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22 Marzo 2015

La testimonianza

«Il primo santo? Era un detenuto»

 
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«Cosa posso fare per voi?», ha chiesto papa Francesco a Claudio, il detenuto argentino seduto a tavola accanto a lui, confidandogli la possibilità di chiedere misure di clemenza per i carcerati nel Giubileo.La visita di Francesco nella Casa circondariale «Giuseppe Salvia» è stata segnata da questa intenzione espressa durante una chiacchierata confidenziale tra argentini.
C'era una grande attesa per la venuta di Bergoglio a Poggioreale. Quando ha fatto il suo ingresso nella chiesa adibita a refettorio è stato accolto da un lungo applauso e dai cori da stadio che a Napoli si cantavano ai tempi di Maradona. Poi ha preso la sua borsa nera, ha tirato fuori una medicina e si è andato a sedere al suo posto.
Claudio viene da Mendoza, 40 anni compiuti e una lunga pena da scontare. Sua madre, fervente cattolica, alcuni mesi fa gli ha spedito dall'Argentina un libro scritto da Bergoglio prima di diventare Papa, dal titolo «Mente abierta, corazon creyente» che lo sta aiutando a riflettere e a ricomprendere i suoi errori. «Mio figlio di 12 anni appena ha saputo che il Santo Padre veniva qui a Poggioreale mi ha scritto: dici al Papa che ti faccia uscire». Parlano in modo familiare i due. Francesco vuole sapere della sua vita, del motivo per cui è finito in carcere. E poi si informa su quello che fanno i volontari con i carcerati.
Claudio gli dice che era già stato qui al pranzo di Natale della Comunità di Sant'Egidio, e si riteneva fortunato perché aveva mangiato accanto a un comico di Made in Sud, ma mai avrebbe immaginato di sedere fianco a fianco con papa Francesco. Alfredo che gli sta di fronte gli dice che ha lo stesso nome di suo padre.
È stata davvero una grande festa il pranzo con il Papa nella galera più grande dell'Europa occidentale. A tavola, tra i 112 detenuti, all'ultimo momento sono stati inseriti anche quelli che fanno parte della squadra di lavoranti, per sostituire chi è stato scarcerato o trasferito. È la giusta ricompensa per chi in questi giorni ha lavorato senza sosta.
Siedono mischiati agli altri anche i detenuti protetti, un fatto impensabile fino a qualche mese fa. Inizia il pranzo servito dai volontari della pastorale diocesana della diocesi. Il Papa mangia con gusto e apprezza. Quando viene intonata «Napul`è» scrosciano gli applausi, mentre il cardinale Sepe si alza e va a dirigere il coro dei volontari.
Ma il momento più intenso è stato lo scambio di battute con i detenuti. Alessandro, originario di Policoro in Basilicata, in carcere da 7 anni ma prossimo a tornare a casa dai suoi 2 bambini, gli chiede: «Santo Padre, noi che siamo marchiati a vita, emarginati, esclusi da tanti percorsi di inserimento troveremo accoglienza fuori da queste mura?». E il Papa gli risponde: «Hai messo il dito nella piaga: l'inaccoglienza è una delle più grandi crudeltà della società odierna, come l'ergastolo, e bisogna fare un grande lavoro di educazione con la gente». È un esplicito richiamo alla misericordia quello di Bergoglio: «Tutti noi nella vita abbiamo commesso  almeno un peccato. Nessuno può dire di non aver motivi per essere carcerato, io per primo. Perché voi si e io no?» si chiede il Papa. E poi continua con una metafora sportiva: «La vita è come il calcio e il portiere deve prendere il pallone da dove viene, così ciascuno di voi».
Quello di papa Francesco è un grande incoraggiamento ai detenuti. Chiede a tutti di scommettere sul futuro e di andare avanti. Il detenuto argentino gli domanda come fare per poter continuare a superare le tentazioni che lo aspettano quando sarà libero, senza gli aiuti di chi lo sostiene in carcere. Francesco ricorda un canto alpino che dice «l'arte di salire non è non cadere, ma non restare a terra». «È facile cadere - continua - ma bisogna rialzarsi subito. Se tu cadrai, rialzati nel tuo giardino di Mendoza!».
Ad un certo punto è Bergoglio stesso a fare una domanda al ragazzo: «Tu sai chi è stato il primo santo canonizzato nella chiesa? Un carcerato». E cita il Buon ladrone, condannato a morte ma assolto da Gesù sulla Croce. Poi si fa ora di andare via. Francesco sale sulla papamobile, percorre i viali interni del carcere per un ultimo saluto ai detenuti che sono rimasti nelle loro celle. 


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