«Non dimenticate la gioia»: la consegna di Papa Francesco è un programma di vita che accomuna tutti, bambini, genitori e nonni. È l'ultima raccomandazione, prima di lasciare l'altare, alla folla riunita in chiesa. Sintesi semplice ed efficace dei tanti insegnamenti sparsi nel corso di un pomeriggio che qui, nel quartiere Aurelio, rimarrà a lungo nella memoria di tutti.
Gioia. Ecco il concetto chiave della giornata speciale vissuta dalla comunità della parrocchia romana di San Giuseppe all'Aurelio. Nella domenica - la terza di Avvento che la liturgia chiama appunto gaudete - questa parola è stata declinata a più riprese nelle quasi quattro ore che il vescovo di Roma ha dedicato alla visita pastorale della parrocchia.
È stata innanzitutto una gioia attesa. Per ore la gente del quartiere ha aspettato paziente e festante l'arrivo e il passaggio del Papa. Il cortile della chiesa era stracolmo sin dalle prime ore del pomeriggio. Una grande scritta correva attorno alle mura dell'oratorio: «Noi tutti pietre vive, chiamati e impiegati a edificare l'unica Chiesa», insieme a striscioni colorati, palloncini e bandierine che davano il benvenuto a Francesco e gli facevano gli auguri per l'imminente compleanno. Un'attesa riempita dall'animazione coinvolgente dei ragazzi dell'oratorio e dalla loro gioia cantata con i tantissimi bambini e ragazzi del catechismo e alle loro famiglie: i primi a incontrare il Pontefice al suo arrivo.
E Papa Francesco è giunto qualche minuto prima delle 16, in leggero anticipo, quasi a voler gustare il prima possibile la gioia desiderata del pastore che non vede l'ora di contare una a una le sue pecore. Ad accoglierlo c'erano il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo di settore, monsignor Paolo Selvadagi, e poi i "padroni di casa", il parroco Giuseppe Lai e i viceparroci Sebastian Soy Chirakal e Orlando Paladino, oblati giuseppini, che il Papa ha abbracciato affettuosamente, e il padre Michele Piscopo, superiore generale della congregazione che si occupa della parrocchia sin dalla fondazione nel 1961. E quasi a voler far immediatamente sentire Francesco a casa, padre Piscopo gli ha raccontato un particolare curioso: il fondatore della congregazione, san Giuseppe Marello, era un astigiano di San Martino Alfieri, la stessa terra d'origine dei bisnonni del Papa. Ma il Papa già si sentiva a casa e in un attimo si è immerso nell'abbraccio della gente assiepata dietro le transenne che lui ha fiancheggiato su e giù, cercando di stringere più mani possibile, di accarezzare bambini, di dispensare carezze. Il tempo di un selfie con un giovane e di scambiarsi gli auguri con una bambina che gli ha confidato di festeggiare il compleanno il suo stesso giorno, il 17 dicembre, e Francesco è salito su una piccola pedana per parlare ai bambini e ai ragazzi del catechismo. È il momento, che si ripeterà a ogni incontro con le varie componenti della parrocchia, della gioia condivisa. Si avvicina al microfono una delle ragazze che si stanno preparando alla cresima: «Vorremmo dirle tante cose, ma la gioia che proviamo è così grande che non è possibile esprimerla in parole. Le diciamo perciò semplicemente grazie». Parole dirette, immediate, lette tutte d'un fiato, con emozione: «Le vogliamo tanto bene, ci dia la sua paterna benedizione perché possiamo crescere generosi e diventare apostoli dell'amore, capaci di testimoniare ovunque con gioia la bellezza della vita cristiana». Poi subentra il piccolo Luca che, in vista del suo primo appuntamento con Gesù nel sacramento, chiede a Francesco: «Com'è stato il giorno della sua prima comunione?». Interpellato, il Papa non si sottrae al dialogo, ma prima si prende il gusto di scatenare il giovane pubblico che ha di fronte chiedendo: «Per quale squadra tifate?». Poi, una volta rotto il ghiaccio, condivide con i suoi piccoli amici un po' dei suoi ricordi di bambino: «Sapete? Quest'anno io ho fatto il settantesimo anniversario della mia prima comunione. Da tanto eh? Io l'ho fatta 1'8 ottobre 1944. Qualcuno di voi era nato?» E tutti: «Nooo!». Allora il Papa riprende: «Ma lo ricordo come se fosse oggi» e racconta della sua catechista, suor Dolores («Non dimenticate i catechisti, d'accordo?»), dell'emozione, della processione a mani giunte, dei canti. Ricorda anche di quando Pio XII tolse il divieto di bere acqua prima della comunione e scherza: «Ci ha salvato da questa dittatura!». Poi, dopo aver benedetto i bambinelli del presepe, il Pontefice è entrato nell'edificio parrocchiale dove aveva in programma un appuntamento speciale. Ad attenderlo c'erano alcuni rappresentanti di una comunità rom che, pur vivendo in un campo molto distante dalla parrocchia, ogni domenica torna nella chiesa di San Giuseppe alla quale sono rimasti legati da anni. Insieme con loro anche alcuni degli ospiti del Residence di Valcannuta, una casa che ospita famiglie in difficoltà e che vive, grazie all'impegno della comunità di Sant'Egidio, la preziosa esperienza della Scuola della pace che permette a tanti ragazzi emarginati di ritrovare la via per un reinserimento sociale. È stato il momento della gioia sperata da chi vive nella quotidiana difficoltà. A loro il Papa ha detto: «Vi auguro ogni bene. Che sempre ci sia pace nelle vostre famiglie; e ci sia lavoro, ci sia gioia». E si è raccomandato di non perdere mai la speranza nei momenti difficili, perché il Signore «ci aspetta sempre, sempre».
