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21 Mayo 2013

IL TRAFFICO DI UOMINI

«Così lotto nel mio Sinai contro la tratta»

Lo sceicco Ali Hassan ospite di Sant`Egidio «Sequestri, torture, riscatti: ho detto basta»

 
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Ha salvato decine di persone fuggite dall'Eritrea e vittime dei trafficanti nel Sinai. Lotta in nome di Dio contro il mercato di esseri umani nel nord del deserto di Mosè, correndo molti rischi. Awwad Mohamed Ali Hassan, 32 anni, è lo sceicco del Sinai. Lo ha invitato in Italia Alganesh Fessaha, dottoressa milanese di origine eritrea che da anni con la Ong Gandhi si spinge fino al confine tra Egitto e Israele per salvare i rifugiati rapiti, oggi circa 200.  Domenica lo sceicco, che appartiene a una corrente salafita, è stato ospite della diocesi di Trento, oggi è a Roma dalla comunità di SantEgidio. Abbiamo raccolto la sua testimonianza sugli orrori che avvengono di una terra senza legge. 

Perché aiuta gli eritrei prigionieri? 

Nel 2007 tutto era iniziato come trasporto di africani verso Israele per 200 dollari. Poi nel 2009 sono cominciati i sequestri con torture per chiedere riscatti esagerati ai parenti, fino a 40mila dollari. Li bruciano con plastica fusa, li colpiscono con scariche elettriche e mentre urlano chiamano i parenti per costringerli a pagare. Le donne vengono stuprate, restano incinte e alcune partoriscono. I prigionieri sono incatenati in magazzini, quando il guardiano dorme tentarlo la fuga. Li ho visti in strada nel mio villaggio e ho iniziato ad accoglierli. Grazie alla Ong Gandhi riusciamo a salvarli e ho avuto problemi per questo. Ma la maggior parte del mio popolo non c'entra. Da quando in moschea ho detto che questo non è vero islam, il numero di criminali è calato. Sono al massimo 50. Come fanno 50 persone a gestire un traffico che passa per diversi Stati con riscatti pagati via money transfer in molte città europee e mediorientali? Non c'è una rete criminale? C'è un'organizzazione di clan beduini, con un capo, i fratelli, i parenti, ognuno con un ruolo e c'è chi riscuote. Gli africani vengono rapiti dai Rashaida, nomadi del Sudan che li vendono ai banditi nel Sinai che chiedono il riscatto da pagare via money transfer. C'è un rapporto tra di loro, ma non un'organizzazione. Ci sono torture e omicidi, è vero, e i morti sono buttati in fosse nel deserto. Ci sono prigionieri anche nel centro del deserto. Ma non c'è traffico di organi. 

Eppure le persone spariscono e le trovano prive di  organi.

Forse il traffico viene fatto al confine con Israele.

I Rashaida con gli eritrei portano anche armi dal Sudan?

Trasportare armi rende meno, se questo traffico c'è, prevale quello di uomini. 

Perché la polizia non arresta i criminali?

Dopo la rivoluzione il Sinai è trascurato, è instabile. Servono progetti contro la povertà che è all'origine di questi crimini.  


LE ROTTE

1. Il «muro» dello stato ebraico: l'Egitto torna ad essere la meta

Il confine impenetrabile che Israele ha alzato davanti all'Egitto a inizio anno sta mutando la rotta della speranza. Oggi, come confermano le Ong della diaspora eritrea, dai campi profughi del Sudan si parte per il Cairo, come nei primi anni 2000 crocevia per raggiungere la Libia e da lì l'Europa attraversando coi barconi il Canale di Sicilia. I sequestri nel Sinai sono noti ai profughi in fuga dall Eritrea, almeno 15mila ne sono stati vittime e 3.000 sarebbero morti secondo stime  Onu. Nessuno percorre più volontariamente la lunga via che porta allo Stato ebraico attraverso l'Egitto e le circa 200 persone al momento sequestrate sono state rapite e vendute ai predoni beduini. La liberazione dal sequestro in pieno deserto non comporta infatti la salvezza. Al confine le guardie egiziane sparano infatti ad altezza d'uomo e chi sopravvive finisce in carcere per immigrazione clandestina. Israele ha inoltre avviato una politica restrittiva verso i subsahariani giunti dal deserto perché non li considera rifugiati, ma infiltrati nonostante siano stati rapiti e torturati. 

(P.Lam.) 

2. La «catena» che nasce in Eritrea 

La catena infernale  nasce in Eritrea, Stato-caserma che arruola i giovani a vita, dalla quale fuggono verso il Sudan 300 persone al mese. Il traffico è gestito dai nomadi Rashaida e organizzato dal regime, che riscuote tangenti e chiede agli espatriati o alle loro famiglie il 2% sui redditi annuali. Sui pick-up partono anche armi per i beduini provenienti dall'Iran via Yemen. 

3. I campi «di sosta» nel Sudan

In Sudan gli eritrei finiscono nei campi profughi di Shagarab, nella zona orientale controllata dalla fazione Rashaida dei "red lions", il cui leader ha un ruolo governativo. Dentro e fuori dal campo, con la complicità provata della polizia sudanese, i profughi vengono sequestrati per venire rivenduti ai beduini. Nuovi bersagli sono donne e bambini.Alcuni clan Rashaida e beduini da sempre praticano la tratta. Il «terminale» nel Sinai dei beduini L'Egitto è il terminale del traffico.Ai tempi di Mubarak il governo negava l'esistenza dei sequestri, oggi alcuni clan beduini ben armati con materiale proveniente anche da Libia  e Balcani via Iran sono i padroni del Sinai. Molti giovani sono infatti affiliati a cellule qaediste, che usano i rapimenti non solo per arricchirsi, ma anche per pagarsi gli armamenti. (P.Lam.)  



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