche del 7 giugno a favore del partito nazionalista. Ma la società turca è più incline e sensibile dopo tanti anni a scoprire la verità sul passato che continuare a negare».
Ma leggi che condannano chi parla di genocidio sono ancora in vigore.
«È vero, tuttavia oggi si parla di quei fatti, mentre per decenni nel Novecento erano argomenti tabù. La colpa non è del popolo turco, ma del fanatismo musulmano e di quello dei Giovani Turchi, il partito di Ataturk. Loro sono responsabili del genocidio. E poi bisogna fare un'altra distinzione, perché un conto è il concetto giuridico di genocidio, quello per esempio che è stato negato per i musulmani a Srebrenica, un altro è il concetto storico, che la società ricorda e tramanda anche privatamente nelle memorie, negli scritti, nelle testimonianze. È su quest'ultimo che la Turchia deve potersi ritrovare».
Ci sono segnali?
«Molti e da tempo. E serviranno anche per ripristinare la memoria di tanti giusti musulmani che hanno salvato i cristiani dai massacri, come accadde per gli ebrei con i Giusti di Israele. La Turchia non può negare che esistano anche loro».
La Turchia nega perché teme che gli armeni chiedano la restituzione dei beni e i risarcimenti?
«È un problema che indubbiamente pesa sulla serenità con cui si affronta questa storia. Dieci anni fa il governo ha proibito la pubblicazione on line del catasto, tradotto dall'ottomano, per scongiurare la ricerca sulle proprietà».
E la storiografia?
«Dopo l'assassinio nel 2007 di Hrant Dink, il giornalista turco armeno direttore di Agos, pubblicato in turco e armeno per cercare di avvicinare memorie diverse, alcuni storici hanno fatto autocritica. Il più importante è Hassan Cemal, che ha pubblicato due anni fa un libro con il titolo "1915: Il genocidio armeno" diventato un best-seller. Suo nonno era uno dei triumviri dei Giovani Turchi che pianificarono le stragi. Dink non era un apologeta della causa armena, ma si interrogava sul futuro comune della Turchia e sulla complessità di una società che per vivere insieme e costruire il pluralismo deve tenersi alla larga delle semplificazioni ideologiche e nazionalistiche»
Alberto Bobbio
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