E' una gioia promessa con la serena sicurezza di chi si fida di qualcuno che non delude. E questa serenità il Papa l'ha sparsa a piene mani. La aspettavano le tante persone affacciate alle finestre e ai balconi dei palazzi di fronte alla chiesa: Francesco li ha salutati da lontano mentre camminava nel giardino della casa generalizia degli oblati. Per un attimo anche il traffico si è bloccato: chi passava in auto si fermava scorgendo il Papa che benediceva dall'altra parte della cancellata. Intanto il piccolo corteo, con il Pontefice accompagnato dal parroco, dal superiore generale, dal cardinale vicario, dal vescovo di settore e dal reggente della prefettura della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, si dirigeva nella cappella della casa generalizia dove ad attenderli c'erano i malati.
Francesco si è intrattenuto con ognuno, poi a tutti loro che danno «testimonianza di pazienza, di amore di Dio, di speranza nel Signore» ha parlato di una gioia speciale, quella che supera la sofferenza, che sa guardare avanti e nutre la Chiesa: «La Chiesa senza i malati non andrebbe avanti: voi siete forza nella Chiesa». Quindi, guardando in alto, su una balconata dove stavano ad ascoltarlo gli studenti ospiti dei padri giuseppini che studiano medicina alla Cattolica, ha detto: «Che il Signore benedica le vostre mani perché siate, nel futuro, medici bravi».
Lungo questo itinerario della gioia che si è snodato nel pomeriggio romano di Papa Francesco, c'è stato poi l'incontro con la comunità dei giuseppini, provenienti da tutto il mondo, e quindi quello con la gioia più bella, quella della vita che nasce. In una sala, infatti, ad attendere il Pontefice c'erano una sessantina di bambini, con i loro genitori, fratellini e sorelline, che hanno ricevuto il battesimo quest'anno. È il luogo della famiglia celebrata, il luogo dell'intimità, perché anche se arriva il Papa l'attenzione e le premure sono anzitutto per quei piccolini infagottati. E Francesco vi è entrato con discrezione e delicatezza. Ha dispensato baci, carezze e sorrisi. A una mamma un po' in imbarazzo perché il figlio piangeva per la fame, ha detto: «Dagli da mangiare» e l'ha invitata ad allattare il piccolo. Al termine dei saluti, al microfono, ha elevato un vero e proprio inno ai bambini, «semi di futuro», custodi delle nostre speranze. Poi, dopo aver assegnato a tutti il «compito» di ricordare sempre la data del proprio battesimo, si è raccomandato di non far uscire dalle chiese i bambini che piangono o fanno rumore, perché il loro pianto «è la migliore predica! Il pianto di un bambino è la voce di Dio!».
Tornato in sacrestia, Francesco ha confessato cinque parrocchiani, gioia donata insieme con la misericordia del Signore che perdona. Poi, indossati i paramenti rosa, ha presieduto la messa nella chiesa parrocchiale. A concelebrare accanto a lui, insieme al clero parrocchiale, c'erano il cardinale Vallini, il vescovo Selvadagi, i giuseppini Piscopo, Testa e Meleth, e il parroco prefetto della zona pastorale, padre Paolo Maiello. Alla fine del rito diretto da monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, dopo aver ascoltato l'indirizzo d'omaggio del parroco, la consegna finale: «Non dimenticate la gioia», quella vera che è dono del Signore. Poí, un ultimo saluto alla folla che dopo tante ore era ancora fuori ad attenderlo, la benedizione e gli auguri di buon Natale.
Maurizio Fontana
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