Pompei. «Il Vangelo si vive accanto ai poveri»

Monsignor Gnavi alle catechesi "giubilari" nel Santuario mariano campano: convertirsi a Dio significa convertirsi agli ultimi che «ci aiuteranno a essere più coraggiosi e più liberi». I credenti «attori privilegiati» di speranza in un mondo «carico di paure»

«Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi», le tre opere di misericordia corporale forse più note sono state al centro della riflessione di monsignor Marco Gnavi, vicepresidente della Comunità di Sant'Egidio e parroco di Santa Maria in Trastevere a Roma, intervenuto mercoledì a Pompei nell'ambito del ciclo di catechesi giubilari organizzato dal santuario mariano. All'inizio il relatore ha sottolineato la sintonia tra l'Anno Santo della misericordia e l'opera del fondatore di Pompei, Bartolo Longo, che «volle edificare una vera cittadina della misericordia aperta all'universale attraverso la preghiera e l'olio della carità».
Alla luce della lunga esperienza della Comunità di Sant'Egidio, Gnavi si è detto convinto che «l'amore cristiano, nelle sue espressioni umili e allo stesso tempo audaci - sfamare, dissetare e vestire, appunto -, sani le malattie spirituali, apra al futuro e ci aiuti a comprendere l'oggi. Misericordia è infatti parola antica per fare nuovo il tempo, anche il nostro, globalizzato, carico di paure e di opportunità, segnato dalla violenza e da una domanda immensa di adozione, di cui i cristiani sono o dovrebbero essere attori privilegiati, a fronte della globalizzazione dell'indifferenza». Per i discepoli di Cristo, infatti, dar da mangiar non è fornire un servizio, ma vivere il Vangelo. Stare a tavola con i poveri, come si fa nelle mense della comunità di Sant'Egidio e di tante altre realtà ecclesiali, è fonte di gioia, non espressione di sacrificio perché, per il credente, il povero è Gesù. Dar da bere agli assetati è, in una certa misura, rispondere al lamento di Gesù sulla croce: «Ho sete!». Ciascun cristiano deve, dunque, tornare ad essere un pozzo, una fonte di acqua che disseta.
Secondo monsìgnor Gnavi, «la nudità è il segno più forte dell'umiliazione e dell'abbandono, rappresenta il massimo dell'espropriazione, quasi la morte della dignità». Rivestire un fratello in necessità diventa, così, un atto religioso, perché Gesù ha detto: «Quando avete fatto una di queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatta a me». In sintonia con gli insegnamenti di papa Francesco, il relatore ha affermato, infine, che «solo l'amore per il povero spinge i cristiani a incidere nella storia, ad uscire dalla loro irrilevanza». La conversione a Dio richiede anche una conversione ai poveri che «ci aiuteranno a essere più coraggiosi e più liberi», partecipi dell'amore di Dio per i suoi figli più deboli e forti solo della sua misericordia.


[ Loreta Somma ]