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2 Marzo 2015

Voci a confronto. Moni Ovadia, l'ex ministro Riccardi, il sociologo Cipriani, il teologo Naro e la responsabile di "Non solo asilo" Cristina Molfetta dialogano sul Mediterraneo

Quando le migrazioni diventano frontiere di nuova convivenza

La paura di un'invasione dell'Isis e l'accoglienza di profughi in fuga

 
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"Possiamo davvero dire che le migrazioni di centinaia di migliaia di persone provenienti dall'Africa e dall'Asia costituiscono - come affermano alcuni allarmati osservatori - un massiccio e massivo tentativo di invasione dell'Europa da parte di criminali consorterie islamistiche che attualmente fanno il bello e il cattivo tempo nei territori da cui si muovono tutte queste persone che giungono fino a noi? Le donne e i bambini, i giovani soprattutto, che sbarcano, ridotti allo stremo e, spesso, persino privi di vita, sono emissari di quelle consorterie e di quei sedicenti nuovi califfati? Sono la loro quinta colonna o, almeno, la loro incontenibile avanguardia? ".
Don Massimo Naro - con i suoi interrogativi - va subito al nocciolo del tema di cui si discute a Palermo, nell'aula magna della Facoltà Teologica di Sicilia. "Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? Le migrazioni attraverso il Mediterraneo come frontiera di una nuova convivenza umana" è il il filo d'Arianna suggerito ai partecipanti per muoversi all'interno di un labirinto dove cattiva politica si mescola con emergenza umanitaria, speranza con esperienze disumane, accoglienza con diffidenza, integrazione con marginalizzazione. Il drammaturgo Moni Ovadia, il presidente del coordinamento "Non solo asilo" Cristina Molfetta, il fondatore della comunità Sant'Egidio ed ex ministro Andrea Riccardi, il sociologo e docente dell'Università Roma Tre Roberto Cipriani, il direttore emerito di Aggiornamenti sociali padre Bartolomeo Sorge, il docente del Pontificio Ateneo Sant'Anselmo Andrea Grillo affrontano e provano ad interpretare e decifrare il fenomeno delle migrazioni mediterranee.
Immigrati come invasori, «oppure - si chiede ancora don Naro - sono profughi che fuggono dalla protervia di quelle consorterie e dai guasti sociali e politici da esse innescati nei loro Paesi di origine? Sono soldati e terroristi sotto mentite spoglie, oppure sono le prime vittime dei soldati e dei terroristi che hanno scatenato la guerra nei luoghi da cui si sono sentiti costretti ad allontanarsi? Sono pericolosi clandestini oppure ospiti inermi? Oppure, ancora, tra gli inermi ospiti si insinuano pericolosi clandestini? ».
«Orientando la nostra riflessione in un'altra prospettiva - continua don Naro - possiamo forse dire che queste imponenti e insistenti migrazioni sono l'indizio, del resto ormai macroscopico, del fatto che la crisi economica globale ha effetti collegati e che ogni scompenso da essa prodotto riverbera, con distruttiva forza d'urto, a distanze chilometriche, contagiando così a macchia d'olio il disagio e, anzi, il disastro? Le persone che arrivano sino a noi affamate e assetate, nude e anzi spogliate d'ogni loro residuo bene personale, vengono a rivendicare ciò che è stato loro tolto e non soltanto dagli spregiudicati mercanti di carne umana che li hanno condotti sin qui? O vengono a pretendere qualcosa che non spetta loro e che, comunque, noi non possiamo garantire? Oppure, paradossalmente, vengono a ridare un po' d'ossigeno alle stagnanti economie del vecchio continente, stimolandole a rimettersi in moto, a riorganizzarsi su scala mondiale, a rivedere accordi e a riavviare convenzioni internazionali? E ancora: possiamo dire che le migrazioni che oggi sboccano nel Mediterraneo sono anche espressione di uno scomposto pluralismo religioso, che si dimostra refrattario a lasciarsi incanalare dentro l'alveo del dialogo? Di un pluralismo religioso, cioè, attraversato da tensioni polemiche che rischiano di mettere a dura prova la disponibilità al confronto e l'attitudine all'incontro che le stesse "religioni", per loro costitutivo statuto, dovrebbero in qualche misura custodire ed esercitare? ».
«È difficile - è la riflessione di don Naro - formulare una definizione del fenomeno che da decenni ha luogo sotto i nostri occhi, proprio sulle sponde della nostra Sicilia, qui, al centro del Mediterraneo. Si tratta, difatti, di un fenomeno complesso, che rappresenta l'esito controverso di un groviglio di concause, espressioni queste, a loro volta, di motivazioni eterogenee, ciascuna connotata da profili peculiari e, perciò, differenti, che finiscono però per giustapporsi indistintamente - meglio sarebbe dire: per confondersi - nel grande dramma in cui le migrazioni stesse culminano». Di qui «la possibilità e la necessità di un umanesimo concreto, da intendere e da vivere come un umanesimo della prossimità, della proesistenza, dell'esistere per gli altri e non per sé soltanto». Ecco perché, prosegue don Naro, «tentiamo di verificare in che senso ragioni dell'uomo e prassi ecclesiale possono e devono oggi incontrarsi» in modo da «proiettarci con cognizione di causa verso quelle che papa Francesco chiama "periferie esistenziali": nel nostro caso - per la peculiare posizione mediterranea della Sicilia sulla linea di confine fra tre continenti, l'Europa, l'Africa e l'Asia - la frontiera drammatica delle migrazioni dai continenti poveri verso l'Occidente. Applicando il suggerimento metodologico di GS 46, secondo cui oggi più che mai è urgente considerare ogni aspetto, positivo o negativo, lieto o drammatico, della vita umana "alla luce del Vangelo", vogliamo elaborare un'ermeneutica teologica del fenomeno delle odierne migrazioni di cui il Mediterraneo è tragico scenario, per ricomprenderlo come uno dei "segni dei tempi" che annunciano l'esigenza di reinterpretare ormai l'esser-umani nella prospettiva di una solidale convivenza».
Le migrazioni sono il riflesso di quanto accade in Africa, nel Medioriente e in Asia. Dalle guerre alle feroci dittature, alla crisi economica, ai cambiamenti climatici. L'analisi dei numeri - spiega Cristina Molfetta - è illuminante. «Nel 2014 su 170.081 migranti arrivati in Italia, 120.239 dei quali sono sbarcati in Sicilia, i siriani sono 42.425 e gli eritrei 34.329. Nessuno - aggiunge - si muove dal proprio Paese a cuor leggero. Per farlo deve avere motivi importanti, gli stessi che sarebbero nostri se ci trovassimo nelle loro condizioni. Il Mondo è di tutti. E tutti cerchiamo pace, futuro, speranza, salute. Non si risparmia non accogliendo. Quale eredità lasceremo a chi verrà dopo di noi? ».
Le grandi speranze suscitate in Occidente dalle "primavere arabe" sono ormai scemate e le migrazioni - per i conflitti che ne sono scaturiti, unica eccezione la Tunisia - ne sono la conseguenza. L'Islam incompatibile con la democrazia? «Occorre - sostiene Andrea Riccardi - evitare semplificazioni. L'Islam non è compatto. E' fatto di storia, di popoli e di culture diverse l'una dall'altra. De Gaulle lo aveva già capito nel 1944: "Rinunciamo, disse, alle idee semplici e accettiamo la complessità araba". E allora insisto: apriamo gli occhi. Lo scontro è all'interno del mondo musulmano e il fondamentalismo lo accentua e lo radicalizza. Sono più i musulmani uccisi da altri musulmani che i cristiani uccisi dai musulmani. Questa è la realtà. I fondamentalisti confondono Cristianità con Occidente e il nemico dei crociati, dicono, è il califfo dell'Islam. La guerra è tra i musulmani, anche se tocca gli occidentali. Ma in ogni caso, evitiamo le soluzioni militari perché, lo sappiamo dall'esperienza dell'intervento in Iraq, non producono pace ma una eternizzazione dei conflitti».
Che fare? «Portare la pace in Siria - risponde Riccardi - perché questa guerra è la madre di milioni di profughi in cerca di salvezza e di conflitti a catena che rischia di coinvolgere tutti i Paesi mediorientali. Il problema dell'immigrazione non si può fermare se non si riporta la pace in Medio Oriente e nelle aree di crisi dell'Africa e dell'Asia. La risposta alle nostre fragilità e al timore del contagio fondamentalista in Europa certo non è Marie Le Pen».
«Il Mediterraneo - osserva padre Bartolomeo Sorge - oggi è una frontiera politica e culturale e con lo sbarco del fondamentalismo in Libia e in Egitto rischia di diventare un luogo di conflitto. Premesso che il fenomeno migratorio, seppure pieno di rischio, offre comunque opportunità, allora il nostro impegno è trasformare il Mediterraneo da cimitero in ponte tra civiltà diverse che si affacciano sullo stesso mare. Il Mediterraneo apre un mondo futuro all'umanità. Il pugno di ferro non serve a nulla. Occorre un nuovo umanesimo concreto, con un'anima e un cuore caldo, con una grammatica etica che è uguale in ogni parte del mondo e che si basa sulla dignità dell'uomo e sulla solidarietà. Siamo obbligati a vivere uniti rispettandoci diversi. Le culture sono nate per fecondarsi reciprocamente, senza omologazione né marginalizzazioni. Il nuovo umanesimo è un sogno? I sogni ad occhi aperti cambiano il mondo».

