Riccardi: «La pace è possibile Deve esserlo!»

Intervista
Allo storico è stata affidata la prolusione alla dodicesima edizione del Festival Biblico che si conclude a Vicenza questo fine settimana

Raggiungiamo mercoledì il prof. Andrea Riccardi a Roma al telefono. È tornato da poche ore da Parigi e tra breve partirà per Vicenza, destinazione Festival Biblico. Lo attende la prolusione all'edizione 2016 dal titolo "È possibile la pace?"
A Parigi ha partecipato alla Conferènza "Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà", in cui, tra gli altri, ha incontrato il Grand Imam di Al Azhar, Muhammad Al Tayyeb. «È stato un appuntamento molto significativo nel quale il Grand Imam Al Tayyeb ha affermato la necessità che "l'Occidente rinunci alla sua arroganza e l'Oriente al suo sospetto".»
Professore, ma lei crede davvero che la pace sia possibile?
«Certo che la pace è possibile. Deve essere possibile e noi tutti non dobbiamo rinunciare alla speranza di pace per un falso realismo. Ho titolato un mio libro "La pace preventiva". Dobbiamo seguire con attenzione tutte le situazioni di tensione per fare in modo che queste non degenerino».
Quanto è forte il rischio di un falso realismo?
«Oggi stiamo riabilitando la guerra. 
Passata la generazione della Seconda Guerra Mondiale, crescono generazioni che non hanno visto la guerra e così noi stiamo riabilitando la guerra».
Quali sono gli ingredienti per costruire una pace oggi?
«È difficile parlare di ingredienti, gli strumenti sono antichi e sono sofisticati. Credo che innanzitutto sia necessaria una cultura della pace, una convinzione di pace, un'educazione alla pace tra le genti perché oggi la guerra è anche una violenza diffusa, quella delle mafie, quella criminale: anche questa è la guerra. Poi, la pace è possibile a tutti i livelli, anche in situazioni di grande complessità. Soprattutto non dobbiamo lasciar durare le guerre perché poi queste si incancreniscono».
Ci sono intellettuali che sostengono che uno dei problemi dell'Europa è di aver rimosso dalla propria cultura la categoria della guerra. Condivide?
«Non mi sembra che l'abbiamo rimossa visto che in Europa abbiamo avuto tante guerre da quella nei Balcani a quella in Europa dell'Est tra Ucraina e Russia e tante volte sento in giro toni molto bellicosi».
Qual è oggi il fronte sul quale è più urgente intervenire per cercare di ridurre il conflitto e la tensione internazionali?
«Ognuno potrebbe dirne vari. Io credo il Medioriente, la Siria e il conflitto israeliano-palestinese. La Siria è una situazione terribile. Siamo stati troppo indifferenti nei confronti del dramma siriano».
L'Occidente ha collezionato una serie di gravissimi errori a tale riguardo, dimostrando di non avere imparato la lezione della Storia. Cosa c'è alla base di questi errori?
«Sogno che la Storia ci aiuti un po' a vivere meglio con più senso di responsabilità, ma lo vedo difficile. Oggi si fa politica senza avere il senso della storia. L'Occidente ha fatto molti errori, ma non è il solo. Tutti han fatto errori, errori perché crediamo alla prepotenza nell'uso della violenza».
Sui fronti di Siria e Libia però l'Europa ha responsabilità particolari ...
«Ci siamo lasciati prendere dall' "armiamoci e partiamo" facendo errori molto forti e poi a seguire abbiamo continuato sulla Siria e prima ancora sull'Iraq».
Questi fronti sono uno dei segnali della debolezza della Ue come progetto politico unitario e del prevalere degli interessi dei singoli stati?
«Noi europei siamo una "Unione disunita", un'Unione che non fa una politica, estera comune che non ha una forza di pronto intervento. O l'Europa si qualifica in politica estera o resta una realtà troppo debole».
Domenica è la Giornata internazionale dei peacekeeper delle Nazioni Unite. Da più parti si denuncia la scarsa efficacia dell'azione dell'Onu. Ma si può realisticamente fare di più?
«Hanno tutti ragione ad accusare l'Onu. Ma chiedo: "Se non ci fosse l'Onu cosa sarebbe il mondo?" l'Onu almeno ci ricorda che abbiamo un destino comune, che o moriremo insieme o ci salveremo insieme. Poi è chiaro: non ha forza, ha una burocrazia, ma io penso che per esempio il segretario Ban Ki-moon ha fatto bene a lanciare tanti messaggi».
Nel governo Monti lei si è occupato di cooperazione internazionale. Quanto questo può contribuire a rimuovere le cause di tensioni e promuovere concreti percorsi di pace?
«Ho l'onore di dire che il governo Monti è stato un esecutivo che ha fatto risalire la cooperazione dopo tanti anni di discesa e in un momento di crisi questo mi è parso significativo. Renzi con il "Migration Compact" rilancia la cooperazione e chiede la cooperazione segno di una politica in Africa».
Questo ci porta a pensare anche al dramma dei profughi ...
«I profughi sono un popolo, 200milioni. Non possiamo ignorarli e le migrazioni sono un fatto strutturale che riguarda il nostro futuro. Non possiamo ragionare con una mentalità di emergenza, questo è il punto. Noi europei abbiamo bisogno di migranti per il nostro deficit demografico».
Papa Francesco sta continuamente mettendo segni di pace e aprendo nuovi processi. Cosa ci insegna questo suo modo di operare?
«Papa Francesco non accetta la cultura della guerra e non si è rassegnato all'uso della violenza. Ci richiama al fatto che la pace è possibile sempre e ha fatto interventi puntuali in contesti di guerra quali l'Ucraina, la Siria, Cuba come contesto di antico conflitto. Dobbiamo essergli riconoscenti per questo. Penso che oggi abbiamo il compito di costruire una cultura di pace di fronte alle guerre guerreggiate, anche alle guerre incistate, ma anche di fronte alle guerre dovute alla violenza diffusa delle mafie e delle organizzazioni criminali».
L'impegno del Papa nei confronti del conflitto israelo-palestinese non ha portato i risultati attesi. E davvero una situazione incancrenita dalla quale non si riesce a uscire?
«Il Papa non è stato sconfitto. Tutti sono stati sconfitti, ma il vero dramma è che noi abbiamo lasciato una ferita aperta che è questo conflitto, ormai da più di mezzo secolo, e questa ferita ha incancrenito anche le relazioni internazionali. Oggi, purtroppo, su questo modello di guerra i conflitti non si concludono ma si incistano, pensiamo all'Ucraina e Russia».
Un cittadino, un credente che vive la sua vita normale si chiede: "Cosa posso fare io e come vivere la pace nell'ordinario?"
«Tutti possono fare la guerra (cinque terroristi destabilizzano un Paese), ma anche tutti possono fare la pace. Dobbiamo informarci, dobbiamo seguire, dobbiamo pregare per la pace. C'è poi una responsabilità personale di essere operatori di pace nei propri contesti, ma anche nei contesti degli altri. Non basta limitarsi al proprio praticello, ma bisogna guardare il mondo».


[ Lauro Paoletto ]