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18 Enero 2015

Giornata mondiale di migrante e rifugiato

Chiusura e rifiuto non sono soluzioni

 
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Oggi la Chiesa celebra la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, riaffermando, secondo il titolo del Messaggio di papa Francesco, «Chiesa senza rontiere, Madre di tutti», e proponendo all'intero corpo sociale la condivisione di un tale spirito di accoglienza e di solidarietà. Come vivere, però, «senza frontiere»? Come guardare a un così vasto mondo in movimento con occhi più materni? La nostra società è provata dai lunghi mesi della stagnazione, dal morso della crisi; è scossa dalla  paura che si prova quando si incrocia l'«altro» sulla propria strada, in un clima tanto più difficile all'indomani dei terribili fatti di Parigi. Le nostre città sono percorse da un vittimismo che sembra assolvere l'inaccoglienza, rendere le persone meno sensibili all'invito che viene dal Vangelo e dal Magistero a globalizzare la solidarietà; e si è indubbiamente tentati dal ripiegamento su di sé e dalla chiusura. Certo, nessuno può ignorare i problemi esistenti sul terreno. Anzi, occorre trovare soluzioni politiche e giuridiche, per evitare l'alto rischio in vite umane che comportano i viaggi sui barconi. E sarebbe davvero importante ragionare su come offrire, nei Paesi di partenza, sull'altra sponda del Mediterraneo, la possibilità di presentare la domanda di asilo nelle ambasciate dei Paesi dell'Unione Europea. Rappresenterebbe anche una risposta concreta alle richieste di maggiore legalità e gestione dei flussi migratori.
Ma va detto con chiarezza che la chiusura e il rifiuto non sono soluzioni praticabili perché lo scenario è sempre più quello di una sempre maggiore interdipendenza del pianeta. E' la storia, che noi lo vogliamo oppure no, ad accostare le tante frontiere, a rimescolarle, a renderle relative. È la storia che indica come la scelta più saggia sia quella di costruire ponti culturali e umani, aprendosi all'altro e ai suoi diritti, di ribadire i doveri, di investire sulla condivisione e non sulla contrapposizione, di favorire la tessitura di orizzonti comuni ed integrati. Veniamo da un anno, il 2014, che ha visto giungere sulle coste e nei porti del Mezzogiorno 170mila persone, il triplo di quanti fossero approdati nel biennio 2012-2013. Sappiamo bene cosa è successo in questi mesi dall'altra parte del Mediterraneo; sappiamo bene da cosa fuggano ad esempio siriani e nigeriani, i cui arrivi si sono quadruplicati rispetto al 2013. Come ha detto monsignor Perego, direttore di Migrantes, alla conferenza stampa di presentazione della Giornata, «la fragilità di decine di Paesi, le 27 guerre in atto, (...) violenze e persecuzioni politiche e religiose, chiedono all'Europa uno sforzo maggiore non per presidiare le frontiere, ma per superarle a tutela della dignità della persona umana».
E' la prospettiva del tempo che viene, la responsabilità che sta a noi di assumere, evitando che siano le generazioni future a pagare il prezzo dei nostri ritardi, della nostra incapacità di fare del Mediterraneo un mare di incontro, di dialogo, di solidarietà. E se la sfida ci pare gravosa, può essere utile capire di più, comprendere meglio l'altro, scoprire chi siano i rifugiati che toccano le nostre sponde. Si tratta di conoscerli. Di conoscere la disperazione dei tanti che hanno lasciato tutto per un futuro incerto. Di toccare con mano le storie rivelate da un abbigliamento di fortuna, da occhi impauriti, da una dignità semplice e salda. Guardare nel profondo della sofferenza e della speranza di uomini, donne, bambini in cerca di vita nuova sarà la cartina al tornasole della capacità delle nostre comunità di promuovere una cultura autenticamente umana, «la cultura dell'accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare». Nel suo Messaggio, papa Francesco parte dal brano evangelico in cui il Signore dice: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25). «Gesù - continua il Papa - è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli». È la strada attraverso cui le nostre comunità ecclesiali potranno indicare un futuro di pace e d'integrazione per la società.


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