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10 Febrero 2015

Ortega: il mondo ha sete di fraternità

«La Comunità di Sant'Egidio opera il bene in un mondo che non è buono»

 
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La Comunità di Sant'Egidio è la testimonianza che «seguendo il Vangelo si possono fare cose buone anche in un mondo che non è buono». È il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, arcivescovo dell'Avana, a celebrare quest'anno il 47° anniversario di fondazione di quella che i media hanno ribattezzato "l'Onu di Trastevere", a motivo di una spiccata vocazione al servizio della pace tra i popoli e le religioni. In realtà fa notare il porporato cubano presiedendo la Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, gremita dal popolo di Sant'Egidio -«ricordare l'anniversario della Comunità è far memoria di una storia a Roma e in tanti Paesi del mondo: storia di fede, di servizio ai poveri, di amicizia, di lavoro per la pace, di impegno per il dialogo, nata dopo il Concilio Vaticano II». La Comunità, infatti, fondata nel 1968 dall'allora studente universitario Andrea Riccardi (ieri sera presente), raccoglie oggi oltre 60 mila persone in 73 Paesi, oltre a migliaia di amici che collaborano sostenendo da vicino le sue attività. «Oggi - nota il cardinale -, dopo quarantasette anni, Sant'Egidio continua a spendersi con passione ed entusiasmo in un mondo complesso e conflittuale, nelle grandi periferie umane, per incontrare i poveri, sanare le ferite, abbattere i muri, far nascere la pace. In un mondo complesso - sottolinea ancora -, voi operate con semplicità evangelica».
Perciò, «queste cose buone sono segni di speranza. Noi tutti, per sperare, abbiamo bisogno di vedere icone di questa speranza. Una di queste, che la Chiesa ci ha da poco indicata, è monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, amico di Dio, dei poveri e del suo popolo. Un vescovo indimenticabile per la sua fede e la sua parola, un martire dei nostri tempi». Il cardinale fa quindi riferimento al «miracolo» del disgelo tra Cuba e Stati Uniti, «per la straordinaria iniziativa di Papa Francesco» (erano presenti anche i due ambasciatori presso la Santa Sede). «Il muro di diffidenza che divideva gli Stati Uniti e Cuba, sembrava incrollabile. La storia pareva ferma. Nulla però è impossibile a Dio, se non ci si rassegna. Lungo gli anni non abbiamo perso la speranza. La storia è piena di sorprese. Lo dico anche per consolarci, quando siamo presi dal pessimismo». L'arcivescovo della capitale cubana ha poi espresso un auspicio, di fronte alle altre «crisi internazionali che il mondo vive». «Possa il segnale di disgelo a Cuba contagiare il mondo interno, perché si affermi il dialogo laddove ci si combatte. Preghiamo oggi anche per i paesi che soffrono la guerra, dall'Ucraina alla Siria e l'Iraq».
Infine il porporato fa riferimento alla visita compiuta dal Papa a Sant'Egidio lo scorso 15 giugno. «Con Francesco il cristianesimo è sceso per le strade, si è fatto amico dei poveri, è divenuto passione per l'incontro e il dialogo, è divenuto medicina di misericordia che tutto guarisce. Vivetene l'amore universale. Il mondo è assetato di fraternità. Lavorate, lavoriamo noi tutti, per rendere questo mondo come una terra di fratelli e sorelle».
Anche il presidente di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, dopo aver ringraziato Ortega y Alamino, ricorda nel suo saluto l'esortazione del Pontefice ad andare avanti su una strada fatta di «preghiera, poveri e pace». «Un umanesimo amico dei poveri - sottolinea - ha in sé un senso di universalità: riguarda tutti e preserva la società intera dall'imbarbarimento». Anche perché «l'uomo e la donna della globalizzazione spesso sono bloccati da una vita vissuta per se stessi» «conoscono poco la felicità» che invece «non esiste senza generosità».
Alla Messa erano presenti anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, i ministri Roberta Pinotti e Stefania Giannini e il sottosegretario Graziano Del Rio. Tra i concelebranti il cardinale Paul Poupard e l'arcivescovo Vincenzo Paglia.


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