| 22 Noviembre 2014 |
Immigrati, i primi 25 anni della scuola di italiano |
Nel 1989 ci furono 173 studenti. Oggi con più di 1000 iscritti all'anno è la più grande realtà di insegnamento della nostra lingua nel Mezzogiorno |
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Con una grande festa multietnica alla Città della Scienza, che coinvolge centinaia di immigrati, la Scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant'Egidio festeggia domani i suoi primi 25 anni.
La Scuola inizia l'attività a Napoli nel 1989, all'indomani della morte di Jerry E. Masslo, sudafricano che fuggiva dall'apartheid, ucciso a Villa Literno nel corso di una rapina. Questo fatto di cronaca impressiona e suscita iniziative a favore dell'integrazione degli immigrati da parte dello Stato italiano (la Legge Martelli) e della società civile, anche nella nostra città. Tra di esse, questa scuola, completamente gratuita e aperta a tutti, che offre uno strumento minimo ma essenziale per inserirsi, la lingua italiana.
Nel primo anno la scuola di Sant'Egidio accoglie 173 studenti. Oggi, con più di 1000 iscritti all'anno è la più grande realtà di insegnamento della lingua italiana del Mezzogiorno. Presso la scuola è ora possibile ottenere il Certificato di conoscenza della lingua italiana ( Celi), in convenzione con l'Università per stranieri di Perugia. La scuola è soprattutto un canale, per tanti migranti, per conoscere la società e la cultura italiana. Accanto alla scuola è nata la "sezione" napoletana del movimento Genti di Pace, diffuso ormai in tutta Europa, che raccoglie persone di cultura e religione diverse accomunate dal desiderio di impegnarsi per la tutela dei diritti degli immigrati e l'umanizzazione della società. Così, l'aula magna la domenica pomeriggio ospita affollate riunioni, che rendono la scuola un luogo di formazione della coscienza civile, dove si delinea una nuova cittadinanza per nuovi europei e si contribuisce a creare coesione, proprio nel Mezzogiorno che invece si caratterizza per scarsità di solide realtà aggregative.
La scuola è lo specchio della realtà plurale della nostra regione e un importante osservatorio dell'evoluzione dell'immigrazione a Napoli, in Campania e in Italia: in questi anni sono passati per la scuola 15 mila studenti di più di 100 paesi. Agli inizi, gli iscritti erano soprattutto giovani uomini (più del 90 per cento), per lo più provenienti dal Maghreb e dall'Africa. Negli ultimi anni, le donne sono salite quasi al 70 per cento; gli ucraini sono diventati il gruppo più numeroso e l'Africa è quasi scomparsa; è comparsa invece l'Asia, con filippini e srilankesi, e con le prime presenze cinesi. La religione prevalente è quella cristiana.
Mentre la cronaca registra ancora episodi di intolleranza verso gli stranieri, la scuola mostra il volto maggioritario dell'immigrazione, quello di gente che lavora, che cerca di integrarsi, che perfino impiega il suo tempo per rendere migliore il luogo in cui vive. Questi 25 anni rivelano come l'immigrazione abbia subito una grande trasformazione: da problema sociale a risorsa. Ciò dovrebbe bastare a riconsiderare allarmismi e diffidenze.
Questo speciale osservatorio, però, non può non registrare un ulteriore aspetto dell'immigrazione, non determinante stando ai numeri e non ai proclami, ma rilevante, soprattutto sul piano etico: anche la nostra regione ospita profughi richiedenti asilo che raggiungono le coste italiane dopo viaggi fortunosi. E alcuni approdano anche alla scuola. Sono persone in fuga da gravi crisi politiche e sociali, bisognose della solidarietà internazionale. Qui, accanto alle considerazioni sull'immigrazione come risorsa (dato non scontato per la nostra coscienza comune), si pongono le ragioni della solidarietà e dell'accoglienza, inderogabile questione di civiltà suscitata dalle vicende dolorose dei nuovi alunni.
Gino Battaglia
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