TUTTE LE CIFRE Gli immigrati sbarcati in Italia nel 2014 sono stati 170.081. Di questi 120.239 sono arrivati in Sicilia. Suddivisi per nazionalità 42.425 provenienti dalla Siria (dei quali circa 500 hanno presentato domanda d'asilo politico); 34.329 dall'Eritrea; 9.908 dal Mali; 9.000 dalla Nigeria; 8.691 dal Gambia; 6.017 dalla Palestina; 5.756 dalla Somalia; 4.933 dal Senegal; 4.386 dal Bangladesh; 4.095 dall'Egitto. I minori non accompagnati, sempre nel 2014, sono stati 14.300, di cui 3.700 si sono "persi", nel senso che si sono allontanati facendo perdere le loro tracce dopo lo sbarco, e 729 accolti nello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. All'1 gennaio 2014, in prima e seconda accoglienza erano presenti circa 66.000 degli arrivati, 9.638 nei Cda, Cara e Cpsa (4.200 dei quali in Sicilia); 35.516 nei centri di accoglienza temporanea: 5.504 in Sicilia (4.000 a Mineo); 4.347 in Lombardia; 3.708 in Campania; 2.804 in Lazio; 2.648 in Emilia Romagna. Infine, 20.319 in diversi progetti: 4.791 in Lazio; 4.209 in Sicilia; 1.948 in Calabria; 1.882 in Puglia; 1.155 in Campania. 


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